Ti dico io come la penso

Nonostante la pervasività con cui la lezione epistemica del novecento è stata somministrata nelle pubbliche scuole, per cui vuoi passando per Pirandello, vuoi mettendosi da un lato di una stanza prima e dall’altro dopo, non c’è stolido che non sappia dire che tutto è relativo, che le cose sono se ci paiono a noi, che la verità vi prego sull’amore… nonostante questa massificata presa di coscienza della prospettiva, quasi regolarmente nella vita di ognuno capita di combattere vuoi da vittime vuoi da carnefici, con l’urgenza di una verità rivelata, anche piccina di verità, ma comunque sempre esattamente illuminata dalla fiduciosa dimenticanza delle cose che sono in ombra. Anzi, c’è una sorta di positivismo delle relazioni che confida nella retorica dell’onestà a tutti i costi, l’importanza di dire agli altri che cosa si pensi davvero di loro delle loro scelte e delle loro vite, la retorica dell’onestà come ingrediente importante delle relazioni positive. L’abbaglio del dire cosa si pensa davvero si mangia tutta la storia e tutti i pirandelli e anche perché no i filosofi della scienza, e gli epistemologi insieme, per non parlare degli psicoanalisti che pure loro parecchio si sono spesi per la questione dei punti di vista. Tutti a un certo punto arrivano a dire che non vogliono essere ipocriti e bisognava dirla questa cosa all’altro brutta brutta su di lui o sulla sua vita! che ha qualcosa di sgradevole da sottolineare e siamo gente onesta e insomma che fai non glielo dici? E a tutti certo è capitato di combattere con la percezione altrettanto sgradevole di questo parere altrui percepito come l’oggettivo insindacabile, e la forza della sua prevaricazione. Nei vari gradi che passano dalla plateale dichiarazione di approvazione o disapprovazione, alle imbarazzate espressioni di quelli che poi diranno con sapida civetteria – sai, io sono fatto così non riesco a dissimulare quello che penso – faccio delle figure terribili!
Insomma, di fronte alla militaresca retorica della verità, le lezioni dell’istruzione primaria novecentesca, si ritirano come bassa marea. Pirandello: ciaone proprio.

In questo post, vorrei riflettere sulla natura di certi assunti che noi consideriamo come veri e percepiamo come incandescenti e oggettivi, e sulla funzione che assolvono nelle nostre relazioni private e quotidiane, quando questo tipo di verità rivelate riguardano la vita di qualcuno che ci è vicino. Cose che possono essere grandi e piccole, dal vestito appena acquistato che sta male, all’aspetto fisico cambiato, fino agli equilibri di coppia e alle corna in testa o altro caso possibile le motivazioni reali di un fallimento professionale. I giudizi su tutte queste questioni quotidiane non è che manchino sempre di ragionevolezza o di utilità, e non mancano situazioni in cui una volta espressi non riescano a concimare terreni e aiutare i nostri amici in svolte esistenziali che forse non sarebbero state imboccate. Ma non sempre la rivelazione di un parere personale, un giudizio di valore positivo o negativo sono davvero utili e espressi nell’unica intenzione dell’utilità. Le nostre verità interiori sulla vita degli altri assumono tante funzioni che possono anche essere tutt’altro che altruistiche, tutt’altro che funzionali, tutt’altro che appropriate. E forse, più che dire qualcosa di utile nell’argomento trattato con la persona con cui si parla, dicono qualcosa di utile della qualità del rapporto che si ha con lui.

Buona parte di queste oggettività, si portano addosso un giudizio di valore che ha addosso mille afrori. Questa cosa è tanto più evidente con le rivelazioni che sono delle critiche. Il primo odore e il più facile da contestare è quello delle gerarchie e delle priorità. Una persona che critica un’altra da per scontato che le priorità siano identiche quando potrebbero esserci altre gerarchie. Questa spesso è una ingenuità non sempre nociva. Il fatto è che non è quasi mai neutrale. La difficoltà dell’altro spesso è il terreno su cui edificare per esempio asimmetrie vincenti, si pronunciano sentenze e condanne godendo della posizione differente in cui sta, nel contingente la persona che esprime il suo giudizio. Altre volte è l’amara quanto pestilenziale occasione per trascinare qualcuno nei bassifondi di un enpasse esistenziale e dimostrargli che insomma nella merda ci sta anche lui e non sperasse di uscirne. In altre ancora la verità rivelata ha lo scopo di cementificare una dipendenza, di cristallizzare in due posizioni – la persona utile e assistente e la persona inutile e assistita la relazione. In altri ancora – per esempio in quei casi in cui viene fatta trapelare per una sorta di pigrizia, perché ci si vuole troppo bene per avere cautela della reazione dell’altro (la dubbia retorica di, ah io non riesco a nascondere niente! )

Soprattutto nella stragrande maggior parte dei casi, se non la totalità – il giudizio assicura dinamiche proiettive. Tramite la sanzione all’amico, si vendica il torto subito, si inscenano vicende che hanno storie psicoanalitiche e remote, vicende edipiche mai tramontate. I vecchi concetti di transfert e di proiezione che vengono dall’arsenale freudiano, ci possono venire in aiuto: perché appunto aiutano a capire quella sorta di mutazione genetica che hanno i rapporti acquisendo questa o quell’altra forma, decidendo la distribuzione di ruoli e le retoriche che ne deriveranno. La verità rivelata sarà lo strumento con cui agire i pensieri che ci suscita quella persona perché ne ricorda un’altra, più importante nella propria vita, fondante la nostra storia. Donne che criticano costantemente come altre donne sono con il proprio partner, mettendosi nella concorrenza che da bambine potrebbero aver patito con la madre, cui allora non parrebbe vero di riscattarsi sulle liti di qualcun altro. Ma anche madri che usano le figlie delle altre, per fustigare le proprie o peggio ancora le figlie che sono state. Uomini che con il sacro crisma del pensiero morale dipingono con disprezzo la libertà che altri uomini si sono tenuti per se, biasimando le scelte che avrebbero voluto fare e non hanno fatto, e attaccando l’egoismo che magari ha caratterizzato una volta, due o tre il loro padre, lasciandoli bambini nella sensazione di esser dimenticati. Non sempre si parla ad altri e per gli altri. Si parla per se e con se, e gli altri sono un mezzo.

Che si dirà che il gioco è facile qui perché sono sempre brutte verità, ossia in altri termini – giacché giudicare è fisiologicamente connaturato al processo logico, ma anche se più piacevole e sottile e spesso benefico, il gioco della proiezione e del transfert che si serve delle cose che diciamo – si mette in atto anche con gli elogi i complimenti e gli incoraggiamenti. Si mettono nell’altro le cose buone ricevute, le si incoraggia a non deluderci, e nelle occasioni che possono rivelarsi più problematiche si chiede all’altro di fare quello che noi non riusciamo, o peggio ancora si riempie l’altro di tutta una serie di doti e qualità che kleinianamente ci sono preclusi e che presto o tardi riveleranno la natura dolorosa e mefitica dell’invidia: in questo caso, sistematicamente, l’altare di giudizi positivi e di verità entusiastiche su cui l’altro è issato – ma non è vero che sei grassa stai benissimo! Ma no che potresti fare meglio fai già benone così! Etc etc – potrebbe crollare miseramente in una percezione. di fastidio e di recriminazione. Un copione che ho notato capitare con frequenza è una disponibilità all’idealizzazione dell’altro fintanto che i giudizi di valore positivi contrastano con la realtà contingente: per cui l’altro è volentieri coccolato e incoraggiato fintanto che combatte con l’insuccesso sentimentale e professionale. Poi arriva il salto di qualità che meritava e la metamorfosi è velocissima e subitanea. Gli si dirà che è cambiato, ma in realtà sono certe strutture psichiche interne al suo interlocutore a essersi disvelate.

Con tutto questo io non dico che non bisogni dire ciò che si pensi alle persone che ci sono vicine, ma che prima di farlo sarebbe opportuno guardare allo stato della relazione e curarla e a se stessi nella relazione e controllarsi, prima di far cadere un parere ponderato. Ma sempre cauto e possibilista. Tenere aperte delle possibilità quando si esprimono dei giudizi franche non vuol dire soltanto mettere delle possibilità sulla carta che l’altro possa ricordarsi di poter fruire, ma protegge anche i rapporti dalla coazione a ripetere delle proiezioni reciproche, apre la porta ad altri sviluppi permette alle relazioni di evolversi verso modalità più complesse e adulte anziché stare dentro certi claustrofobici giochi di ruolo.
Posto che naturalmente alla domanda che chiede: dirai questa cosa per te o per l’altro, ti sarai accorto di poterti occupare soprattutto dell’altro, perché in caso contrario – beh, ci sono modi migliori.

12 pensieri su “Ti dico io come la penso

  1. Grazie per questo post che rileggero’ con calma. Il mio primo commento a caldo è: certo tutto é relativo. Ci sono le tue verità e quelle dell’altro, la tua realtà e quella dell’altro. Tu hai spesso parlato in passato di relazioni asimmetriche. Credo che quando una persona è coinvolta in questo tipo di relazione (con il partner o anche nell’amicizia) le critiche verso chi senti più forte o più privilegiato di te siano un mezzo per proteggere il tuo Io che si sente schiacciato, e se queste critiche portano a una crisi del rapporto, pazienza….L’altro , proprio perché più forte di te, continuerà soddisfatto per la sua strada et tu….cazzi tuoi 🙂

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  2. Cara Zaub,
    del tutto d’accordo.
    Io per prima mi sono trovata ad essere oggetto di critiche altrui dette “per il mio bene” da parte di un’amica (e in un periodo della mia vita piuttosto sconnesso e altalenante, va detto). La reazione di urto da parte mia è stata di una certa forza, e molto mi ha detto non solo della persona che avevo davanti, ma anche di ciò che per me vuol dire un rapporto di amicizia. In quel momento vedevo davanti a me solo una maestrina dalla penna rossa, inconsapevole a sua volta nel replicare il modello di una madre sempre troppo critica nei suoi confronti; è questo, credo, ad avermi fatto davvero male: la disillusione, dopo un’evidente idealizzazione che io avevo fatto di lei e del nostro rapporto. Poi si torna a volersi bene, ma almeno da parte mia certe ammaccature sono rimaste – e non è acredine o risentimento per le critiche che mi aveva rivolto, ma proprio una presa di coscienza differente.

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  3. L’inizio dell’articolo è odioso, sembra quasi che lei voglia previamente difendere le sue opinioni dalle critiche, tramite l’aggressività e l’antipatia. Mentre poi ciò che fa nel resto dell’articolo, cambiando completamente tono fra l’altro, non è altro che un giusto appello al buon senso e all’altruismo, nel capire se dire o se non dire. Una delle cose più difficili del mondo, fra l’altro, e c’è comunque almeno nel mio universo solo un’esigua minoranza di gente che dice. La maggior parte non dice mai niente, si fa beatamente i fatti suoi, al massimo parla solo di sé.

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  4. Grazie. Mi è stato molto utile vedere rispecchiati in questa sintesi alcuni elementi su cui stavo ragionando da qualche tempo. Ho recentemente maturato il sospetto di aver cominciato a parlare per me, di me, per risolvere cose di me accanendomi nel presunto (a questo punto il termine è appropriato) aiuto fornito a una cara amica. Anche se è stata lei a chiedere la mia opinione, confidando nella mia maggiore età, esperienza e in molti tratti comuni nelle nostre vicende, col tempo ho cominciato a sentire una qualche nota stonata, quasi un fastidio, ascoltandomi. Ero, appunto, troppo accanita per essere davvero empatica, ma mi sono raccontata ancora per un po’ che le intenzioni erano buone. Leggere il tuo psichico post mi conferma nei miei sospetti, mi conferma nell’attenzione verso questo meccanismo da cui salvaguardare la relazione (qualunque relazione). Il tuo ragionamento, oltre che professionalmente fondato ovviamente, fila anche senza un inciampo se applicato alla contingenza, e non posso evitare di considerarlo uno strumento da consolidare. Anche se crea tanti problemi quanti ne risolve, obbligando, per aprire bocca, a porsi un’infinità di domande che un bagaglio di mandati, storie, ricorsi e accidenti potrebbe tappare definitivamente.

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  5. ma anche la possibilità di dire la ” verità ” all’altro è una costruzione da avviare e non qualcosa che determini tu in base alle tue necessità. A meno che il rapporto non sia nato e costruito slla falsa convinzione che frequentarsi equivalga a conoscersi.

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  6. Grazie Zaub, questo post mi rimanda ad un episodio vissuto personalmente qualche anno fa, in cui cercando di districarmi da una relazione d’amicizia in cui mi percepivo come costantemente disconfermata, ho sortito la carta dell’ “ora ti dico quello che penso” trovandomi sorprendentemente di fronte al fermo rifiuto d’ascoltare. Non che mi aspettassi dei cambiamenti epocali, eh, ma almeno un “ci pensero’…”. Alla fine la suddetta amicizia fu messa da entrambe le parti in standby per qualche tempo, per poi progressivamente e gradualmente riallacciarsi, ma mantenendo prudenti distanze. Io una cosa penso di averla imparata allora: anche agli amici che ti son più vicini, spesso non interessa essere messi a conoscenza nel dettaglio di cosa pensi di loro, a meno che non te lo chiedano esplicitamente. Dal canto mio credo di aver agito il bisogno di divincolarmi da un legame che vivevo come soffocante (amicizie altrui imposte, mancanza di confini interpersonali, l’essere trattati come un elemento indistinto di un gruppo..) probabilmente replicando il meccanismo della mia famiglia d’origine, dove i conflitti sono evitati, finchè proprio non se ne puo’ fare a meno. Ma se mai dovesse ricapitare in futuro di sentire ancora questa urgenza, al massimo scrivero’ un racconto metaforico e glielo mandero’ 🙂 Perché comunque penso sia salubre manifestare le proprie emozioni e i propri pensieri, almeno in un contesto di relazione prossimale. Grazie ancora, eh!

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  7. Hai ragione su tutto, e la parte relativa ai giudizi positivi è quella più dolorosa. Anche a me è capitato di avvertire queste dinamiche e devo dire più per averle agite che per averle subite perché a me gli invidiosi mi hanno sempre fatto solo battutine acide, complimenti mai! Invece io ho esperito tutte le sfumature del giudizio positivo che tu descrivi, dalla proiezione del tipo “fai quello che non ho fatto io” a “ca*** sei bravo ma in realtà mi rode”, ecc. Mi è pure capitato di essere sincera, eh? Quindi hai ragione sul fatto che uno dovrebbe riflettere un secondo prima di lanciarsi. Però è pure vero che nel dire magari uno capisce perché sta dicendo e cosa lo spinge a dire certe cose, magari uno si percepisce sbagliare, o sente che c’è qualcosa che stona, e la volta dopo si corregge, e ciò perché l’insidia che si nasconde in questi giudizi positivi è molto brava a nascondersi, e non tutti siamo degli assi della comunicazione o dell’introspezione. Inoltre capita che una certa autocensura ti blocchi e basta. Ecco, come dire, sbagliando si impara anche, e forse si viene pure perdonati, se va bene.

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  8. Si è sempre in bilico tra dire cosa pensi davvero o una” bugia bianca” per salvaguardare l’amicizia, se ci tieni.
    Capita spesso di dare consigli richiesti ma come se dall’altra parte ci fossi tu, che non hai niente a che fare con l’altro.
    Che quindi inevitabilmente ferisci, in buona fede, per carità.
    La sensazione che ho , per quel che mi riguarda, quando chiedo un consiglio e’ solo il bisogno di essere ascoltata.
    In cuor mio, a torto o ragione, la mia decisione l’ho già presa o mi diventa più semplice perché parlando all’altro, in realtà parlo a me stessa.
    E potrebbe essere che facciamo tutti così?

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  9. Parlo molto ma non ho mai la sensazione di raccontarmi troppo e neppure di dare giudizi perentori, lascio sempre aperte diverse porte, non per ipocrisia ma perché non ho mai un’unica risposta. In generale quando ho un problema serio da risolvere mi sento poca voglia di chiedere giudizi altrui e tanto meno di darli.
    Spesso cerco di fare ridere gli amici.

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  10. I tuoi post, così ragionati e argomentati sono occasioni preziose di riflessione. ” non sempre si parla ad altri e per gli altri”. penso che la relazione sia una costante ridefinizione di se stessi e della relazione stessa. parlare agli altri non è mai solo parlare a loro e di loro ma, sempre, parlare anche di se e della nostra relazione. le relazioni di cui parli tu mi pare che siano principalmente relazioni “a potere sbilanciato”, dove cioè una delle due parti è, magari momentaneamente, più influente dell’altra. se la situazione perdura, se si incancrenisce questo: io sono io e tu non sei un cazzo!, forse siamo nella patologia, di entrambi. forse.

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  11. Mi ha colpito questo post, non tanto perché io sia stata, come tutti, oggetto e soggetto di giudizi negativi e positivi, ma perché di recente mi è capitata una cosa che non riuscivo a inquadrare e adesso forse la capisco meglio. Un’amica, in un momento di pettegolezzo, scarica con nonchalance un giudizio pesante – e io ho sentito anche impietoso, quasi cattivo – su una… diciamo “fragilità” di un’altra amica a me cara. E forse sui contenuti aveva anche ragione, ma per me che le voglio bene, è stato doloroso sentirlo. E adesso mi accorgo, forse era un modo di dire delle cose a se stessa – che ha difficoltà simili – o a me (per gelosia?). Chissà.

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