Ha fatto notizia la dichiarazione del ministro Poletti sugli studenti universitari , per i quali sarebbe più utile un voto di laurea basso ottenuto in tempi rapidi piuttosto che un voto di laurea alto ottenuto andando fuori corso. La dichiarazione infatti è piuttosto in controtendenza rispetto ai rituali che capita di osservare nei contesti accademici – soprattutto di ambito umanistico – dove la semantica del voto è andata in contro ad alcune aberrazioni antropologiche che ne falsano del tutto il valore. Mentre a ingegneria ma anche biologia o medicina o psicologia un 24 è un voto onorevole, di persona diligente che ha però delle lacune, che potrebbe fare meglio ma così già è competente in qualcosa – in filosofia lettere o storia, 24 è un abominio qualcosa che i docenti prendono in considerazione si e no per far passare qualche asino di tipo testardo. Gli alfieri di questi stessi contesti – che spesso ho l’impressione diano il la’ a certi dibattiti in rete, sono quelli che poi dicono allo studente mediamente preparato e magari in hamba che sta per prendere un 28, caro signor Giovannetti ma rifiuti – ritorni.
Il voto alto è diventato una sorta di prestigio a buon mercato, un po’ come la borsetta di dolce e gabbana, la stimmate di classe alla portata di tutti. Per ottenere il quale però – siccome il fuori corso non implica nessuna penalità per lo studente – allo stato attuale dell’arte – non è che devi farti un mazzo esagerato ora notte e giorno, puoi farti il mazzo diluito, ripetendo gli esami fino ad avere la griffe, mentre lo Stato lucra sulla tua adolescenza prolungata.
Un simpatico business di sapore buonista per un paese che ha il numero di laureati più basso di Europa.
Studiate tutti! Perdete tempo! Come semo democratici ajuteme addì democratici.
Naturalmente un buon voto di laurea presso un certo ambito specializzato, è un buon modo di presentarsi – soprattutto per chi cercherà di puntare la propria carriera nei contesti della ricerca, sia in ambito accademico che non . Ma i contesti della ricerca sono una piccola fetta dei contesti professionali la fuori, dove il lavoro è prima di tutto una cosa che fai coll’esperienza, col corpo a corpo di certe sfide quotidiane, e contano tante tante cose, oltre alla libreria virtuale delle teorie imparate, e prima ci si sporca le mani e meglio è. Io penso molto a mestieri tipo il mio, ma anche l’avvocato, fino ai vari impieghi nel settore dell’industria – sono tanti i mestieri della vita che a voja a libri, li impari colla vita.
In aggiunta a questo noto una ulteriore contraddizione tra mondo del lavoro e mondo accademico, il quale con questi curricula diluiti nel tempo sembra consegnare al mondo degli adulti qualcuno che come biglietto di ingresso dice che per prima cosa vuole rimanere ragazzino. Studia figliolo, rimani giovane, consegna un bel compitino – al futuro ci penserai poi! Invece il futuro vuole uno sveglio, che abbia l’argento in corpo dell’adolescenza e la sedia da scolaro che gli bruci sotto al culo, per una voglia di mettersi alla prova, di fare delle cose, di essere responsabile – non necessariamente di un danno.
In questa organizzazione ideologica e retorica precipitano probabilmente tante cose, ivi compresi gli strascichi del berlusconismi e del suo bisogno di contrastarlo, lasciandogli in subappalto categorie ambiziose come l’autonomia, e l’ambizione, e la produzione, e la priorità della concretezza, per tenersi la riflessione, l’etica, la profondità, la cultura. Ma che ce ne facciamo di tutte queste belle cose senza quelle? Cosa serve il buon voto senza un progetto di carne e sangue, e un vitale e carnale desiderio di metterlo in atto subito?
Sarebbe da dire: laureatevi tutti prestissimo e benissimo. Ma nel caso dello spareggio dei superlativi, si anche per me prestissimo conta di più.
la chiosa è perfetta; e anche il doppio superlativo ci sta eh, mica è impossibile
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Veramente un buon post, affronti tante sfaccettature di un problema troppo spesso iper-semplificato.
Apprezzo soprattutto la nota sul fuori corso: in Germania non si può ripetere un esame più di tre volte. Mi sembrerebbe una buona misura, per cominciare.
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Sostanzialmente sono d’accordo con te. Come non condivido del tutto l’equazione bravo ragazzo che studia = tutti 30 e adolescente a vita, non mi piace nemmeno pensare che chi studia meno e tira a campare e a sporcarsi le mani subito sia più vitale a tutti i costi. Più sano e funzionale sì, su questo sono concordo.
Nel mio caso mi sono laureata in lettere (storia dell’arte… pensa come sto messa!) con ottimi voti ed eoni di anni fuori corso – per tutta una serie di problematiche varie ed eventuali. Ho scelto alcuni professori ed esami da vecchio ordinamento (o, più verosimilmente, kamikaze) che mi hanno sì fatto vedere i sorci verdi, ma con cui adesso in un certo senso sono contenta di aver studiato e bene anche – perché ora riconosco che mi hanno molto avvantaggiato, in un sistema del mondo del lavoro “culturale” in cui sto cercando in ogni modo di entrare.
Va detto anche che in parte lo potevo fare (genitori poco assertivi, disponibilità economica, e me complice) non perché mi fosse stato detto “prenditi il tuo tempo purché sia un 30”, ma acnhe perché credo in un tipo di formazione che sia percorso personale. Del resto, questo forse è applicabile solo in ambito umanistico o di ricerca scientifica – non saprei. Sicuramente, misurarsi con il mondo reale al di là dell’ambiente accademico aiuta a rimettere molte cose e ‘seghe mentali’ al loro posto, visto che si torna in un piano pratico e fattivo, e non solo speculativo.
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Sono uno studente di Chimica Industriale e credo di rispecchiarmi pienamente nel profilo da te tracciato, l’unica differenza, oltre al percorso scientifico, è che, invece di avermi riguardato, l’esperienza universitaria tutt’ora mi riguarda (per problemi vari avuti con alcuni esami, sono al primo anno fuori corso). Posso dire che nel mondo del lavoro, nonostante la crisi, c’è bisogno di tutti e due i tipi di laureati: quelli veloci e pratici (laureatisi in tempo anche a suon di compromessi sulle competenze effettivamente acquisite), e quelli lenti, teorici e riflessivi (formatisi secondo un percorso personale che spesso e volentieri non riescono a far corrispondere a quello accademico), e non solo in ambito di ricerca, perché entrambi devono supplirsi a vicenda alle debolezze dell’altro. Di certo i secondi, incluso me, così poco competitivi rispetto ai primi, ne avranno di peripezie da affrontare per trovare la loro nicchia nel mondo del lavoro, ma sono sicuro che la virtù che a differenza dei primi avranno senz’altro maturato per via del loro peculiare percorso, ovvero la pazienza (come noto, la virtù dei forti), verrà a loro in grande aiuto.
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