Giulia, i bambini, le madri, i padri la legge e la coerenza.

Da molto tempo a questa parte la PAS, la sindrome di alienazione parentale, proposta di Gardner e rifiutata da qualsiasi contesto psicologico e psichiatrico è oggetto di grandi e calorosi dibattiti.   Nelle intenzioni di Gardner la sindrome doveva servire a individuare minorenni manipolati dal genitore affidatario e indotti a credere di provare sentimenti ostili verso il genitore non affidatario, effetto che sarebbe garantito tramite una sorta di campagna di allontanamento e di denigrazione.
Questo tipo di circostanze è moderatamente frequente, e gli psicologi che lavorano con i minori ne fanno una costante esperienza – tuttavia la formulazione di Gardner aveva molte lacune, tali da rendere il costrutto auspicabilmente, inutilizzabile. Ora non mi va di ripetere cose di cui ho già parlato a lungo – qui per esempio. Per brevità ricordo solo che il clouster diagnostico di Gardner non propone una lista di sintomi ma un insieme di comportamenti a volte semplicemente adattivi, non rileva elementi di sofferenza del minore che invece sono tipici di questo ordine di circostanze, pensa il sistema familiare in termini di mezzo sistema sano e mezzo sistema funzionante, e lo pensa in termini fondamentalmente sessisti. Il mezzo sistema malfunzionante secondo Gardner è sempre materno – come si evince più che altro da alcune sue dichiarazioni. Infine manca del tutto una corretta diagnosi differenziale con le diagnosi con cui può confinare: l’abuso reale e l’abuso assistito. Ossia: in quali comportamenti il bambino che ha una PAS è diverso dal bambino che è vittima di un abuso? Quando un bambino che dice che la madre è stata picchiata sta mentendo? O che lui è stato picchiato? Esistono sintomatologie diverse? Questo quesito è importante.
La cultura psicologica italiana –ai minimi termini- unita a un sostanziale sessismo di fondo, non di rado ravvisabile nei tribunali, ha portato a un uso avventato della PAS soprattutto in molto processi in cui al centro della questione c’era l’accusa di violenza di genere del padre sulla madre e di violenza assistita verso il minore. Il concetto di alienazione parentale è stato chiamato in causa dagli avvocati di parte come grimaldello per screditare la violenza sulla donna, e a far passare come invenzioni le denunce di aggressioni e percosse. E dunque, è abbastanza comprensibile e plausibile che oggi solo a sentirne parlare, soprattutto considerando che al di la delle etichette generiche sono le madri ad essere accusate di istillare delle menzogne nei figli, la maggior parte delle donne si arrabbi terribilmente. E nella complicata situazione di un paese con l’economia di un primo mondo e l’ideologia di un quarto la maggior parte delle femministe – che vanno lottando per abitare per lo meno il secondo – rimanga sconcertata di fronte a chi combatte per un ingresso a pieno titolo della pas nelle cause di diritto di famiglia. I mariti picchiano, non pagano gli alimenti, si rifanno con gesti violenti sui figli in percentuale preponderante nelle cause di separazione, ci possiamo davvero stare a occupare di PAS? Non ci sarebbe una lista di cose prioritarie prima?

In mezzo a questi interrogativi Hunziker e Bongiorno, insieme già in una fondazione per la lotta allo stalking e alla violenza di genere, hanno deciso di patrocinare una nuova proposta di legge che sanzioni la PAS financo con la galera. Si era appreso qualche giorno fa con un’intervista da Fazio, in cui la showgirl aveva alluso al fenomeno e parlato della diagnosi, e ne era sorto un risentito dibattito, con tutte le associazioni femministe pronte a negare l’esistenza stessa del costrutto e delle circostanze che lo producono, mentre psicologi e psichiatri cadevano in un silenzio imbarazzato dinnanzi a una protesta di legge che a proposito di un sistema familiare nella sua interezza abusante e compromesso sancisce IL BUONO e IL CATTIVO proponendo IL GABBIO per il cattivo utilizzando una diagnosi che, pur individuando qualcosa di riconosciuto clinicamente, è al momento inutilizzabile per come è operazionalizzata. A correggere il tiro poi, arriva l’intervista di Susanna Turco a Giulia Bongiorno, che paraculescamente cerca di mettere una pezza sull’evocazione della pas dicendo cose come no, ma mica parliamo di quello eh – quando ci sono gli psicologi non ci si capisce mai niente! E allora noi parliamo delle circostanze oggettive, capito come.

Dice l’intervistatrice – scusa ma ci hai fatto caso al fatto che allo stato attuale dell’arte, di pas si parla sempre nei processi di abuso?
Si ma a me, che me frega. Se va così va così.
Un’intervista istruttiva, leggetela.

Ora. Bongiorno si occupa da sempre anche con una certa serietà e buona fede di violenza di genere, e probabilmente si sente protetta dal suo stesso curriculum. E ha certamente ragione a occuparsi di un fenomeno che esiste, e a indicare la necessità di offrire giuridicamente degli strumenti di intervento perché è vero che esiste il fenomeno, è vero che non di rado molti padri, sono allontanati ingiustamente dai figli, e soprattutto è vero questo io credo- che la vita un padre ci da, quel padre, non un altro, con quello dobbiamo fare i nostri conti belli e brutti di figli, e per quanto è possibile quel padre li che è nostro, non ci deve essere tolto. I bambini hanno davvero questo diritto ed è giusto che sia rispettato. E penso come ho scritto nel post linkato che in un figlio questa questione crei dei conflitti inconsci e quindi mi dissocio da tutte quelle correnti femministe che vogliono cassare la PAS tout court.

Ma certa supponenza e goffaggine sono imperdonabili. Si percepisce l’occhio fisso su un femminismo che è anche corretto, e che come vuole più accesso per le donne nel mondo del lavoro chiede il riconoscimento degli uomini nel mondo del privato e quindi si propone di sanzionare quei casi in cui il femminile usa il privato come forma di potere. Tuttavia lascia sbigottiti da una parte la malagrazia con cui ci si avventura in un dibattito ampiamente avviato, fino a raggiungere vertici inusitati di becera ignoranza: ah le femministe non hanno letto la legge mia, (ma dovevano? Ma a che serve avere una showgirl a comunicare se alla prima critica su quella comunicazione si rinfaccia la legge? Ma correggi la comunicazione prima) ah si la pas non esiste vabbeh io non ne parlo mica, ma però mi serve parlarne, ah tanto gli psicologi confondono le acque sebbene sia del benessere psicologico dei bambini nevvero che si dovrebbe parlare – e per quanto alla fine la questione sia un giochino di potere tra le parti e una patologia del potere quello dovrebbe essere il vertice di osservazione.

Dall’altra anche la stessa proposta di legge rende perplessi perché è ispirata sul principio della sanzione come efficacia detrattiva su un certo comportamento – la minaccia del gabbio! – e pone l’accento sull’idea di un comportamento colpevole contro uno invece non colpevole quando se fossero chiamati in causa le persone competenti le cose sarebbero impostate in ben altro modo. E il sistema familiare ad essere rotto. Posso capire il sanzionare una ex coniuge che non faccia rispettare il ritmo di visite all’ex marito, o l’esercizio della funzione paterna. Ma la sanzione di un’opinione sull’ex marito mi pare una forma di delirio istituzionalizzato oltre che ridicolmente controproducente.
Al di la delle mie perplessità sul testo della legge, non credo che si possa risolvere il problema della comunicazione su questi temi mettendo in mezzo una signorona di successo nello spettacolo che odora di superficialità e privilegio ogni volta che sorride e ciancia di un mondo materiale che non sarà mai costretta a sfiorare, e forse sarebbe un atto di coerenza oltre che la risposta a una necessità tanto sentita, proporre degli strumenti anche giuridici e richiederne di psicologici per aiutare quelle stesse avvocate femministe e periti di parte a discriminare la PAS dai casi di abuso – sia nel caso in cui l’abuso sia violenza subita direttamente dal minore che sia invece violenza assistita sulla madre. Per quanto alla Bongiorno l’intervento degli psicologi appaia come confusivo, forse non se ne può prescindere tanto, considerando il fatto che in questo genere di processi la testimonianza del minore è dirimente. Non solo come diretto interessato nei casi di affido ma anche come teste per appurare l’eventuale violenza sulla madre la quale come si diceva spesso è screditata invocando la pas. Va ricordato infatti che spesso quando gli uomini compiono violenza si mettono nelle circostanze opportune a che la vittima abbia come unica testimonianza proprio i figli, e attuano processi intimidatori allo scopo di non far produrre alla vittima prove che possano poi essere usate contro di loro. Per esempio prima le accoltellano poi le portano al pronto soccorso e in loro presenza le donne aggredite non parleranno di aggressione ma di incidenti e l’ospedale non potrà scrivere niente di utile in un processo futuro. Allora capire da altri e più adeguati sintomi se un bambino racconta di un abuso per non perdere la vicinanza con la madre, o invece lo fa perché ne ha memoria diventa un compito ineliminabile e una nuova riformulazione della PAS quanto mai auspicabile. Io ho la sensazione che certe sintomatologie molto franche e invalidanti – bambini che hanno appetito disturbato, che non dormono la notte. Oppure che sono precocemente portati a fare giochi in cui al centro c’è la violenza e un contenuto pesantemente sessuale, in maniera reiterata e ossessiva siano più probabilmente vicini all’esperienza di abuso reale che presi da una narrazione dell’abuso. L’abuso rompe, disorganizza crea un disagio esperienziale. Il suo racconto allo scopo di tenere vicino un materno avvertito come importante forse non comporta le grandi fratture psichiche della grave violenza assistita o subita e se ci dovesse essere una sintomatologia comparirebbe più tardi, con connotazioni più sottili. Ma su questo mi piacerebbe che intervenissero colleghi che lavorano con bambini.

Quello che posso dire con certezza è che coerenza vuole che – se ti occupi di violenza domestica il lunedì, non te ne puoi fottere il martedì perché il nuovo argomento ti attizza di più.

8 pensieri su “Giulia, i bambini, le madri, i padri la legge e la coerenza.

  1. Una precisazione importante. L’articolo di Gardner, poi tradotto in italiano da una pedagogista e inserito in un libro del 1997, non è stato pubblicato da una rivista scientifica statunitense ma da una rivista di opinioni. La cirtazione blgbliografica di questo articolo è la seguente: Richard A. Gardner, Recent Trends in Divorce and Custody Litigation, ACADEMY FORUM, vol 29, no 2, at 3 (American Academy of Psychoanalysis, 1985). Bene la rivista Academy Forum si trova a questo link: http://aapdp.org/index.php/publications/academy-forum/ e nelle istruzini agli autori si può leggere chiaramente che la rivista pubblica le opinioni personali degli autori.
    Nulla di scientifico ma solo un’opinione non supportata da evidenze scientifiche ma da affermazioni prive di senso.
    Come si possa ancora stare a discutere dell’opinione di uno che per tutta la vita si è spacciato per professore universitario alla Columbia senza esserlo (http://www.nytimes.com/2003/06/09/nyregion/richard-gardner-72-dies-cast-doubt-on-abuse-claims.html) e che venne definito dalla stampa dell’epoca come un autentico mostro americano? (http://web.archive.org/web/20100402103804/http://www.independent.co.uk/news/obituaries/dr-richard-a-gardner-548246.html).

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  2. Mi perdonerai se ti do del tu in questo intervento, ma visto che ti seguo mi viene naturale. Spero che lo intenderai non come una mancanza di rispetto, ma come la proposta di uno scambio di opinioni non troppo formale.
    In questo articolo tu giustamente contesti alla Bongiorno, oltre alla proposta di legge in sé, anche le strategie comunicative messe in atto per divulgare la sua iniziativa.
    Allora permettimi di esprimere la mia critica sulle tue strategie comunicative.
    Prima di Richard Gardner, già Wallerstein e Kelly a partire dalla seconda metà degli anni ’70 teorizzarono che ci potesse essere qualcosa di patologico nel rifiuto di una delle figure genitoriali e nell’alleanza con l’altra nel contesto del divorzio (Wallerstein, J.S., & Kelly, J.B., 1976. The Effects of Parental Divorce: Experiences of the Child in Early
    Latency. American Journal of Orthopsychiatry, 46(1) 20-32- Wallerstein, J.S., & Kelly, J.B. (1980). Surviving the
    Breakup: How Children and Parents Cope with Divorce. New York: Basic Books), ma la loro ricerca si focalizza sul concetto di “children’s alignment”, non parlano di “alienation”.
    Il primo ad introdurre l’espressione “parental alienation syndrome” è Richard Gardner. Quando si parla di Pas, non si parla della ricerca di Tizio o Caio in merito alle problematiche di un minore coinvolto nella separazione più o meno conflittuale dei suoi genitori, ma si parla solo ed esclusivamente di Richard Gardner e delle persone che nello stilare una valutazione psicologica si servono dei suoi criteri diagnostici per stabilire se quel bambino è “alienato” o non lo è.
    Proprio perché condividi l’opinione della comunità scientifica in merito al suo lavoro (parli di “costrutto inutilizzabile”), non puoi non comprendere l’indignazione di chi protesta contro la sua utilizzazione nelle aule di Tribunale.
    Dire che il lavoro di Gardner presenta errori e lacune (perché, appunto, quelli che descrive non sono “sintomi”, perché non prendono in nessuna considerazione la sofferenza del minore, perché è viziato dal sessismo – sono cose che hai scritto tu) e poi sostenere che “la Pas esiste” è una contraddizione in termini.
    La Pas è Richard Gardner, è il suo lavoro, i suoi libri, e tutti i libri e gli articoli scientifici che alle sue osservazioni cliniche fanno riferimento.
    Una delle critiche che è stata mossa al suo lavoro dal Professor Robert Emery in un articolo dal titolo “Parental Alienation Syndrome: Proponents Bear the Burden of Proof”, parla proprio del fatto che le osservazioni cliniche sono per un professionista il materiale atto a formulare delle ipotesi, non delle conclusioni: “I do find clinical experience enriching and rewarding in numerous ways. As I tell my graduate students, clinical work can be the best place to develop creative hypotheses. Still, we all have to recognize and admit that clinical experience, including case studies, prove nothing.”
    Ti linko l’articolo intero, nel caso ti interessasse: http://www.ncdsv.org/images/PASProponentsBeartheBurdenofProof_Emery_2005.pdf
    Quello che ci dice Emery è che il lavoro che psicologi e psichiatri svolgono ogni giorno con i bambini, può condurli a formulare delle ipotesi, ma perché quella teoria venga considerata vera o meno occorre la validazione della ricerca scientifica (che né Richard Gardner, né i suoi epigoni hanno mai svolto).
    Non posso sostenere che la sofferenza di un bambino è riconducibile ad una causa (quel bambino si comporta in questo modo perché vittima dei tentativi di alienarlo messi in atto da quel genitore) se non ho degli strumenti atti a dimostrarlo.
    Tu poni una serie di domande: in quali comportamenti il bambino che ha una PAS (io direi “manipolato”, ad esempio, evitando di nominare una sindrome sconfessata dalla comunità scientifica) è diverso dal bambino che è vittima di un abuso? Quando un bambino che dice che la madre è stata picchiata sta mentendo? O che lui è stato picchiato? Esistono sintomatologie diverse?
    Ti pongo io qualche altra domanda: a tutte queste domande c’è a tutt’oggi una risposta, da qualche parte?
    Tu sostieni che gli psicologi fanno costante esperienza di “circostanze” che li inducono a teorizzare che esista un certo numero di minorenni manipolati dal genitore affidatario e indotti a credere di provare sentimenti ostili verso il genitore non affidatario, effetto che sarebbe garantito tramite una sorta di campagna di allontanamento e di denigrazione (la medesima ipotesi di Gardner). Sostieni che la presenza di tali circostanze è “moderata”.
    Stiamo parlando di mere ipotesi, o stiamo parlando di teorie validate da una qualche bibliografia accreditata che non abbia Richard Gardner fra le sue premesse?
    Ma soprattutto, se il lavoro di Gardner non è utile ad indagare queste “circostanze”, perché continuare a descriverle con l’espressione Pas? Quali sono i testi che la utilizzano cui fai riferimento? Chi sono i ricercatori che hanno codificato questa nuova e diversa Pas? Dove la possiamo trovare?
    L’errore comunicativo è evidente. L’associazione Pas-Gardner è immediata, perché è stato lui a coniare l’aspressione, perché chi prima di lui ha indagato la sofferenza del minore nell’ambito della separazione non l’ha mai usata, e perché le sue teorie sono tutt’oggi difese a spada tratta da un manipolo di professionisti che continua a far riferimento ai suoi testi e ai suoi “sintomi”, perché la sua PAS è celebre, mentre di questa “altra Pas” di cui parli tu la stragrande maggioranza delle persone non ne sa niente.
    Io non ne so niente.
    E mi piacerebbe saperne di più.

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  3. Molto velocemente.
    Grazie delle informazioni aggiuntive a entrambi e dei link utilissimi per approfondire l’argomento. Chi vorrà potrà utilizzarli.
    Una risposta breve a Ricciocorno. Uso il termine Pas per brevità, e funzionalità. Nella comunità scientifica è utilizzata per capirsi tra clinici. Credo che la bibliografia recente sia vastissima e una ricerca porterebbe a tanti risultati. Non ho purtroppo il tempo di vagliarla e riportarla qui. Molti clinici però se ne stanno occupando, io meno perchè lavoro prevalentemente con adulti – ma ho riscontrato questo tipo di patologia familiare lavorando con adolescenti, esperienza sul campo insomma. Ma per esempio Francesco Montecchi con la sua equipe sta lavorando da diversi anni in questa direzione – puoi provare a vedere se ha pubblicato qualcosa. So che ha organizzato in varie sedi diversi workshop e incontri. Ma ripeto se ne parla tanto da tanto. E’ solo che è molto sottile individuare il perimetro della sindrome.

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    • Insomma non sa rispondere… credo… so… ho riscontrato… se ne parla tanto da tanto ma non sa citare un saggio scientifico. Uno. Quello più importante. Non la storia degli studi sull’argomento. Che pure dovrebbe conoscere. Con una risposta del genere non supererebbe un esame universitario da tre crediti.

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    • A proposito del lavoro del Montecchi.
      Beh, francamente credo che io e te abbiamo un’idea di scienza completamente diversa.
      In un articolo che chiunque può leggere online (http://www.sipsarivista.it/quaderni/n6_Quaderni_psicoanalisi_psicodramma_analitico_2013.pdf – pag.7 – Crisi di coppia ad alta conf
      littualità, sintomi dei figli, la cura come diritto: la sindrome di alienazione genitoriale – PAS) ti faccio un esempio di premessa che io personalmente considero priva di fondamento scientifico: “Sto parlando di una genitorialità costituita come un’unità di padre e madre. La genitorialità può essere per me rappresentata come una bicicletta:
      la bicicletta funziona se ha due ruote; se una ruota non funziona tutta la bicicletta non funziona. Quindi se
      uno degli elementi che compongono la genitorialità non funziona, o è rotto, nel mondo interno del bambino l’attivazione della competenza genitoriale non funziona.”
      Questa è un’affermazione molto forte, che però non trova riscontro alcuno nella ricerca empirica sull’argomento: nei bambini che vivono con un solo genitore la ricerca non riscontra particolari carenze o sofferenze
      Ad esempio nel 1999 il Professor Henry Ricciuti ha pubblicato uno studio che, dall’esame di ben 1700 bambini, non rileva particolari problemi scolastici o relazionali in quelli che vivevano con un genitore single. http://www.researchconnections.org/childcare/resources?author=Ricciuti%2C+Henry
      Afferma il Dottor Ricciuti: “The findings suggest that in the presence of favorable maternal characteristics, such as education and positive child expectations, along with social resources supportive of parenting, single parenthood in and of itself need not to be a risk factor for a child’s performance in mathematics, reading or vocabulary or for behavior problems.“
      I risultati suggeriscono che la presenza di caratteristiche positive nella madre, come educazione e aspettative positive nei confronti del bambino, unita a risorse sociali a supporto della genitorialità, è sufficiente a far sì che l’essere un genitore single non risulti di per sé un fattore di rischio per lo sviluppo di competenze matematiche o linguistiche, né comporti nel tempo problemi comportamentali.
      Ora: come si fa a dire che la genitorialità è una bicicletta a due ruote, se nella realtà anche i monocicli sembrano andare avanti benissimo?
      L’enfasi sulla bigenitorialità, sull’importanza della coesistenza di due figure genitoriali, risulta parecchio rischiosa quando nella relazione è coinvolta la violenza domestica. A tale propositoun articolo di Sara Shoener http://www.nytimes.com/2014/06/22/opinion/sunday/domestic-violence-and-two-parent-households.html?smid=tw-share&_r=1 che ha un titolo importante: “Two-Parent Households Can Be Lethal”.
      Non sto dicendo, ovviamente, che non bisogna difendere il diritto del bambino a conservare il rapporto con entrambi i genitori, ma solo che quando se ne parla sarebbe opportuno aggiungere: “salvo quando uno dei due genitori è violento, verso il partner o la prole”. Una precisazione doverosa, secondo me, a prescindere dalla Pas.
      A parte questo, come puoi notare la riflessione di Montecchi parte sempre dalle osservazioni di Richard Gardner.
      E, proprio come Gardner, parte dal presupposto che il bambino che rifiuta una figura genitoriale versi necessariamente in uno stato patologico. Non c’è una riga, nell’articolo che ti ho proposto, che ci aiuti a distinguere un bambino che rifiuta una figura genitoriale perché abusante, da un bambino affetto da Pas.
      Semplicemente gli argomenti “abuso” o “violenza domestica” vengono ignorati.
      Ed è questo il punto debole di tutta la bibliografia sull’argomento: il clinico che si forma su testi del genere perché mai dovrebbe andare ad indagare se il rifiuto è causato da eventuali abusi, visto tutti gli articoli che trattano l’argomento non glielo suggeriscono?
      Eppure, alla luce della casistica – alla luce dei madornali errori diagnostici che ormai sono sotto gli occhi di tutti, e che hanno condannato fin troppe persone in giro per il mondo – il primo pensiero di un clinico che affronta l’argomento dovrebbe essere: come faccio a distinguere un bambino che rifiuta un genitore perché invischiato in un conflitto di lealtà da un bambino abusato o vittima di violenza assistita che devo tutelare da un genitore potenzialmente pericoloso?
      Le prime domande alle quali dovrebbe rispondere Montecchi in un articolo sulla Pas dovrebbero essere: in quali comportamenti il bambino che ha una PAS è diverso dal bambino che è vittima di un abuso? Quando un bambino che dice che la madre è stata picchiata sta mentendo?
      Le stesse domande che ti ponevi tu, e che lui non si pone.
      Le stesse domande alle quali occorre dare quanto prima una risposta. Perché se privare un bambino di una figura genitoriale può creare qualche problema – e non sembrerebbe, visto che sono cresciuti con un solo genitore Alexandre Dumas, Jack London, Isaac Newton, Leonardo da Vinci, John Lennon e tanti altri – affidare un bambino ad un soggetto abusante mi sembra comporti rischi maggiori: potrebbe venire ucciso, ad esempio.
      Comunque, visto che lo suggerisci, proverò a comprare l’unico libro di Montecchi sull’argomento, nella speranza di trovare qualcosa di più concreto della storia della bicicletta…

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      • Ricciocorna che dirti, io sulla impellenza di questa diagnosi differenziale sono d’accordissimo. E spero che venga presto una risposta più definita dalla ricerca clinica. Ora mi chiedo anche cosa vuol dire, il fatto che tardi a venire – non tanto da un punto di vista ideologico, ma da un punto di vista clinico. Poi capisco che turbi, ma a me la metafora della bicicletta piace da matti. Si tende a pensare la clinica come qualcosa che riveli solo il macroscopico e il prestazionale, ma credo che riveli anche grandezze sottili e problematiche che afferiscono alla scala emotiva. Chi sa com’era London anche con l’altro genitore. E c’è anche il problema su cui sempre si incagliano questi dibattiti di una disciplina non del tutto univocizzata nei suoi processi di ricerca, nel suo dibattito scientifico. E questo la rende vulnerabile in circostanze del genere – perchè ancora poco normativa quindi poco affidabile ma allo stesso tempo molto creativa e funzionale. Comunque, ora, il testo di Montecchi me lo procuro pure io.
        Grazie per il contributo.

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  4. Lasciando fuori le situazioni estreme di violenza, fisica e psicologica, che pure esistono e che richiedono azioni protettive specifiche, la cosa che più fa tristezza in molte situazioni di separazione giudiziale è che due persone siano talmente prese da se stesse e dai propri risentimenti ingovernabili, da dimenticare di essere genitori, ossia di aver messo al mondo uno o più esseri inermi che da loro dipendono (in tutto e per tutto) e che probabilmente già hanno subìto le conseguenze dell’incapacità degli adulti di avere un rapporto decente con le proprie emozioni, oltre che con l’altro.
    In tutto questo, pensare di trasformare per legge in un reato severamente sanzionabile un qualche atteggiamento e comportamento che fondamentalmente è patologico mi sembra non solo inutile, ma decisamente dannoso in primo luogo per i figli, ma anche per i genitori stessi, che andrebbero accompagnati e assistiti in altro modo.
    Ovviamente non mi faccio illusioni e so per esperienza che alcune situazioni sono talmente distorte da lasciare poche speranze di poter arrivare a una soluzione dei conflitti che sia più rispettosa delle parti in gioco, in particolare delle parti più deboli (i minori), che a loro volta di tutto avrebbero bisogno meno che di sentirsi appioppare una diagnosi. Il loro disagio, infatti, comunque si manifesti, è paradossalmente una risposta o una comunicazione ‘appropriata’ (soprattutto tenendo conto della loro legittima immaturità) al contesto disturbato in cui vengono a trovarsi, e non è una ‘malattia’ (almeno non lo è ancora). Men che mai una ‘malattia’ da usarsi come arma nella guerra di due irresponsabili, fiancheggiati spesso da legali poco sensibili alle problematiche affettive.

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  5. Io credo che si è dominati dal desiderio di essere “creativi”, e si subisce il fascino estetico di una metafora, si dovrebbero scegliere altre strade, la poesia, ad esempio, o qualche altra forma d’arte.
    La psicologia ha la grande responsabilità di avere una pesante influenza sulle vita delle persone che si affidano ad un terapeuta per superare momenti difficili della loro vita, e questa responsabilità dovrebbe frenare le speculazioni sulle vite possibili, un filone narrativo tra l’altro già ampiamente sfruttato.
    La metafora della bicicletta può anche essere bella, e magari nel contesto di una conversazione privata, in un particolare contesto, può assolvere la funzione di aiutare un singolo a comprendere la sua particolare situazione, ma come concetto generale fa acqua da tutte le parti.
    Se la genitorialità fosse una bicicletta a due ruote – e sappiamo che senza una ruota una bicicletta è inservibile – questo comporta la logica conseguenza che anche quando una delle due ruote è un soggetto maltrattante e abusante deve per forza di cose mantenere il suo posto; in questo modo le vittime di maltrattamenti e abusi rimangano saldamente vincolate al loro aguzzino.
    Di fatto, come testimoniano decine e decine di studi, questo è ciò che accade in un gran numero di casi: http://psycnet.apa.org/psycinfo/2014-36049-001/
    A dispetto delle denunce di violenza domestica, in ambito giudiziario – ormai dominato da una cultura pro-contatto – i genitori violenti sono legittimati dalle decisioni di chi di dovere a perseverare nella loro opera di vittimizzazione di ex partner e minori, anche dopo che le sue vittime hano cercato di sottrarsi per mezzo della separazione.
    Se non possiamo sapere con certezza cosa sarebbe stata la vita di John Lennon se i suoi genitori non si fossero separati e lui non avesse deciso di rimanere con la madre, quello che sappiamo con certezza è che abusi e violenza assistita si ripercuotono sulla salute fisica e sul benessere psicologico dei bambini per il resto della loro vita, pertanto il primo pensiero di un terapeuta deve essere verificare che non sussista una simile situazione, prima di preoccuparsi della tutela di una genitorialità a due ruote.
    Non si può discutere di Pas lasciando fuori “le situazioni estreme di violenza, fisica e psicologica”, perché questa prospettiva da anni ha ricadute pesanti sulla vita della gente.
    E’ per questo che in questo momento tanti professionisti – legali, medici, psicologici – stanno insorgendo contro la letteratura che parla di “alienazione genitoriale”, perché è monca, manchevole e inadeguata a proteggere i soggetti più vulnerabili.
    Fintanto che la ricerca non fornirà gli strumenti atti a difendere coloro che chiedono aiuto per liberarsi dalla violenza, continuare a sostenere una simile letteratura con l’affermazione dell’esistenza della Pas si ripercuote sulla vita di quelle persone, e le conseguenze non abbiamo bisogno di tanta creatività per immaginarle, perché le troviamo negli articoli di cronaca e in ricerche vaste come la ACE (acronimo di Adverse Childhood Experiences, “esperienze infantili avverse”), che con oltre 80 articoli dal 1998 dimostra che i bambini esposti a violenza domestica, abusi sui minori e altri traumi subiranno più malattie e infortuni per tutta la vita e avranno un’aspettativa di vita più breve.

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