borghesia 2.0

Episodio uno: qualche giorno fa L’Isis ha fatto circolare l’ultimo dei suoi video più impressionanti, in cui un pilota giordano era arso vivo. E’ l’ultima produzione cinematograficamente macabra di quelli di IS. Prima di questo video sono circolati quelli delle donne uccise a sassate per adulterio, dei prigionieri sgozzati, degli omosessuali lanciati dall’ultimo piano di un palazzo, e altri ancora altrettanto orripilanti. La rete, come emotivamente prevedibile – ha risuonato, si è scossa e indignata in buona fede: su tutti i social network le immagini sono riverberate seguite da commenti e riflessioni molto preoccupate e arrabbiate.

Episodio due: qualche giorno fa ero in rete e discutevo di vaccini: molte persone ad oggi stanno mettendo in discussione l’opportunità di vaccinare i propri bambini e io, con un certo scoramento, discutevo con alcune di queste persone. Erano interlocutori laureati, con un modo di disquisire sintatticamente e logicamente strutturato, che avevano accesso a una larga fetta di informazioni – superiori a quelle che avevano i nostri genitori quando siamo nati noi – ma che mi sembravano dimostrare l’assenza di alcune difese importanti diciamo per non uscir di metafora – mancavano delle difese immunitarie del soggetto politico e del cittadino medio. Difese che abbiamo fino ad ora applicato in maniera talmente automatica, da renderle oggi difficili da individuare.

Il punto di convergenza di questi due episodi e degli argomenti di cui sono al centro, è la cittadinanza due punto zero, ossia quella fascia della popolazione mediamente istruita e non angariata dal digital divide che accomuna geografie e storie diverse. Questa popolazione nuova, mi si dispiega come una sorta di nuova borghesia, che a prescindere da delle condizioni economiche di partenza che possono anche essere svantaggiose o al contrario molto avvantaggiate, ha una buona istruzione, ha curiosità intellettuali e fascinazioni politiche, e dispone grazie all’effetto di un’istruzione di buon livello di un arsenale di medio raggio di strumenti per affrontare la realtà e forse, sempre in virtù di quella qualità della scuola pubblica che oggi si vuole prendere allegramente a sprangate, rivela una relativa compattezza ideologica, su ciò che è bene fare e ciò che non è bene fare.

Ma la caratteristica che ancora più contraddistingue questa nuova cittadinanza è l’uso della comunicazione tramite social, perché l’ingresso dei blog prima, di Facebook e Twitter dopo nella quotidianità della comunicazione ha trasformato i figli dei cittadini semplici di un tempo, in cittadini di diverso tipo. Perché succede questo: chiudono i quotidiani, reggono le versioni on line, scende il prestigio del giornalismo titolato, che si ritrova ad essere diffuso in rete sugli stessi media che usano i singoli cittadini per le loro comunicazioni, mentre questi ultimi abbandonano le conversazioni verbali con cui esprimevano i loro pareri e scrivono quello che pensano. Alla fine succede qualcosa che smette di essere un effetto ottico: i giornalisti esperti di questo o quell’argomento hanno un prestigio o una credibilità di poco superiori ai cittadini che esprimono pareri molto circostanziati e che magari a causa della loro estroversione e competenza relazionale hanno tanti contatti capaci di mettere in evidenza sui social network le loro posizioni.
La rete è democratica, la rete annulla le distanze! L’esperto di mediooriente ha tanti like quanto il ciccio formaggio, e il ciccio formaggio a sua volta – assume una rilevanza inedita rispetto a suo padre.
La questione ha implicazioni anche politiche: il tal parlamentare che magari è marginale rispetto al dibattito pubblico potrebbe avere in rete minore risonanza, per la sua magari non spiccata capacità a dominare il mezzo di quanta ne abbia invece il cittadino ics il quale, passando la giornata su internet dalla mattina alla sera è capace di diventare un opinion leader.
Questa cosa ha delle conseguenze importanti sullo statuto delle opinioni di questa cittadinanza, perché queste nuove opinioni sono infatti come dire, di grandezza fisica diversa. Non hanno la volubilità e la fatuità della parola detta, che oggi c’è e domani non si sa. Non sono pulviscolari come quelle di un elettorato anonimo la cui identità si indovinava incrociando dati percentuali e variabili sociologiche – quelli che votavano dc, quelli di sinistra quelli che. Sono opinioni grandi come messaggi scritti, piccoli mondi che diventano costellazioni di consenso, nebulose di like che rimandano la risonanza, diventano un oggetto culturale la cui manipolazione comincia a far gola e le cui reazioni diventano il termometro di un mondo di appartenenza.
Di questa cosa, si accorgono quelli di Is. Sognano di attaccare l’occidente, sognano di sconvolgerlo, e vogliono sentirsi potenti nel terrore che procurano, il loro gesto omicida conquista una postmoderna rigenerazione mediatica, la loro legittimazione arriva dal nostro scandalo. Sia detto a mo’ di inciso, nostro non tanto come occidentali, ma nostro come altri rispetto a loro, un’alterità che ci accomuna a molto mondo islamico, che oggi deve essere ancora più terrorizzato da quella minaccia, che ha visto ben più morti, e che però ha raggiunto un uso della rete non dissimile dal nostro.
La nuova borghesia globale 2.0.

L’accorciarsi delle distanze in termini di prestigio tra divulgazione di personale qualificato o rilevante per, e cittadinanza comune che esprime un’opinione – provoca però nuovi effetti anche in termini di qualità delle informazioni assorbite, e a cui si decide di accordare credibilità. Le vecchie e antidemocratiche gerarchie dell’informazione si configuravano per la loro diversa accessibilità come oggetti ultimi e come fonti citate, e la loro diversa possibilità di acquisizione: il giornale buono lo dovevi pagare, il libro ben fatto anche, posto che avevi i soldi per pagarlo lo dovevi capire, e non sempre potevi farlo nella tua lingua madre e senza altri strumenti suupportivi: c’erano meno mezzi di divulgazione e la decodifica di una nozione complessa aveva bisogno di enciclopedie, e dizionari e manuali di consultazione. La cultura era classista ma in una misura, non totale ma relativa anche più onesta.
Ora c’è la rete. L’informazione dell’alto approda insieme a quella del basso, delle volte ampiamente rimaneggiata, ossia decodificata per l’utenza, delle volte ampiamente travisata, molto spesso affiancata da baggianate di diametro inusitato, ma le decodifiche di affidabilità sono perdute, e tutta una serie di agghiaccianti e pericolose bufale si fa largo presso la nuova borghesia 2.0 che non sa più trovare strumenti per valutare ciò che la rete importa come veridico, sfruttando processi che anno anche a che fare con la psicologia cognitiva. E dunque, animalisti che credono che Spielberg abbia fatto guori un triceratopo, antivaccinisti che seguono con lo stesso gradiente di affidabilità il medico disconosciuto dalla comunità scientifica che parla di vaccini e autismo e il medico riconosciuto dalla comunità scientifica che nega la relazione. L’elemento determinante è la cornice della rete che fa da qualifica per se, oppure da squalifica altrettanto irrazionale – donde i complottismi di vario ordine e grado. Non ci credere, non è mai così.

La democrazia della rete ci piace tanto, l’annullamento delle differenze ci fa sentire più forti, più importanti. E infatti che bello! Su Facebook facciamo amicizia con scrittori famosi e personaggi televisivi che ci dicono cosa mangiano a pranzo e qualche volta diciamo qualcosa di davvero brillante e siamo veramente fichi! Che grazioso vantaggio narcisistico, quest’ascesa sociale in poltrona.
Ma intanto – nel mondo reale non cambia niente: politicamente rimaniamo complementi oggetti senza scavalcare alcunché per essere soggetti. I diritti vengono sempre più erosi, le condizioni economiche rimangono identiche e in ambito internazionale o meno – il nostro opinionismo altro non è che un oggetto usato a fini manipolatori – una cartina tornasole sulle cui reazioni basare le scelte future (per il momento in quale modo particolarmente glamour ammazzare il prossimo bambino – domani, chi sa). Allo stesso tempo diventiamo preda del truffatore e del ciarlatano abituati come siamo a considerare ciò che viene dalla rete ipso facto credibile solo per il fatto che viene dalla rete, e ci intortiamo in campagne di opinione che procurano il nostro danno certo – come la faccenda dei vaccini. La quale delegittima un sapere ufficiale proponendone la sostituzione con un altro che diventi altrettanto ufficiale senza avere le credenziali del precedente.
Forse occorre fare qualcosa.

11 pensieri su “borghesia 2.0

  1. Chi fa il mio lavoro combatte OGNI GIORNO con questo fenomeno. L’appiattimento, la trasversalità dell’informazione fa credere a tutti di essere a seconda delle necessità medici, avvocati, veterinari, psicologi, genetisti, critici d’arte, economisti, filosofi, storici e politologi. Le professioni intellettuali sono facilmente scippabili: leggi un forum e puoi pontificare liberamente, ci saranno sempre centinaia di ebeti più ebeti di te che non hanno letto neanche quello e penderanno dalle tue labbra. Il lavoro del fabbro non lo scippi così facilmente: senza martelloni e fucina ardente – nonché senza muscoloni che alla tastiera non ti vengono – il ferro non lo lavori. Invece chi esercita le una volta nobili professioni ogni giorno deve provare la propria competenza non di fronte ad una platea di pari _(che sarebbe anche buono) ma di fronte a chiunque abbia un minimo interesse sull’argomento e, quel che è peggio, senza distaccarsi troppo dalla massa in quanto rifiutare la mediocrità è quanto di più irritante per queste persone: e l’appellativo sprezzante di “professore” sancirà definitivamente la fine di ogni possibilità comunicativa. Il mio amore per il web e le sue molteplici bellissime opportunità soffre tantissimo di questa situazione. Forse la soluzione sarebbe vietare il web ai minorenni, indurre i cervelli a formarsi in maniera critica prima con le fonti tradizionali, meno facilmente manipolabili e che richiedono un esercizio attivo di comprensione, e solo in seguito consentire loro accesso al flow di informazioni della rete. Ma è un’utopia.

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  2. Costanza, innanzi tutto grazie dell’attualissimo post.
    È un problema non indifferente con cui non solo mi scontro ogni giorno, ma temo anche di diventarne vittima inconsapevole. Il 2.0 come vero ammalia menti intorpidite/assuefatte ad una comunicazione che spesso fonde immediatezza a superficialità e nei casi peggiori agisce a puro intento manipolatore.
    Web VM18 anni? Un’utopia – ed il web stesso ne perderebbe!
    Mi piacerebbe che ci fossero dei confini più nitidi da parte (ad esempio) della stampa nazionale, che sulle pagine dei quotidiani confonde giornalisti con opinionisti e preferisce titoli ‘sensazionali’ che attraggano click curiosi.
    Scandalo! Vergogna! Leggete e diffondete!
    A livello formativo sicuramente si potrebbe fare molto: perché non includere un module sull’ ‘Informazione 2.0’ alle ore di educazione civica?
    Mi fa (molto) male veder cadere in questi tranelli mia madre, una persona che ha normalmente ha un senso critico sopra la media, con un’istruzione superiore ed una coscienza politica e morale.

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  3. per la generazione de mio bisnonno valeva questa forma di validazione: lo ha detto il giornale.
    per quella di mio nonno : lo ha detto la radio.
    per quella di mio padre: lo ha detto la TV
    oggi dovrebbe valere: lo ha detto la rete.
    in realtà i miei avi non c’entrano: mio bisnonno era un falegname, non era analfabeta ma non credo leggesse i giornali. Se ne faceva altro uso dei giornali, uso che oggi considereremmo metaforico.
    Poi mio nonno, studiando la sera alla luce dei lampioni, perché c’erano pochi soldi e tanto fratelli, è diventato avvocato e ha fondato un giornale locale. Non avrebbe mai affermato : lo dice il giornale. Anche perché il suo fu requisito dal fascio, e diceva molte bugie. E alla radio ascoltava musica, mai notizie (a parte quelle in tempo di guerra, ma era Radio Londra)
    Mio padre, avvocato e giornalista anche lui, conosceva personalmente molti cronisti entrati in RAI per raccomandazione, e li definiva cazzari a pagamento. Non si fidava della TV

    Non volevo raccontare la storia della mia famiglia. L’evoluzione di cui ho parlato ha un significato. Quando è diventata borghesia, con mio nonno avvocato e giornalista, figlio del falegname di provincia significava che erano a disposizione i mezzi per usare in modo critico lo stesso ambiente del quale erano parte e al quale molti altri attribuivano credibilità. Avrebbero detto: sta scritto su un libro. Oppure: lo dico io. Quest’ultima è la mia versione preferita. Quando rinunciamo ad essere opinionisti di noi stessi, e per noi stessi, allora imperversano opinionisti di tutti i tipi

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  4. da anni mi sono convinta del danno, che hai saputo così vivacemente dipingere, costituito dall’incontro di alto e basso in questo luogo immaginario che è la rete. però penso che l’ufficialità di un tempo, non indiscutibile, ma di fatto tale, non fosse di per sé benefica. il movimento di maometto alla montagna era forse salutare (sforzarsi di leggere, di comprendere): ora che la montagna ( dell’informazione, dei saperi, dei pseudo-saperi, della pseudo-informazione) va a maometto (un maometto nel frattempo più diffusamente istruito e capace di comprendere), forse si rivelano le frane e le crepe che c’erano pure un tempo, ma che pochi erano in grado di rilevare e giudicare. il blob di alto e basso costituisce un’indubbia perdita, il fatto che ciò che dovrebbe essere alto possa, attraverso la rete, essere messo più diffusamente a nudo è invece un passo avanti. per me il problema è che certa pretesa cultura alta non ha fatto niente per circolare senza venir meno ai suoi connotati di necessaria elevatezza, dando per scontato di non portare in sé matrici di straccioneria: che invece allignavano beatamente indisturbate anche nell’era della carta stampata, quando pochi se ne sarebbero potuti avvedere. in più l’attrazione per la visibilità gioca un ruolo pesante su troppi: FB è stato privilegiato in luogo dei blog che hanno/avevano una loro dignità. accettando di giocare a uno sport per domenicali, smetti di essere un professionista: però poi devi accettare le regole da campetto di parrocchietta, ché, se qualcuno è disposto a considerarti un fuoriclasse, la maggioranza vuole giocare con te: e tu fai gol, ma anche solo assist, e anche niente.

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  5. credo che la scuola qualcosa possa fare, ma c’è bisogno di insegnanti che sappiano non solo di rete ma anche di metodologia. che insegnino a cercare le fonti, a compararle, a dedurne l’affidabilità. che abbiano e rendano ben chiaro il concetto che uno NON vale uno, se metti si parla di quantistica e il mio interlocutore è un fisico mentre io sarò tanto una brava persona, e magari ci ho anche una laurea in lettere, ma insomma.
    che come una volta leggere un solo giornale non ti dava garanzie nemmeno sui fatti, a meno che tu non fossi in grado di decodificare la manipolazione linguistica, adesso è tutto più complicato da un lato (ricordo ancora un pezzo di repubblica in cui si citava come fonte “l’autorevole new york post”, che è come dire che il sun è un quotidiano serio), ma dall’altro si ha modo, volendo e sapendolo fare, di verificare con un click e di andare a monte.
    volendo, e sapendolo fare.
    su questo la scuola potrebbe agire parecchio.
    anche sul far capire concetti base della comunicazione, quelli su cui c’era (c’è ancora?) un ridicolo corso di laurea. ridicolo fondamentalmente perché non c’è bisogno dell’università per queste cose: io personalmente le ho spiegate ai miei figli intorno ai cinque anni, e le hanno capite molto bene. e ora che sono sui vent’anni, non si sognerebbero di condividere le trucidate dell’isis, né le bufale che girano. perché nel secondo caso mettono in moto spirito critico e metodo scientifico, nel primo sanno distinguere la propaganda quando la vedono. e si rifiutano di esserne strumenti.

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  6. Per me si tratta di una nuova forma di analfabetismo. Cosi’ come e’ pieno di persone che sanno leggere ma hanno totalmente mancato gli obiettivi di “comprensione del testo” (purtroppo si nota spesso nei commenti ai post in molti blog anche non tecnici) ci sono questi nuovi analfabeti che non hanno sviluppato il sano scetticismo “se questa informazione sta su un social vuol dire che potenzialmente e’ fuffa e quantomeno va verificata”. Se vogliamo non fanno l’equazione “pagina di social = pettegolezzo in fila al banco macelleria”. A livello di scuola, far scrivere a una classe pagine di wikipedia potrebbe certamente allenare a distinguere fatti e fuffa, ma anche opinioni articolate e ragionate da chiacchiere da bar, perche’ e’ uno dei pochi posti in rete in cui si converge proprio su questo punto: tutti possono contribuire, e fa la differenza non il principio di autorita’ ma la preparazione, la sostanza, e fare la fatica di dimostrarla. Certo, ci vuole tempo e fatica, si perde l’immediatezza. E l’immediatezza e’ il problema che ci sta sotto. Non siamo abituati a prenderci tempo per capire le cose che ci passano davanti sullo schermo, o quantomeno quel tempo e’ un lusso che in pochi si permettono. Cosi’ il roboante lacrimevole lamento della mamma che si convince che il figlio e’ autistico per via del vaccino (che tutte le altre ragioni molto piu’ plausibili, incluso il fatto che non si sa perche’ ma e’ del tutto improbabile che i vaccini c’entrino, sono troppo difficili da elaborare) diventa “un fatto”, equivalente come rilevanza a tutta una trafila solidissima di pubblicazioni specialistiche revisionate e valutate in tutto il mondo, piene di evidenze scientifiche (= fatti riproducibili e verificati) . E’ perche’ non ci si ferma a pensare, si salta subito all’emozione, con semplicismo.

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  7. Cara Costanza, sono sensibilissima al tema delle pseudoscienze e pseudoconoscenze diffuse in rete, come forse sai, e infatti ho seguito alcune delle attività del CICAP, che se ne occupa con grande attenzione e allarme. La rete sicuramente ha amplificato questo fenomeno ma ciò che trovo interessante è proprio analizzare gli strumenti logici e dialettici di cui si servono i sostenitori delle supposte verità alternative per provarne la veridicità – secondo loro – e divulgarle (spostare l’onere della prova sul sostenitore della versione ortodossa è solo il più famoso). Mi sono sempre chiesta quali fossero i meccanismi psicologici che sottendono questo atteggiamento. E’ singolare che si tratti spesso di persone sì mediamente preparate, come dici tu, ma raramente di cultura alta (oddio, ci sono anche delle pazzesche eccezioni e anche fra persone di formazione scientifica!!!). Ho avuto a volte la sensazione, per averci parlato personalmente, che queste persone coltivassero questi interessi e queste credenze anche un po’ per una sorta di rivincita nei confronti di un mondo accademico che li ha respinti o a cui non si sono proprio avvicinati, e che si servissero, per rafforzare la loro posizione, non potendo dichiarare il loro complesso e nemmeno riconoscerlo a se stessi, dello schema persecutorio e complottista (la scienza ortodossa ci tiene nascosta le verità vere, la cura per il cancro esiste ma non la divulgano perché conviene alle multinazionali che la gente continui a curarsi e a crepare, non siamo mai sbarcati sulla Luna ed era solo una mossa politica per mostrare i muscoli ai russi ecc ecc). Sarebbe per me molto interessante se tu spiegassi le motivazioni psicologiche di queste scelte, perché sono certa che queste persone soprattutto VOGLIANO pensare quelle cose e ne sentano il bisogno, e questo chiaramente è l’esatto contrario della scelta libera e lucida basata sulla ragione e sulla fiducia nella scienza e nei suoi – collaudati – metodi.
    Verissimo e triste ciò che dici quando scrivi “Ma intanto – nel mondo reale non cambia niente: politicamente rimaniamo complementi oggetti senza scavalcare alcunché per essere soggetti”!!!
    Eh già, infatti non è vero che la rete è democratica. Se la rete è democratica lo è anche la piazza, e invece non è così. La democrazia è un regime di delega che filtra e razionalizza (o dovrebbe farlo) le istanze delle moltitudini. Uno di questi filtri, in ambito culturale e scientifico, è il merito e la comprovata preparazione di chi ha studiato. La rete non è democratica, è oclocratica, è la piazza del mercato. La cosa mostruosa è che ha più risonanza, e l’appeal patinato di una rivista accreditata. Sì, si dovrebbe fare qualcosa, come disse anche la Boldrini quando fu orribilmente insultata. Ma se lo dici passi per liberticida.

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  8. Sollevi un problema a cui penso spesso anch’io.
    C’è però un dubbio che mi passa spesso per la testa – e che butto lì così, come niente più di un dubbio.
    C’è davvero differenza fra il qualunquismo vintage e il qualunquismo high-tech? Voglio dire, siamo davvero ad uno stadio più avanzato, o la coglioneria è solo più visibile? Perché la furibonda circolazione delle (dis)informazioni mi sembra talvolta soltanto un megafono in mano ad un deficiente: laddove il “si stava meglio quando si stava peggio” di un tempo nasceva e moriva sul predellino dell’autobus, oggi il qualunquista ha una rete a disposizione, e la possibilità di fare massa critica fra qualunquisti (ma anche vegani, complottisti, ufologi, sadomasochisti…) è diventata enorme. Ci si sdogana a vicenda, velocemente e senza bisogno di passare il vaglio di un dibattito aperto e pubblico: la rete è in realtà per gran parte un insieme di clan impermeabili uno all’altro.
    In questo senso la rete è, sì, “democratica”: c’è un momento di gloria per tutti, e l’immagine che ne esce fuori è un triste cocktail di quello che passa per le teste della massa. D’altra parte la democrazia senza virgolette, quella vera, è invece un sistema con molte intermediazioni, in cui la rappresentatività si incanala in binari metodologici molto precisi, e in personaggi della giusta levatura.
    Cosa che negli ultimi trent’anni non ha fatto comodo a nessuno.

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  9. Il complottismo non è figlio della rete – che pure ne offre tanti e per ogni gusto – ma dei libri. Anche se smentì a strettissimo giro (mi pare di ricordare una settimana) i Protocolli dei Savi di Sion fuorono validati come autentici da un blasonato quotidiano inglese e dalla Civiltà Cattolica, la rivista dei gesuiti le cui bozze erano riviste dalla Segreteria di Stato. Il negazionismo è diventato un’opinione – invece di essere classificato come una malattia – perché Liberation aprì le sue pagine a Faurisson. Da Feltrinelli, ben prima della diffusione della rete, nel reparto archeologia trovavi (e trovi) uni accanto agli altri l’ultima edizione di noto archeologo e il demente persuaso che le piramide le abbia edificate ET: qualche volta hanno anche lo stesso editore generalista. Non nego che la rete amplifichi questo fenomeno trasformando la mia opinione di cittadino tale e quale a quella di un nobel per la fisica quando di fisica si parla, tuttavia la paccottiglia di cui parli nasce fuori . Gli antivaccinisti hanno trovato un florido terreno nella diffidenza per la medicina, nella riscoperta della “natura”, nei circoli che organizzano i corsi pre parto. Visionando un programma universitario – una triennale – per ostetriche ho trovato come testi obbligatori per gli esami i migliori esaltatori del “parto naturale”, del “dolore come prova”. I terorici del parto nell’acqua e di quello sopra gli alberi. Gli autori sono gli stessi che tuonano a favore dell’omeopatia, del legame vaccino-autismo. Il re della mistificazione sull’undici settembre, quando ha iniziato questo percorso era una firma tra le più prestigiose della Stampa di Torino. Nella rete – tuttavia – puoi trovare anche gli anticorpi a derive di tal fatta così come le trovi nei libri: un po’ meno su giornali e Tv – anche pubblica – perché il presunto mistero vende e fa audience: te una trasmissione come Voyager (e dintorni) come la spieghi su un servizio pubblico che, in teoria, dovrebbe avere alti standard?

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  10. Grazie a tutti, molto rapidamente: la rete secondo me conferisce materia alle opinioni. Il passaggio alla parola scritta che rimane comporta un uso diverso e nuovo della parola dell’opinione di ciò che prima era espresso con la levità dell’oggi c’è e domani chi sa. Donde una serie di fenomeni un altro spessore una concorrenza. Quindi non è che la rete genera modi nuovi di ragionare, e su questo hai ragione rob, ma una sorta di concorrenza territoriale dei cretini con i più preparati che rende più difficili le decodifiche e le gerarchie. E naturalmente è noto a tutti che il complottismo non lo inventa la rete – ma la rete facilita un tipo di complottismo.
    Certo che la scuola potrebbe fare moltissimo nell’aiutare chi ci va a una fruizione intelligente della rete, e a una decodifica delle competenze e spero che questo prima o poi si faccia. Ma c’è anche un problema che riguarda la generazione del sapere, e le agenzie di riferimento che al momento sono sempre più in difficoltà nel sopravvivere. Sopravvive la fuffa l’onesta amatorialità e bisogna essere molto fortunati.

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  11. bellissimo post, costanza, ben argomentato e originale e assolutamente condivisibile. un chiaro esempio di pericoloso livellamento verso il basso. ti leggo sempre eh. e mi fai sempre pensare, anche se commento poco

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