Fortuna

 

Volevo scrivere alcune questioni sulla vicenda della piccola Fortuna, alcune osservazioni di massima sull’argomento più che su un singolo caso, intorno al quale ci sono molte ombre, poche informazioni definitive. Anzi, forse l’informazione più certa e dolorosa è questa assenza di dati intorno a un contesto abusante: per cui due figli muoiono lanciati? Caduti? Da un balcone e nessun adulto ha niente da dichiarare. Sul piccolo si trovarono le tracce di una violenza carnale ma anche qui nessuno che avesse niente da dire, i bimbi hanno qualcosa da dire sulla seconda – sottoposta anche lei ad abuso dicono i più piccoli – ma non ci sono altre informazioni di contesto. In questo cono d’ombra dire qualsiasi cosa risulta arbitrario – un esercizio intellettuale, come quello di cui si sarebbe macchiato Augias quando due giorni fa è stato invitato a una trasmissione per parlare di questo evento di cronaca.

Qualsiasi cosa avesse detto Augias non poteva essere altro che una speculazione più o meno adeguata, più o meno interessante, più o meno fuori luogo, più o meno morale o moralista: per il semplice fatto che Augias non aveva alcuna competenza per poter usare in maniera legittimata da una professione e con gli strumenti delle posizioni professionali che solitamente si interfacciano con queste situazioni, i dati di questa vicenda. E’ stato quindi Augias molto criticato per il fatto di aver detto delle cose più o meno discutibili, ma doveva essere criticata in primo luogo una trasmissione che impostava l’informazione in questo modo e con l’idea che la sua opinione fosse importante. Uno che fa il giornalista e scrivi libri che parlano di tutt’altro da tanto tanto tempo. Non uno che sta per dire nei servizi sociali da tanto tanto tempo e fa interventi sul territorio o abbia fatto al limite, delle inchieste in tema. Non un operatore di case famiglia con una lunga storia di contestualità sociali al margine, non un giudice minorile di onorata carriera, manco uno psichiatra o uno psicologo che lavorino con queste cose, no uno ha fatto trasmissioni sui libri.

Però la posizione di Augias ha titillato un dibattito enorme. Augias ha parlato della foto della piccola Fortuna e gli è sembrato di individuare i segni di una indebita sessualizzazione dell’infanzia. Posizione che ha scaldato molto gli animi per cui: qualcuno ha detto che così giustificava la pedofilia, qualcun altro ha detto che mancava di rispetto alla bambina e alla famiglia. Io credo però che soprattutto è quel tipo di informazione che manca di rispetto anche all’utenza, perché questo tipo di riflessioni chiedono non solo la competenza che Augias non ha, ma anche tempi e modalità di comunicazione che oggi il nostro concetto di media non permette ed è il motivo per cui né io, né tantissimi colleghi amiamo parlare sulla stampa o altrove volentieri su questi episodi. Perché di queste cose o si offre una riflessione articolata, o si porta sul tavolo una fuffa, anche se con qualche buono spunto. Io, nel discorso di Augias, un buono spunto l’ho trovato, perso però nel linguaggio ipersemplificato.

Ora, vorrei fare alcune considerazioni di metodo, perché più che altro mi manca il tempo per vedere tutto quello che si sa di questa vicenda. Lo posso fare perché chi ha esperienza territoriale di queste cose riconosce anche in questa triste storia i segni ricorrenti con cui si trova a lavorare quando di mezzo c’è l’abuso. Questi segni ricorrenti sono:
– la marginalità sociale
– il lessico della marginalità sociale in termini di infanzia
– la patologia della coppia genitoriale
– la patologia del sistema familiare.

Ora io non so come siano andate realmente le cose, e rimaniamo in attesa di una verità processuale. Ma in generale in queste territorialità ci sono diverse questioni. In primo luogo un’alta densità di situazioni di marginalizzazione, per la quale lo Stato non riesce a trovare modalità di intervento e ha una cronica mancanza di risorse materiali per intervenire: servono tanti soldi, tante persone, tante cose che costano – servono riunioni, coordinamento, posti letto in più, ore pagate a operatori con una formazione che costa. E queste cose non ci sono, ed è molto difficile reperirle. Allo stesso tempo i singoli elementi – famiglie dove c’è uno arrestato con spaccio, alcolizzati, situazioni di prostituzione minorile etc –  si trovano insieme e  si mettono insieme, formando a loro volta una compagine culturale coesa, che rispetto allo Stato e al servizio pubblico si pone come nucleo culturale autonomo e antagonista. Apprezzo quindi che non lo si inviti a qualsiasi trasmissione, ma quindi forse più di Augias avrebbe avuto qualcosa di intelligente da dire un Walter Siti, perché Parco Verde sembra la creatura di un suo romanzo, e la strutturazione dell’ideologia autolesionistica e difensiva di certi contesti è molto chiara in lavori come –il Contagio.

Non di rado, queste contestualità hanno un problema di patologia della genitorialità. Sono luoghi dove molte famiglie (tante quante? Non lo so varia, certo non tutte, ma mai solo una) sono inadeguate sotto il profilo della cura genitoriale, si formano con persone a loro volta figlie di famiglie inadeguate alla cura genitoriale. O dove famiglie abusanti sono il prodotto di altre famiglie abusanti. Spesso parte di questo collasso della funzione genitoriale passa, per le bambine, da una sessualizzazione precoce – che magari ha da caso a caso semantiche diverse: il desiderio di spingerle angosciosamente verso l’aspettativa sociale per esempio, perché la loro bellezza di future ragazzine potrebbe essere l’unica cosa che hanno, l’unica fonte di sussistenza e di gioia per se, il desiderio di vedere in loro le donne che si sta smettendo di essere, e purtroppo il desiderio di farne un oggetto sessuale in un certo senso a disposizione di entrambi i partner della coppia genitoriale. In questo caso, siccome l’incesto satura l’Edipo, materializza una fase evolutiva che dovrebbe essere simbolica e solo simbolica, la bambina si mette nella posizione di cercare di nuovo quel modo di essere al centro della situazione e adotta una modalità adultomorfa e seduttiva che nulla ci entra con i giochi delle bimbe coi vestiti e i trucchi. Diventa ipersessualizzata nel comportamento. Ora i primi due casi sono meno patogeni del terzo, anche se a parer mio più di un guaio lo fanno, ma il problema è che lo rendono agli occhi del collettivo scarsamente diagnosticabile, perché il comportamento sessualizzato delle bambine è diventato un codice condiviso – aihmè anche fuori dalle pareti del Parco Verde. La bambina schiacciata sull’adulta è la manna della prospettiva pedofila, che in qualche caso si fa culturalizzata (se pensiamo a certe pubblicità o a certe povere bambine modelle) . Questo anche perché la pedofilia vuole l’infanzia in quanto tale, ma gode dell’infanzia che si simula adulta, perché trova attraente l’attrito e l’infanzia che emerge sopra il goffo tentativo. Credo che a questo attrito faccia riferimento molto materiale pedopornografico.

E credo che a questo attrito facesse riferimento Augias, o Paola Tavella che in questo post lo ha citato. Non si tratta di criminalizzare il giusto divertimento delle bimbe a vestirsi o a giocare con i trucchi della mamma, fatto quasi tranquillizzante in termini di psicologia evolutiva, ma un viraggio e una dilatazione nel sessuale che è invece una colonizzazione di pensieri e fantasie erotiche del mondo degli adulti che prendono quel gioco delle bambine e ne fanno un loro gioco, che prendono un passaggio evolutivo di un minore e ne fanno un proprio oggetto regressivo. Magari una sola foto è insufficiente a stabilirlo, magari Augias ha fatto un cortocircuito sociologico forse persino di classe – ma anche a me la foto della piccola ha colpito in quella direzione – ma questo tema, in queste circostanze c’è. Chi si interfaccia a quelle situazioni lo sa e lo vede, tutti i giorni.

Infine. E’ chiaro che in attesa di confessioni che potrebbero non arrivare mai, e di verità processuali che possono essere sempre parziali, e che certo mettono fuori per esempio, le storie infantili delle parti in causa non si può mai dire niente di definitivo, neanche dopo. Ma io non condivido neanche questo mitologema culturale che sacralizza il male, che reagisce istericamente a qualsiasi tentazione di spiegazione, qualsiasi bandolo di matassa. Per cui Augias non doveva parlare del male alludendo alla precoce sessualizzazione della bambina perché il Male il Male! Ma se arriva qualcuno a spiegare la psicopatologia che sottostà alla pedofilia, la reazione sarebbe la stessa: il Male il male! Tu giustifichi! Il male è sacro, è magico, ci soggioga e ci ammalia, non si può intaccare, non si deve poter fare niente, ci deve illuminare le serate e schiacciare al muro. Anche la reazione sul rispetto per la vittima mi sembra che abbia questo odore della sacralità pavloviana del male.  Così come  mi risulta fuori luogo il richiamo alla libertà all’autodeterminazione di chi ha usufruito di tante possibilità di scelta e altrettante ne da (bambina mia gioca pure con i trucchi che tanto poi parli con mamma che la sera torna dal suo lavoro di medico, di avvocato, di quadro nella pubblica amministrazione) pensando che possa essere la stessa cosa di chi non ha quella rosa di elementi.

La fuori ogni tanto, le persone fanno delle cose, le cose di cui non si parla perché proprio perché le fanno, non ci saranno morti. Ci saranno delle riabilitazioni dopo un abuso, ci sarà un intervento preventivo. Con troppi pochi soldi con coordinamenti che sanno quello di cui avrebbero bisogno ma prenditelo te un bimbo abusato a casa con madre.
E queste sono le occasioni in cui certi discorsi dovrebbero trovare più spazio per entrare nel dettaglio.

7 pensieri su “Fortuna

  1. Hai ragione da vendere, Costanza. Soprattutto quando parli di mitologema del male. E’ una modalità (difensiva? illuminami) che ritroviamo nel lessico usato, sui media, per definire, per esempio, l’abusante: mostro, orco, ecc., e che ho ritrovato anche in un altro fatto di cronaca recente, l’attentato a Bruxelles, dove gli autori dell’atto criminale di volta in volta sono stati definiti mostri,disumani, e, pure, con virata psi-, psicopatici deliranti. Mi sorge il dubbio che il mitologema del male abbia la funzione di espellere il male dal registro dell’umano, per collocarlo in un mondo di “favole” che, in quanto tale, non apparterrebbe all’umano. Una sorta di ghettizzazione, come per “la nave dei folli”, che ci separa,illudendoci di non essere contaminati, da ciò che ci spaventa.

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  2. Augias è un giornalista, un intellettuale ma non sa tutto. Nessuno sa tutto. Siccome è in pensione lo stanno trattando da vecchio saggio e lui, credo per vanità, ci si lascia trattare. Ma non è questo che a me importa. Mi interessa il discorso sui luoghi patologici e patogeni, sugli agglomerati di gente tutta con problemi molto seri, economici, sociali e psicologici che non possono, non devono, essere confinati in luoghi che poi, PER FORZA, diventano patogeni anche perché non vi è pensato niente che contrasti. Nei casi in cui si è fatto, il più noto il quartiere ex ghetto di San Salvario a Torino le cose poi cambiano, e molto. Ci vorrebbero psicologi ma anche sociologi e urbanisti e molta lungimiranza e un po’ di soldi e capacità di coinvolgimento ecc…

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  3. forse sono strano io, ma Fortuna in quelle foto non era truccata o vestita con abiti da “adulta” e non era in pose che si possono definire “provocanti”, non somigliava affatto a certe foto tremende di baby modelle, insomma io c’ho visto una bambina di sei anni che sembrava una bambina di sei anni giusto un po’ vezzosa ma sicuramente non una babina di sei anni che sembrava una di 16 anni perciò Augias mi è sembrato scorretto nel metodo e nel merito

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  4. Augias, con la sua riflessione probabilmente azzardata, è stato usato come una sorta di sineddoche vivente: un dettaglio per definire il tutto e il tutto è, appunto, il Male e la difficoltà/impossibilità di parlarne senza ferirsi. In realtà anche quella foto era un dettaglio, forse insignificante, forse significativo, di un contesto umano e sociale mostruoso. Attendiamo di saperne di più, anche se il sistema dell’informazione tende più al sensazionalismo che all’approfondimento e temo, quindi, che sarà un’attesa lunga, se non vana.

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  5. Il dibattito sull’ipersessualizzazione delle bambine mi sta benissimo. Temo invece che Parco Verde sia qualcosa di diverso dalle borgate romane raccontate da Walter Siti; la periferia marginale di un territorio di camorra, vale a dire un territorio dove la criminalità organizzata non è permeata piuttosto di recente, come a Roma, ma regna da prima che nascessero i nonni di Fortuna.
    E penso che sarebbe meglio comprendere come questo informi le dinamiche della marginalità nello specifico.

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    • Per un verso è assolutamente importante – per un altro molto poco. L’intrapsichico nell’abuso e il relazionale non vede credo differenze macroscopiche sul tipo di criminalità che tiranneggia questo contesto sociale più che un altro. Sospetto quanto meno.
      POi Helena, io percepisco una terribile urgenza di scelte materiali. Di cose spicciole da fare. Vengo da una riunione ieri di servizi territoriali sulla violenza di genere: le realtà materiali sono storicopoliticamente e criminalmente diverse, ma è lo stesso arsenale di risorse che manca ovunque, l’arsenale che non dovrebbe essere diverso credo se di mezzo ci sta la camorra. Questo voglio dire.

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  6. Certo che no! Intendiamoci non credo che lo specifico riguarda le dinamiche dell’abuso o, meglio, dell’abuso in un ambiente marginale. Ma ho l’impressione che quella marginalità così specifica abbia contribuito a blindare ancora di più ciò che stava accadendo.

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