11. Non esistere!

Mi si chiede qualche riflessione sulla reazione collettiva alla vicenda di Doina Mattei. Non ho molto tempo ma mi ci spendo, perché comincio a considerare queste nuove ondate emotive e verbalizzate nella rete, che giudicano e si esprimono e sanzionano e digeriscono, un nuovo oggetto culturale, un ente terzo che alle volte si affianca alla stampa, alle volte  – per certe patologie dell’industria culturale nostrana, ci si sovrappone. Un oggetto così potente da essere condizionante.

La vicenda è semplice e poco rilevante. Una giovane donna nel corso di una lite in metropolitana uccide un’altra donna e per questo viene processata e messa in carcere. Si fa nove anni di pena e poi probabilmente grazie a una buona condotta ottiene un regime di semilibertà – per cui se ne va al mare, e si fa una foto al mare mentre contenta si prende il sole.
Deve essere bello per Doina ritrovare tutto quel cielo sulla testa, tutta quell’acqua, neanche fa tanto caldo, un sacco di mondo per se anche se a orario contingentato. Deve essere bello ritrovare i piaceri perduti, la giovinezza schiacciata all’improvviso. Si fa una foto Doina, e celebra l’evento. La sua vita conta più di tutto, e il suo tempo e la sua aria. Quella cosa che è successa all’improvviso tanto tempo fa, la deve aver travolta in una vita impensata. Una cosa, l’omicidio, il crimine, il sangue,  che deve esserle venuta da certi recessi interni non so quanto noti a se stessa – forse si, forse no. Ma proprio per il carattere improvviso di quell’evento, viene da pensare che Doina debba aver convissuto a lungo con il tragico. Con l’epico. Non sappiamo quanto lo abbia guardato, come, con che profondità. Possiamo essere persino piuttosto scettici considerando lo stato in cui versano le carceri italiane in merito all’assistenza psicologica, e al concetto piuttosto arcaico di rieducazione. Possiamo anche sospettare che, proprio la struttura psichica di Doina chi sa se glielo ha fatto vedere. Non sappiamo niente.
Di lei ci siamo dimenticati, come del resto della vittima. La sua vita è uscita dal campo della vita.

Poi è riemersa all’improvviso, con un gesto banale che più banale non si può.
Quanti mascalzoni sono usciti dal gabbio e si sono fatti immortalare – io credo che il cielo non li conti. Non si contano i gelati umani troppo umani dell’evo analogico che ex detenuti si sono mangiati, e cinema pomeridiani e certo foto su foto private, la cui spavalderia non martoriava nessuno. Quante birre alla faccia di chi ti vuol morto, di chi non ti fa sbagliare, di chi sta dall’altra parte, di chi sospira vendette seduto in poltrona. Le doine, e gli assassini e i ladri tutti avranno sempre rispetto e dolore per le vittime, se non tutti in massima parte, ma c’è un mondo di gente che non vive e che non conosce il mondo a sua volta che gioca con la tua fine, che si fa bello della tua estinzione. Alla faccia di questi brindano le Doine tutte e qualche volta viene da capirle.

Siamo disabituati all’umano. Ci confezioniamo un umano estetico corretto e desiderabile, che espii per noi le nostre colpe e arrivi alle perfezioni morali di cui non saremmo capaci. Un tempo eravamo più addestrati all’imperfezione e al dolore, non c’era internet, non c’era però neanche la psichiatria, la pedagogia, i servizi sociali, la medicina il sindacato e tutte quelle strategie che ci siamo inventati per sopravvivere al nostro umano troppo umano. E Doina che sorrideva la trovavamo in un film neorealista e con una bestemmia ce la saremmo cavati.

Ora l’umano invece non ha più pudore, è quel che è sempre stato con il posto che ha sempre avuto, ma noi ora che lo vediamo,  siamo qui a chiedergli continui riscatti e perfezioni: anzi,  quello si pone in tutta la sua realtà e sempre più gli chiediamo invece di sottrarsi, fino all’assenza. Doina infatti non sbaglia perchè sorride. Se avesse scritto che era triste  e pentita, quel classista di Gramellini avrebbe taciuto?  No, avrebbe sbagliato perché avrebbe mostrato. Se la si fosse fotografata a camminare diretta verso un lavoro socialmente utile, non l’avrebbero attaccata? No l’avrebbero attaccata per l’essere fuori, visibile, esistente, e non nell’ombra, nella rimozione, nel non esistente del carcere.
Se questo è il bisogno, a nulla valgono le reiterate e giuste requisitorie sullo stato di diritto, sui tempi della condanna e del reinserimento sociale. Per l’ombra non deve esserci integrazione, ma solo rimozione.
Certo poi occorrerà non lamentarsi.

 

5 pensieri su “11. Non esistere!

  1. Giorni fa parlavo con amici del “comportamento atteso” post-pena, o in caso di benefici di pena, per situazioni del tutto diverse. Riguardava brigatisti in lbertà, o in semilibertà, che partecipano a dibatiiti pubblici, srcivono e presentano libri, aprono pagine sui social: alcuni di loro hanno ucciso a freddo esseri umani, non si sono totalmente dissociati dal passato (sbagliavamo, dicono, non: eravamo assassini) . Ho detto che a me dava fastidio,e che la sfera pubblica, anche dopo, non gli si addiceva;, che avrebbero fatto meglio a vivere la loro vita in modo più discreto. Mi hanno risposto che era loro diritto. Certo, lo so, ma io dicevo che mi dava fastidio, che avrebbero fatto meglio anon ecc, non che bisognerebbe imperdirglielo. Il caso di questa ragazza mi ha provocato reazioni completamente opposte.Non solo per la dinamica del delitto commesso e l’evidente severità della pena (il massimo, senza attenuanti), ma proprio per il fatto che si tratti di una giovane donna. Ha passato 8 anni in carcere, dai 21 ai 29, credo che la prima cosa che ha pensato, andando al mare, sia stata di mettersi in costume e di farsi fotografare. Non penso fosse esibizionismo, era un po’ un ricominciare a vivere. Chi ha detto: vabbè ma poteva risparmiarselo secondo me sbaglia. Certo che poteva, ma perché? Credo che i parenti della ragazza morta abbiano sbagliato a essere così’severi (anche seili capisco e li rispetto), e credo che un giudice di sorveglianza che revochi la semilibertà sull’onda di un articolo di stampa alquanto forcaiolo abbia poco a che vedere con la giustizia.
    Poi c’è la question della nazionalità hce ha scatenato commetni di ordinario razzismo. ma in questo nulla di nuovo, purtroppo. .

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  2. Mi ha colpito qualche giorno fa un’intervista rilasciata da una delle vittime della coppia dell’acido (il ragazzo che era stato scambiato per un ex della donna, quindi vittima e anche per caso). Ha subito molti interventi, ma non penso che la sua vita sia distrutta. Sembrava invece molto sereno e il suo comportamento ricordava molto quello della Annibali. Nessuno dei due, infatti, sembra nutrire odio. Appaiono invece abbastanza impegnati ad andare avanti. Hanno fatto addirittura tesoro dell’esperienza (la Annibali dice di essere diventata una persona migliore dopo il fatto) e comunque credo che abbiano sofferto talmente tanto, e abbiano visto così da vicino la mostruosità a cui può arrivare l’essere umano, da pensare al male più come una sorta di ente metafisico di cui tutti siamo vittime (anche i carnefici) e di non poter quindi ragionevolmente prendersela con coloro che hanno inferto loro quelle ferite. Non so se abbiano pensato questo, ma ho la sensazione che, se ti succede qualcosa di così tremendo, cerchi di andare avanti e non ti puoi permettere di perder tempo a odiare qualcuno. Se sei la vittima, e ovviamente se sopravvivi. Diverse sono le reazioni se ti uccidono un figlio (la madre del piccolo Tommy trema all’idea che Alessi venga messo in semilibertà, trema e comprensibilmente dice che non riuscirebbe a tollerarlo). Le reazioni delle vittime e dei parenti delle vittime sono sempre e comunque degne di rispetto. Lo sdegno per coloro che sono usciti dal carcere e “se la godono”, sempre ammesso e non concesso che dopo 9 anni di carcere uno se la possa davvero godere, sono certamente banali, soprattutto quando non tengono conto del fatto che se hai scontato davvero la pena, nulla altro rimane da dire. Rifletterei però su un punto: il selfie propagato via social network non è la birra bevuta con gli amici in era pre internet (o semplicemente senza selfie propagato su social network). Il selfie che i parenti della vittima possono ammirare su internet è un po’ come se Alessi andasse a vivere beato e contento in un appartamentino vicino alla casa degli Onofri. Non si chiede di non esistere, ma una riflessione sul fatto che pubblicare su internet una foto in vacanza equivale ad andarla ad appiccicare sotto casa della vittima forse ci stava pure.

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  3. Ricordo bene l’accidentalità della vicenda – che ci provino a cacciare la punta di un ombrello nell’occhio di qualcuno quelli che parlavano di intenzionalità – le discussioni quando lavoravo alla radio e gli insulti che mi prendevo come difensore di delinquenti. Ora ci risiamo. L’oblio non è contemplato tra i diritti umani.

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