Ben tornate (con riserva di preoccupazione)

Vorrei fare alcune considerazioni veloci e schematiche sulla liberazione di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo. Sono considerazioni superficiali e come al solito piuttosto personali perché riguardano una vicenda sulla quale non ho forti competenze, e che derivano piuttosto dalla constatazione di come da più parti è stata recepita questa storia così come è stata narrata.
Io fondamentalmente, che siano state liberate, sono molto contenta. Sono due ragazze giovani, come tantissime e tantissimi, voi non sapete quante e quanti, ce ne sono in giro nei posti pericolosi lontani dalle nostre vite, a fare delle cose che a noi non è mai andato di fare e a correre rischi da cui il nostro buon senso ci tiene alla larga. Sono cadute nella rete di quei rischi, non so in che misura per colpa di un coefficiente costante di pericolo o per smaccata inefficienza dell’organizzazione a cui facevano riferimento. Ma a fronte del lungo elenco di rapiti e anche uccisi nei teatri di guerra, eviterei di dire stronzate del tipo, siamo tutti ct.

Ci sono però delle considerazioni che secondo me vanno fatte ugualmente, quanto meno per impostare il dibattito, che mi pare ab ovo, viziato da alcune distorsioni di prospettiva e di ideologia.

  1. Greta Ramelli e Vanessa Marzullo sono donne con un nome e un cognome, un titolo di studio e esperienza all’attivo, per poca che sia, maggiorenni. Non sono delle bambine, lo sono solo in questo curioso paese in cui si va a lavorare tardi, si fanno figli tardissimo, si sta inchiavardati alla famiglia di provenienza in uno stato di adolescenza protratta e incoraggiata dal sistema socioeconomico che rende impossibile l’emancipazione dei giovani dalle famiglie. Fuori da qui due maggiorenni non sono due povere sgallettate, sono persone che stanno per mettere su una famiglia, che già lavorano che vivono fuori dalle proprie case. Che sono titolari della loro vita. E’ interessante la puerilizzazione di Ramelli e Marzullo, e credo che sia anche autenticamente sentita. Sono state vissute da tutti come bimbette allo sbaraglio. Ma è un problema dell’Italia, non loro.
  2. In questa rappresentazione delle due giovani donne, ha certamente giocato il fatto che fossero donne, e che inoltre non abdicassero nel loro modo di vestire e di essere, a un certo clichet maschilizzato della femmina che corre pericolo, ma omnia munda mundis! – si facessero ritrarre con le gonnelline a fiori i capelli e i sorrisi belli. Non è serio eh! Non è possibile! Non è credibile! Se fai certe cose, devi averli legati li capelli, e averci i pantaloni per dinci bacco. E il pensiero mi è andato alla Rosanna Cancellieri che in un’intervista raccontò dei suoi contrasti con Sandro Curzi, che aveva una contrarietà ideologica all’idea che una giornalista andasse in video con dei vistosi orecchini rossi. C’è un problema cioè con l’idea di un femminile attivo, che faccia delle cose da maschi, senza necessariamente adeguarsi all’estetica e comunicazione maschile. C’è uno stereotipo sull’immagine che deve avere chi commercia con il male – stereotipo molto più condiviso da chi non ci ha spesso a che fare.
    Voglio dire che conosco qualche psichiatra che ha dovuto vedere pazienti nei manicomi criminali famosi per efferati delitti seriali, che gira con imbarazzanti magliettine a cuori e paillettes.
  1. C’è anche un problema, prima ancora che di genere – l’uomo che corre il pericolo è un eroe, la donna che corre il pericolo una cojona – rispetto all’idea stessa di qualcuno che corra un pericolo a scopo umanitario. In questo senso, l’assolutamente illogico paragone con i Marò mi risulta interessante. Per quale motivo infatti comparare due situazioni assolutamente incomparabili per interlocutori chiamati in causa e rischi possibili? Che forse ce li ridanno i Marò se sganciamo i milioni? Che i forse i Marò sono in mano a un gruppo non identificato e privo di regole o sono in mano a un governo istituzionalmente consolidato? Ma i marò cari miei sono molto meno iconograficamente buoni, sono molto più psicologicamente neutri, sono maschi che fanno le solite cosette de maschi, e quindi molto meno scomodi narcisisticamente di queste due sgallettate che ci rinfacciano a colpi di pericoli e sorrisi il nostro culo al caldo. Io percepisco in certe reazioni livorosissime e intollerabili, un problema di invidia per quel misto di incoscienza e buono, per quel che di irrazionale ma sacro, che c’è in chi fa qualcosa di illogico dal punto di vista dell’autoconservazione ma di forte sul piano etico. E più ridono nelle foto, e più sono così iconograficamente rispondenti a questa immagine di folle adesione a qualcosa di buono, più il commentatore medio si sente sfruguagliato in qualcosa e scatta una sostanziale invidia che viene disinnescata in parole ricche di disprezzo.

Ecco, io riformulerei il dibattito partendo da queste considerazioni. Moralmente, io non posso che essere contenta del fatto che due brave persone siano tornate a casa, giovani o meno che fossero. Siccome attualmente chi le aveva prese, per me rappresenta attualmente quanto di più pericoloso e cattivo ci sia in circolazione si sono contenta che non siano state uccise. L’unico mio oggettivo cruccio e dispiacere e anche motivo di perplessità etica e politica, riguarda il destino dei soldi, eventualmente e temo probabilmente dati in cambio delle loro vite. Non tanto, per come potevano essere spesi da noi, quanto, per come saranno usati da chi li avrebbe presi.
Ossia, per uccidere altre persone.

17 pensieri su “Ben tornate (con riserva di preoccupazione)

  1. Mi piace molto constatare che hai scritto delle considerazioni e delle riflessioni. Che non c’hai le soluzioni (anche perché chi sostiene di averle mi appare quanto meno superficiale). Chi opta per la strategia da duri e puri si trova a guardare su Youtube dei connazionali decapitati da tizi col passamontagna che inneggiano ad Allah, chi preferisce la strategia della “trattativa” (cioè tirare sul prezzo) vede tornare a casa i suoi connazionali, ma arricchiti i suoi nemici e incazzati quelli dell’altra strategia “duri e puri”. E in tutti i casi “er popolo” dice, da casa, cosa bisognerebbe fare, e nella migliore delle ipotesi quello che si dovrebbe fare è il contrario di quello che avevano detto la settimana prima, quando i protagonisti erano magari diversi.

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  2. A proposito del tuo cruccio ho trovato convincente A. Sofri, (da un pezzo di qualche tempo fa): “Allora, perché riscattare vite a pagamento? Perché sì, perché la minaccia che incombe su una persona, la mano già alzata sul suo capo –era vero per Aldo Moro- viene prima della preoccupazione sul vantaggio che il carnefice trarrà dall’incasso di oggi. Ma questo principio –duttile, come devono essere i principii- non può voler dire la rassegnazione e la resa. Gli angloamericani dicono (non lo fanno sempre) di rifiutare ogni trattativa, pagamenti, scambi di prigionieri. Israele non è più tenera coi suoi nemici, e però accetta scambi di proporzioni clamorose: con la riserva di rivalersene a tempo –troppo, tuttavia, e indiscriminatamente. Repubblica pubblicò a novembre un intervento di Jonathan Littell, che denunciava, all’indomani delle decapitazioni degli americani da parte del sedicente Stato Islamico, l’ipocrisia e il fallimento della linea di condotta angloamericana. Non si può diventare ostaggi della propria sbandierata intransigenza, era la conclusione. Tuttavia l’argomento maggiore di Littell era che il rifiuto di negoziare sulle vite degli ostaggi aveva portato Obama a compromettersi in una operazione militare, oltretutto accanto a paesi, a partire dalla Francia, per i quali pagare un riscatto era una pratica costante. Littell diceva di non volersi pronunciare sui pro e i contro di questa “guerra”. Ma immaginiamo che le spettacolari mostruose decapitazioni di Foley, Sotloff, Haines, Henning e Kassig non fossero avvenute: le centinaia di migliaia di cristiani e yazidi (e sunniti riluttanti) cacciati e trucidati, le migliaia di donne yazide stuprate e schiavizzate, alla presa di Mosul, sarebbero rimaste senza risposta? Probabilmente sì, come dimostra la Siria. Ed era accettabile? E’ giusto dire a due ragazze di stare alla larga dalla trappola micidiale di Aleppo, è giusto ma è imbarazzante, quando le potenze della terra scelgono di starne alla larga anche loro –salvo, qualcuna, fomentare il macello.”

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  3. La tua grazia analitica mi lascia sempre ammirata, hai avuto la forza logica di penetrare gli aspetti pi significativi di questa intricata vicenda di cui devo ammetterlo conosco pochi dettagli. Le mie personali valutazioni restano sospese fintanto che non avrò modo di leggere le loro dichiarazioni personali. Mi rallegra che siano vive e con rabbioso biasimo osservo manifestazioni di sdegno per il fatto che la loro preziosa esistenza sia stata barattata con del denaro. Ci sono fiumi di denaro bruciati per ragioni occulte e affatto nobili, nel bilancio generale questi per me sono “spiccioli” ben spesi. Sebbene io mi chieda, e se le condizioni poste fossero state altre? Anche la mia valutazione è sospesa con riserva, perciò, non mi piacerebbe per niente che andasse in scena un epilogo come quello che vide protagoniste Simona Pari e Simona Torretta per cui tuttora nutro un’autentica insofferenza.

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  4. Io ricado nel primo caso, le considero due bambine.
    Sono vecchio e sono stato educato da vecchi, se vedo due “bambine” in pericolo ho una reazione quasi pavloviana, le vorrei salvare.
    Poi ci ragiono su e inizio a considerarle come persone senzienti, allora posso cercare di capire se e dove hanno sbagliato.
    Una cosa mi pare certa, hanno coraggio e determinazione, possono essere una risorsa per questo paese, e una risorsa umana non dovrebbe avere un prezzo, non dovrebbe essere misurata con il denaro che può essere stato speso, dovrebbe essere formata e impiegata.

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  5. Benissimo. Rispetto al primo punto, ho notato un aspetto aggiuntivo. La zero empatia per le due “sgallettate” si è accompagnata con la zero empatia per le loro famiglie. Reazione quasi automatica se il figlio/a appena maggiorenne va a sfraccellarsi di ritorno dalla discoteca ubriaco e/o strafatto e investa anche – giustamente – quei poveri genitori che si trovano la figlia e il figlio in carcere e in attesa di processo per aver devastato la faccia di un coetaneo con l’acido muriatico. No, dal momento che i genitori di queste ragazze non hanno saputo o – scandalo – voluto impedire che andassero in Siria, sono dei genitori falliti che non meritano nessun moto di identificazione.
    Insomma, il bravo genitore è colui che NON rispetta la libertà e autonomia di un figlio adulto, ma che – con le buone o le cattive – è in grado di fargli fare ciò che vuole lui. E cosa dovrebbe volere un genitore dal proprio figlio se non proteggerlo sino al punto in cui la sua vita, in fondo, non gli apparterrà mai del tutto.

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    • La reazione rabbiosa rispetto ai genitori, mi ha fatto venire in mente l’ultima dittatura argentina, paese dove vivo. I neonati partoriti dalla donne in campo di concentramento venivano sottratti alle loro famiglie e “regalati” ai militari perché li crescessero da bravi patrioti. Ai nonni veniva detto che non avevano il diritto a vedersi affidati i nipoti in quanto non erano stati in grado di controllare i figli, che erano diventati dei sovversivi. Non so se c’entra, ma è un’idea che mi ronza nella testa da un po’.

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    • Il punto è proprio questo, l’impiego a scopo criminale delle risorse fornite. E se invece che denaro, mezzo neutro, avessero chiesto armi? O anche la liberazione di detenuti pericolosi? Io metto la vita avanti a tutto ma anche il non creare presupposti per situazioni di nuovo pericolo non mi sembra da meno.

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  6. Se è per questo, anche Enzo Baldoni si beccò del cojone (come dici tu). Non era una ragazzina, non portava gonne a fiori e poteva benissimo godersi il suo status economico in Italia, ma, succede a molti (uomini e donne), non gli bastava l’interpretazione che i media propinavano sullo stato del mondo e sulla sua storia. La Cancellieri per quanto mi riguarda poteva presentarsi anche in tanga, ma Curzi dirigeva un tg3 molto diverso da quello attuale e non sono sicuro che la Berlinguer non trovi da dire sulla mise di qualche collaboratrice. Certi aneddoti femministi sono istruttivi, ma oggi non mi sembra proprio il pisello il problema fra i sessi. Vuoi metterci la mercificazione di tutto, corpo fisico, anima e sentimenti? Vuoi metterci la debolezza di chi continua ad essere definito come ‘forte’ a prescindere che alla prima difficoltà – perdita del lavoro, dell’amore e del ‘focolare’ – sbarella e fa strage di tutto ciò che non riesce più a ‘possedere’, come la pubblicità martellante continua ad imporre. Possedere un’auto o una famiglia ‘mulino bianco’ è la grande aspirazione di chi non sa distinguere fra ‘merce’ e ‘umano’.

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  7. Secondo me la questione più controversa e che scatena di più gli animi è proprio l’ultima, quella dei soldi, che sono il motore di questi sequestri. Sono sollevata e contenta che le due cooperanti siano sane e salve, ma non posso non pensare anche al costo di questa operazione, visto che appunto non è una situazione isolata ma si ripropone e si riproporrà. E non riesco a trovare dentro di me una risposta convincente, su se, come e fino a che punto sia giusto in questi casi trattare coi “cattivi”. In generale, non so bene come prendere il dilemma delle ONG nei paesi a rischio. Gli operatori umanitari vanno per fare cose meritorie quali aiutarne le popolazioni, ma essendo gruzzoli ambulanti diventano anche ghiotte prede di un mercato dei sequestri, buttando per così dire benzina sul fuoco che sono lì per spegnere. E da parte di un’ ONG, come è considerato il possibile paradosso, che essi devolvano tot risorse per aiutare una popolazione, rischiando (non dico per colpa loro, ma è un rischio che esiste) di devolverne suo malgrado ancora di più a quelli che la stanno distruggendo? Immagino che per decidere se ha senso, si tratti di quantificare e gestire questo rischio, non so. Ma chi deve fare questi bilanci, chi deve decidere? Sarebbe etico da parte di un Governo dire che in alcuni contesti ad altissimo rischio le ONG, la stampa, ecc. vadano senza contare su una “copertura” economica del paese di provenienza? Dichiarare a priori che in caso di sequestri gli sforzi diplomatici, di intelligence ecc. per la liberazione non si spingeranno a dare soldi o concessioni materiali ai rapitori? Sarebbe forse meno rischioso per i cooperanti stessi, se perdessero valore sul mercato dei riscatti? Non ne ho idea. Siccome è una situazione ormai abbastanza tipica, a me piacerebbe sapere se nel nostro governo in questi casi si reagisce di volta in volta a seconda del contesto, o se c’è una posizione, una linea guida precisa, quali sono le considerazioni che portano a decidere in un modo o in un altro? Mi piacerebbe che ne venissero esplicitate le motivazioni etiche, filosofiche, politiche, pratiche. E la stessa cosa mi piacerebbe sapere per altri Paesi: per sempio per Foley, il gioranlista americano ucciso in un contesto molto simile (forse proprio dallo stesso gruppo che deteneva le due cooperanti italiane) non furono pagati i dieci milioni richiesti dai rapitori.

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  8. Posso dire che un moto di invidia l’ho avvertito anche in me, e lo avverto sempre in questi casi? Lo disinnesco, però. Quindi ben tornate e meno male che al mondo ci sono anche i volontari.

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  9. Belle riflessioni! A me sembra comunque che la questione dei soldi sia montata un po’ ipocritamente per prendesela comunque con le due giovani donne forse proprio per i motivi che hai esposto tu. Sessismo travestito da alta morale.

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  10. Ho fatto la fotografa di guerra e sono stata in Jugoslavia e in Iraq, per lavoro. Sono contentissima intanto che siano tornate a casa, ed in più perfettamente d’accordo che lo Stato italiano – lo paghiamo per quello – ci salvi quando siamo nei pasticci. Però, ci sono dei però che chiedo anche a te di analizzare.
    1. quando si parte per una zona di guerra, si sia giornalisti o si sia cooperanti, si sia in un paese pericoloso o meno – come il messico, che non è in guerra, ma è altrettanto pericoloso – si ha come primo dovere avvisare l’ambasciata del paese limitrofo – in questo caso la turchia – dicendo dove si va e perché si va;
    2. ammesso e non concesso che portassero aiuti, con chi erano in contatto in Siria?
    3. Sapendo di andare in zona di guerra, perché mai sono passati dal confine montano della Turchia e non da una via più “normale”: io sono entrata in Iraq in pullman e passando dall’autostrada. Naturalmente avevo il visto, avevo dovuto fare una lista di tutto ciò che portavo, ho fatto il viaggio con altri occidentali, sono arrivata in aereo in Siria e da lì via pullman fino a Baghdad. Alla frontiera ci hanno tenuti ben 6 ore per controllare gli oltre 120 passaporti europei: come mai loro sono passate a piedi per un valico di montagna senza avvisare proprio nessuno?
    4. c’era un giornalista che li accompagnava, pare de Il Giornale. Le ha accompagnate e poi è fuggito quando, nella casa dove erano ospitate, ha fatto irruzione il commando di rapitori armati. Chi era quel giornalista? come mai non se ne parla da nessuna parte? Perché le ha accompagnate e poi lasciate nei pasticci? A che titolo le accompagnava?
    5. Sono un poliziotto di frontiera turco. Vedo arrivare due ragazzine a piedi con gli zaini dirette in Siria. Non le fermo? Non chiedo loro niente? Non avviso le autorità? Non scherziamo: avessi voluto passare la frontiera tra Siria e Turchia nel 2002, in piena guerra, mi avrebbero arrestata.
    Ora, ribadisco il concetto che andassero salvate a tutti i costi, fossero chi fossero. Ma gli adulti dell’organizzazione, le persone che le conoscevano, le loro stesse famiglie non erano al corrente che in zona di guerra è pericoloso entrare? NOn potevano mandare gli aiuti, che so, come fanno tutti, a Emergency, o altre Ong che sono in zona? Che bisogno c’era di andare direttamente di persona? La guerra non è un gioco. E questa guerra è molto pericolosa. Non ci andrei neppure io. Dunque, perché sono andate?
    Non capisco se sono state manovrate, se si sono sacrificate per una causa sconosciuta, o sono due semplici imbecilli. Scusate. Voi ditemi che cosa ne pensate. E poi, il giornalista di cui sopra, dove è andato a finire? Perché ora non parla? Perché non viene citato?
    Sara

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  11. Perché siano andate io non lo so. Ho dato per scontato che siano andate per offrire un contributo ad una causa in cui credevano, e le ho rispettate per questo. Ma qualunque sia il motivo, fosse anche sciocco, futile o sbagliato, perché non meriterebbero l’aiuto dello Stato? Forse gli idioti che si strafanno in discoteca e poi si sfracellano contro i pilastri delle superstrade il sabato notte non li cura il SSN? Forse il cancro al polmone dei fumatori non si cura a spese di tutti? Forse persone ridotte in miseria da una vita di scelte sbagliate non percepiscono comunque pensione (seppur miserrima) ed assistenza? La maggior parte di noi lavora sette o otto mesi l’anno per tenere in piedi il carrozzone Italia proprio perché esista una collettività in cui riconoscersi, a cui appartenere e che si prenda cura di noi: anche e soprattutto quando sbagliamo, in quanto, si spera, in condizioni di normalità, ce la caviamo da soli.

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  12. Le due cooperanti (scusate ho una personale difficoltà generale a memorizzare i nomi) sono due adulte: votano, possono sposarsi senza chiedere il permesso, sono due soggetti politici dentro la società. La loro “bambinizzaziione” non aiuta: è lo specchio della nostra difficoltà a emanciparci. Così come Baldoni è stato presentato come un’irresponsabile perché è partito “pur avendo famiglia”. La campagna sulla loro “bambinizazzione” è stata così martellante che, nelle prime ore dopo la diffusione della notizia del sequestro, per qualche ora ho pensato fossero due minorenni. E c’è anche molto sessismo nel livore del dibattito sulla loro liberazione. Sono contenta siano a casa. Sul resto ho una posizione molto impopolare: sono contro le trattative, specie se (e questo è un mio sospetto) oltre al denaro corrono accordi para-politici sotto banco. Per quanto fosse una situazione del tuttto diversa – e non è questo il luogo per le specifiche – ho sempre considerato una brutta pagina il cosiddetto “lodo Moro”: che mise l’Italia al riparo da attentati di gruppi palestinesi, offrendo in cambio una discreta libertà logista nel nostro paese. Al contrario di Sofri, penso sia stato corretto – per quanto doloroso – non aprire trattative per Moro. Il punto ora è che uno Stato non può cambiare linea dalla sera alla mattina quando ci sono ancora dei suoi concittadini prigionieri: penso al sacerdote gesuita (non ricordo il nome) e qualche altro. Quando li avremo riportati a casa, forse si potrà aprire una discussione franca e anche aspra sul fatto se si debba trattare o no.
    Lo sforzo volontaristico del singolo o della singola è ammirevole e non giudicabile. Abbiamo visto come siano stati sequestrati/e persone con più esperienza e maggiori coperture logistiche – da giornalisti di guerra a cooperanti di organizzazioni molto grandi e strutturate, quindi solo una botta di fortuna ti può salvare se finisci nel mirino di sequestratori come possibile ostaggio. Magari serve anche aprire una discussione sul funzionamento delle Ong.

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  13. sempre fiera di passare da questa pagina e trovare spazi di civiltà, analisi profonda e cuore……….le chiacchere in giro sono veramente avvilenti e la frustrazione che denotano non fanno sperare in bene per il futuro prossimo venturo

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