Seno, bambini,donne in cucina e vecchi al potere.

Breve antefatto.
Giovane signora di Biella si reca al locale ufficio postale cittadino, con il figlietto di tre mesi. In attesa del suo turno, il bambino ha fame e lei decide di allattarlo, poi – non ho capito bene – anche di cambiarlo. Comunque la signora viene redarguita dal personale dell’ufficio che dichiara che no, non si possono allattare i bambini all’ufficio postale, cioè si possono allattare col biberon, non al seno. Né – come d’altra parte è noto – è predisposta alcuna area per le madri in attesa e con lattanti. La donna scrive su Facebook si lamenta del trattamento ricevuto, si crea un tam tam, le poste mandano una replica che da ragione alla signora, e la Ministra Madia – reagisce prontamente.
Possiamo dire con serenità che l’ufficio postale di Biella, ha fatto una discreta figura di merda.

Siccome ho pochissimo tempo, propongo alcune riflessioni molto veloci. La prima cosa che voglio dire però è preliminare, e si tratta di un atto solidale verso l’ufficio postale di Biella, e con la manica di tromboni che lo gestisce. I poveri impiegati dell’ufficio di Biella, infatti sono assolutamente coerenti con la visione del mondo, delle donne, dei bambini, e del seno, di tutta Biella di tutto il Piemonte, e di questo paese disgraziato che ha il peggio di tutti ii mondi possibili: il concetto di elite e di prestigio del primo mondo senza averne i servizi e il concetto di servizio pubblico, e il volgare sessismo del terzo, senza averne la rete sociale e la alleanza di classe. Pensava dunque il direttore dell’ufficio – di non destare scandalo – perché buona parte del suo mondo l’avrebbe sostenuto: che ci piaccia o no, il poveraccio è uno qualunque, e il casino – come tutti i casini successi recentemente – arrivato dalla rete, che ancora una volta ha dato voce, una voce pericolosamente permanente, agli umori di una cittadinanza che ha reagito con vigore. Io devo dire, sono d’accordo con le persone che hanno affiancato la signora, ma rimango molto perplessa sull’immaturità politica del mezzo, mi scandalizza molto il fatto che un movimento per lo più viscerale, disordinato, gregario, irriflesso – come è il mettere mi piace su uno status di facebook e scrivere vergogna tre volte, abbia raddrizzato una vicenda che doveva invece raddrizzarsi in altro modo, con delle risorse che venivano dall’interno. Quello che voglio dire – è che anche davanti a un esito che condividiamo siamo alla mercé del populismo.

Ma veniamo al sodo. E’ interessante il fatto che, forse proprio grazie alla rete, sappiamo che almeno una volta al mese, arriva un trombone che dice a una signora di non allattare. Un mese fa un’altra poveraccia aveva provato ad allattare in un museo di Bologna, ed era arrivato quello a dire che no era proibito. A ritmi regolari a qualcuna viene detto che non deve allattare in un bar o in un ristorante. E considerando che si tratta di una cosa di specie, una cosa dell’umano che fa parte dell’umano, la cosa dovrebbe rientrare nell’area dell’impensabile. Come mai invece è regolarmente pensata?

In primo luogo considererei un discorso generale. Deduciamo da questi episodi che allattare al seno ha qualcosa di unheimlich, di perturbante, è qualcosa che disturba, e che quindi deve avere ipso facto un grande potere evocativo. Credo che il grande potere evocativo sia dovuto alla rarità del gesto. In Italia intanto si fanno pochissimi figli, un’assenza di bambini che ha persino qualcosa di drammatico. Non ci sono proprio i bambini da allattare. Quando poi ci dovessero essere i bambini da allattare, questo è un paese che non contempla i bambini come cittadini piccoli come gli altri e dunque non concepisce che la loro esistenza sia inclusa nel panorama: ora dirò una cosa cinica, ma le barriere architettoniche di cui tutti si lamentano sono anche barriere architettoniche per i bambini, le carrozzine e i passeggini, ma a tal punto i bambini non sono visti che si parla sempre e solo dei disabili. Il bambino se esiste è cioè un oggetto della madre, ma siccome la madre è donna e quindi vale di meno, non è il caso di fare battaglie politiche in loro nome. Ma la barriera architettonica, è prima di tutto una discriminazione nei suoi confronti.
Ne consegue in ogni caso, che per fare le cose del quotidiano, molte donne devono chiedere l’ausilio di qualcun altro che guardi loro la prole – salvo i casi delle più pugnaci che appunto si recano nei pubblici uffici per poi trovarsi redarguite come la signora di Biella, che ha tirato fuori il seno e ha cambiato il bambino.
Cosa turba?

La prima cosa che ho pensato, è stata una questione di status e di classe.   Nella mentalità distorta di una società patologica e vecchia, in cui il femminile è privato e lavora ancora troppo poco, l’irruenta vitalità della nutrizione, o del corpo nudo di un bambino non sono cose da vivi, ma cose da poveri. Forse anche i ricchi piangono, ci sta, ma sia mai che abbiano dei bambini e dei corpi, sia mai che facciano dei gesti di profonda intimità o di spontaneità. Sia mai che facciano vedere tutto quello che forse non è umano, ma animale. Queste cose esplicite le fanno i poveri, ma noi siamo un posto fichetto, distinto, a modo, decoroso, noi vogliamo sembrare proprio dei borghesi fichi e a posto e quindi di grazia coprite tutta quella bestiale naturalità, se proprio volete stare da noi invecchiatevi immediatamente con dei vestiti acconci, e lasciate la natura dietro le porte di vetro grazie. Il che vuol dire anche, siate femmine ma non proprio in una maniera così sfacciata. Allattare in pubblico un po’ come pisciare, una cosa da barboni. Una cosa di promiscuità. Cambiare un figlio poi, mostrando le impudiche chiappe del putto, e sia mai una fugace comparsa di merda sia mai! Per carità! Mondieu.
Il pubblico – è una cosa da ricche, oppure da maschi.

La seconda cosa riguarda lo statuto simbolico del seno. E’ questo seno che si vede e che da mangiare, un simbolo del materno e del nutrimento, o dell’attrazione sessuale, della capacità erotica del femminile? Probabilmente tutt’e due, per entrambi, e questa cosa lo rende un simbolo incandescente – specie in un paese in cui è chiamato in causa sempre e solo per la sua semantica sessuale – anche a sproposito (vuoi comprare una macchina? Comprati questa  – guarda che belle poppe ci salgono su!) e mai per il suo potere nutrizionale. La presenza del neonato dovrebbe riconfigurare le evocazioni, ma se scomodiamo uno sguardo psicologico profondo, a quel punto dobbiamo vedere che scattano le più svariate identificazioni, nelle donne che guardano la madre, e negli uomini che fanno altrettanto. Il senso scoperto cortocircuita con il desiderio, la dipendenza, il ricordarsi di come si sta da figli, l’invidiare il figlio, e l’invidiare la madre.

Allora mi pare che possa succedere che, sotto l’alibi protettivo e formale del decoro e dello status di classe, si possano nascondere movimenti arcaici di chi non sa stare proprio in sella al suo momento evolutivo, e dominare istanze evidentemente regressive che fanno invidiare terribilmente quella che è da una parte l’immagine della Madre, l’archetipo del Materno, che autarchicamente può nutrire chi è arrivato senza fare ricorso nient’altro che a se stessa, che placa la fame, e il pianto – un’immagine di potenza ferina. Dall’altra mi pare che ci possa essere anche una cospicua invidia per il figlio, per la sua impotenza e il suo diritto a essere saziato gratuitamente, per il suo sacrosanto essere fuori dal contratto sociale e bestialmente titolare di qualcosa di insindacabile ed insopprimibile. La coppia della madre e del bambino, al di la della realtà dei fatti – per cui hanno invece una gran quantità di bisogni – evoca un’idea di terribile autarchia.
Se siamo troppo vecchi per tollerla, è davvero un bruttissimo segnale.

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