Ave Cesare (2010)

Ordunque – ve piace sto titolo?
Carillini tutti ben trovati – oggi è venerdi ed è giorno di post cazzarellisti, quindi ho pensato bene di cominciare con questa arguzia sottilissima nevvero? Dal momento che volevo fare un post su certe forme verbali dell’antichi romani. Verba/verbi! Lo so, so stanca, non dormo, non dovrei scrivere manco questo postarello – ma me volevo decomprimere un pochetto e allora ho pensato di fare un post afferente alla categoria romanitas che è tanto che non ne fo, e mi scalda il core.
Pensavo ad alcune forme tipiche dell’idioma natìo che voantri stranieri potreste trovare astruse nel contesto di una conversazione con un capitolino, o al contrario – magari avete desiderio di farvi capire in una conversazione con un capitolino, in specie conversazione belligerante ecco, e quello fa er vago, fa finta di non capire come l’alto atesini crucchi che nella maggior parte dei casi capiscono benissimo, però loro se sentono caput mundi – una cosa a parere mio totalmente ingiustificata, non si da un colosseo ner mezzo de Brunico, non si magna n’amatriciana filologicamente corretta a Bolzano, e secondo me manco se vedono gatti in giro co quer freddo. Mah eh tutto è relativo.

Pensavo allora, come nei corsi di lingua straniera, che ci sono le situazioni – tipo Mister Brown at the restaurant e il libro suggerisce tutte frasi utili ad hoc. Qui la situazione è “Ar Semafero” e ci sono i signori Manlio e Cesare – con Cesare che è convinto che Manlio lo abbia tamponato (il che è palese in effetti) non già per distrazione – per una preoccupazione improvvisa, o per un malo calcolo delle distanze, bensì per cattiveria intrinseca profonda e radicata – che si paleserebbe vuoi in una ostentata incuria verso il prossimo cruscotto, o in un determinato quanto smargiasso accanimento verso il deretano della macchina antistante.
Cesare non è uno che te la manna a di! Spiega il vostro libro di testo di eloquio romano, che come tutti i libri di testo per stranieri non perde occasione per introdurre una nuova forma colloquiale. E dunque voi avrete a disposizione un disegnino – con i due che gesticolano potentissimante – Cesare sta allargando i pollici e gli indici e nell’aria disegna un culo così, mentre Manlio – panzonissimo e con il mento prominente, tiene la sigaretta tra i denti e nella nuvoletta del pensierino si legge – Sti cazzi.

Sotto al disegnino troverete un dialogo, che come in tutti i corsi di lingua per stranieri (di solito scritti dalli stranieri, mai capita troppo bene questa cosa) dovrebbe anche essere occasione per comprendere l’autentico spirito, il vero costume nazionale, ner caso specifico, come sono li romani veri. In grassetto sono evidenziate le forme sintattiche e le parole nuove, che dabbasso sono diffusamente spiegate. Vi si chiede di fare il riassunto e di fornire degli esempi in cui usare nuovamente queste squisite forme idiomatiche. Ora che se riassume in una lite tra due romani? Impossibile. Tuttalpiù potete ricrearne degli stralci tra voi per il vostro godimento.
Io qui vi segnalo solo alcune forme che si potrebbero trovare in un simile contesto.

– ma che stai a sbroccà? “Sbroccare”, ossia uscire fuori di brocca, la quale io credo è metafora della scatola cranica. Il romano ha molta pazienza notoriamente, ma codesta pazienza di ampia estensione ha dei confini. Quando egli arriva alla soglia della sopportazione esce di senno e fa delle scenate pazzesche, anche in circostanze apparentemente incongrue. Anzi, lo sbroccamento è tale quando contrasta con la calma impunita dell’interlocutore, e la placidità del contesto tutto.
La signora che tollera per molto tempo i reiterati tradimenti del marito, sempre facendo buon viso a cattivo giuoco, una sera che lui le dice come al solito oh si cara sono stato a giocare a Tennis cor Treggambe, potrebbe all’improvviso sbroccare ecco e fracassare tutti i piatti. Che magari se lo voleva fa lei, er Treggambe. (Treggambe, sia detto per inciso, è un soprannome che i Romani danno nel caso di uomini con una certa virtù spiccata ecco)
ma vatte a ripone. Un’esortazione latentemente ingiuriosa che il romano fa nel caso in cui le dichiarazioni del suo interlocutore che magari ha sbroccato, gli paiono prive di senso logico. E’ un’allusione alla terza età e la metafora sottostante e quella di un oggetto vecchio, non più efficace, che o lo si butta o meglio lo si tenga – riposto in una teca. In genere è usato solo quando si ha la convinzione di essere nel giustissimo, oppure si ha la faccia da culo di voler sembrare nel giustissimo (tipico questo, di certi romani). Vatte a ripone, è proferito sempre con un senso di offesa, di scandalo, di ma come te permetti de dubbita de me! Sei ridicolo. E potrebbe essere la risposta del fedifrago nell’esempio di cui sopra – più che mai se fedifrago non è e la moglie è da ripone in una clinica psichiatrica.

– Ma che t’ho detto cotica? “Cotica”, di solito sostanza alimentare grassissima con cui si magnano i facioli, un piatto squisito quanto pesante come un cannone de Castel Sant’Angelo. “Cotica” è diciamo quintessenza dell’insulto romano, raccoglie in se le ipotesi di tutti i nomi e le allusioni fuori luogo e nella avanzata mentalità capitolina, considerate degradanti. Dentro a “cotica” ci sono allusioni ai costumi sessuali, alla lunghezza degli organi riproduttivi, alla qualità del matrimonio. In genere si usa con intenzione antifrastica: sii ragionevole – non ti ho detto cotica – cerca di dire il romano, ti ho solo proposto delle osservazioni su cui potremmo civilmente discutere. In genere, è troppo tardi

Ma che me stai a cojonà? “Cojonare” è un verbo, transitivo, secondo me di una certa pregnanza semantica. Letteralmente – Mi stai trasformando in coglione, io di solito piuttosto avveduto e scaltro. Si riferisce al rischio di un raggiro di una presa per i fondelli e alla sua conseguenza ultima per cui il raggirato fa la figura dello stupido. A me piace il verbo “cojonare”, ha pochissimi sinonimi credo. Non di rado è espresso in circostanze di dubbio, quando si apre uno spiraglio di esitazione nella nostra linea di difesa: tipo Manlio che dice guarda sei te che hai messo la retromarcia a cazzo, e a Cesare gli viene per un momento il dubbio – dissipato dalla faccia teribbile di Manlio, oppure l’altro esempio: la signora cornuta che sente le scuse del marito, e per un attimo è indotta a credergli.

Te sdrumo. E’ usato sia in senso letterale che metaforico, a seconda del tipo di romano. In genere propendono per il letterale. Indica un’aggressione che porta alla scomposizione in fattori primi, alla macinazione definitiva dell’interlocutore. Te sdrumo, è una promessa di distruzione eterna. L’ha sdrumato, vuol dire che proprio l’altro non si alza più. Qualche intellettuale lo usa in astratto per esempio raccontando agli amici l’arringa del proprio avvocato quando, in un processo per frode fiscale, il suo difensore l’ha aiutato a non essere messo ar gabbio per il meritato periodo di reclusione.

Per il momento chiudo qui. Se ci sono romani in linea possono aggiungere altre simpatiche frasi idiomatiche nei commenti. Gli stranieri possono invece fornire delle traduzioni nei loro idiomi natii – purchè congrue alla scenetta der semafero.
Io vi lascio con un grazioso brano musicale – che amo molto, mi riempie di amore patrio con la sua fedeltà allo spirito capitolino, e perché fa il verso a Povia, uomo che sdrumerei volentierissimo.
Vi prego di notare l’elegante in crescendo.

3 pensieri su “Ave Cesare (2010)

  1. Che vogliamo dire appunto di “sti cazzi” che a Torino significa accidenti?? Per cui il Grande Capo Estiqaatsi è ascoltato ma non capito (blasfemia)? Pensavate fosse nazionale, e invece no. Per non parlare di “Stare a carissimo amico”. Mi tocca spiegare ogni volta. Che fatica.

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