Ho finito ora di vedere The Young Pope, di Sorrentino. Ne voglio parlare, perché mi è piaciuto molto, anzi, non so quanto tempo passerà prima che incontri di nuovo qualcosa che mi piaccia altrettanto, e ne voglio scrivere perché è uno di quei lavori che mi metto in un mio personale arsenale professionale, in una mia immaginaria biblioteca dove oggetti di qualità estetica hanno una loro spendibilità nel mondo della clinica.
Preliminarmente voglio dire – non mi occupo né di cinema né di televisione e questo post televisivo lo è solo pretestualmente, non potrò infatti parlare dei meriti di fotografia, e di montaggio e di regia di questa serie, della capacità estetica e iconografica di Sorrentino nell’inventare mondi – qualcuno spero però che scriverà di queste cose, qualcuno anzi sicuramente l’avrà già fatto, e qualcuno si è forse addirittura stizzito, perché l’estetica qui è talmente esplosiva che schiaccia, sembra fare storia a se, è talmente potente che viene da dire, ah il compiacimento, ah la trina inutile. Sarebbe un giudizio comunque ingeneroso – perché l’estetica di questa serie è la fenomenologia di un altrettanto densa sceneggiatura, che ha a sua volta una profonda chiave metafisica e concettuale, in sfacciata controtendenza rispetto al modo contemporaneo di pensare al concetto di fede, ai problemi che implica e a tutta un altro ordine di significati che mi vengono in mente, e che cercherò di argomentare qui.
Lenny Belardo è un Papa insolito e, forse casualmente, agli antipodi non solo del Papa attuale ma dell’idea che generalmente abbiamo di papato. E’ giovane, bello, distante, antipatico, impenetrabile, e con un’idea di diocesi e di fede attualmente in disarmo: la fede come frustrazione, la fede come stato psichico e posizione esistenziale di totale dedizione, la fede come sottomissione premoderna a un paterno totalizzante. Il divino come incarnazione di un imponderabile, di un capriccio a cui sottomettersi. All’inizio della serie, il Papa giovane oscilla tra godimento nell’identificazione con il divino, e fustigazione nel suo esserne servitore e testimone. Non si fa vedere ai fedeli, quando si esprime si arrocca su posizioni molto rigide, che si dipaneranno in tutte le puntate. Ostilità agli omosessuali, Scomunica in caso di aborto – e una generale propensione spontanea alla frustrazione delle aspettative altrui. Un Papa antico e cattivo. Che chiede una perfezione di se, per la quale l’umano non è sufficiente. Intransigente come tutti i giovani, tetragono come tutti gli infelici, Pio Tredicesimo semina morte al suo passaggio. La chiesa si svuota, i fedeli si allontanano, pochissimi resistono alle prove che chiede, e muoiono – muore il giovane seminarista che voleva diventare prete, muore il suo amico fraterno quando torna in Sudamerica, attraversa una terribile devastazione – il meraviglioso Padre Gutierrez, che però vincerà. Chi lo guarda però sa, che c’è qualcosa di vero e sacro, in questa sua dannazione all’intransigenza – questo Papa è un Santo, qualche volta fa veri miracoli. Anzi, la vertigine del Sacro va incontro nel dipanarsi delle puntate a una metamorfosi narrativa: the Young Pope, è il romanzo di formazione di un uomo per un verso e della fede per un altro.
Credo che per capire bene dovremmo scorporare due letture possibili.
Una prima lettura, è più semplicemente psicologica. Lenny è stato abbandonato da bambino, ed è cresciuto in un orfanotrofio, sotto le valide cure di Suor Mary – meravigliosa madre vicaria, ora sua segretaria particolare. Non si da pace, di questo abbandono primario, che lo tormenta ossessivamente, e che sembra essere la matrice originaria della sua esistenza: il padre della carne si è ritratto, negato, l’ha abbandonato – Dio viene costruito a sua immagine e somiglianza. Il padre vissuto come assente, e quindi straordinariamente potente e platealmente persecutorio, come tutti gli oggetti importanti ed emotivamente assenti è mortale per Lenny, mentre la perdita della madre lo ha reso certo infelice e cattivo, ma Suor Mary è stata un valido oggetto sostitutivo che l’ha protetto dal crollo psicotico. Per questo padre abbandonante invece non ci sono sostituzioni salvo un Deus Absconditus terribile quanto ritratto, Lucreziano, perverso – le madri saranno colpite solo nel loro desiderio di non essere madri.
In questa lettura psicologica, la storia di Pio Tredicesimo è il romanzo di formazione di una adolescenza protratta, e ibernata al sacrificio a Dio, al maschile, in un certo senso alla carriera. Lenny ha un fugace contatto con il femminile, che continuerà a coltivare in lettere segrete che non spedirà mai, ma si arrampica nella angosciosa carriera del maschile dimezzato, nel parossismo dell’incompletezza psichica, efficace, inappuntabile, incorruttibile, fuori dalla relazione. Papa nel tempo di un lampo – ma un Papa gravemente nevrotico.
La nevrosi della sizigia assente, lo porta a far ammalare la chiesa tutta, e i devoti tutti. Lo porta a chiedere l’iniquo nel tentativo estremo di compiacere un oggetto malato interno, lo porta anche in un certo senso a disconoscere il suo talento innato per essere in sintonia con la sua bussola etica.
Nell’arco della serie però, piano piano si confronta con il suo desiderio di avere contatto con i genitori perduti, ed esplora una pietas e una misericordia che gli erano sconosciuti. Questo passaggio non viene benissimo alla regia, forse è il punto debole – e risulta a chi lo vede meccanico, non ben articolato – forse ci voleva semplicemente un paio di puntate in più, perché non sono le idee a essere sbagliate, ma il tempo narrativo contratto. Una serie di eventi costellano l’emergere della misericordia, del femminile interno, ed è molto bello e psicologicamente congruo che siano messi in relazione con il suo cambiamento: Pio Tredicesimo che è sedotto dalla giovane mistica, attratto, e che fa si che rimanga incinta, e che desidera stare intorno alla sua creatura, Pio Tredicesimo che manda – l’alcolizzato, abusato, omosessuale Gutierrez – incarnazione di una sua parte malata ma eroica, a risolvere lo scandalo scabroso della pedofilia. Il Bildungsroman del Giovane Papa, si compie quando non ha più bisogno di Suor Mary, e sceglie Gutierrez, il prete omosessuale e alcolista come suo segretario particolare. Interiorizza il suo desiderio di crescere il bambino della mistica, esplora il suo desiderio di contattare i suoi genitori, accetta di predicare in pubblico e fare il Papa. Il Papa mostra un contatto con il lato femminile della fede. Adesso voglio che sorridiate tutti!
Nella predica di quell’evento memorabile, a Venezia, città dove fu abbandonato, crede di vedere i suoi genitori – che lo ascoltano egli voltano le spalle. Ne morirà.
Per una seconda lettura – più junghiana – vorrei che si facesse un passo indietro, sulla disamina del concetto di religiosità secondo Jung. Una delle grandi correnti distorcenti, delle critiche superficiali fatte allo junghismo, è quella di vedere nell’epistemologia junghiana una qualche devozione a una religione positiva piuttosto che a un’altra, e nell’approccio di Jung un che di religioso. Non è corretto, non è preciso. Il modo di Jung di parlare di religione è un modo quasi antropologico, e filosofico, oppure squisitamente psicologico, per il quale il contatto con il Divino è una soluzione agibile al di la delle differenze culturali e sociali per contattare l’archetipo de Se, il tao, il principio originario dell’umano. La preghiera è un modo congruo per contattare l’archetipo del Se. Intorno a questo archetipo gli umani non sono ancora né buoni né cattivi, sono cioè anteriori alla loro declinazione storica. Questo modo di intendere la fede, è qualcosa di molto laico, metafisico e mette insieme la tradizione laica della filosofia occidentale, con le tradizioni medioorientali. Non chiede la conversione a questa o a quella religione, ma un non mediato contatto con la trascendenza – che junghianamente sconfina nello psichico.
(Per capire quanto è laica questa cosa, voglio citare un esempio personale.
Molti anni fa, raccontai a Gian Franco Tedeschi mio primo maestro, che mio padre – un ebreo ateo – la mattina prima di andare a fare il suo lavoro di commercialista – si svegliava intorno alle sei, e leggeva libri di astrofisica, o di filosofia della scienza. Io ne ridevo e la trovavo una bizzarria, Tedeschi invece – mi disse gravemente: questo è il suo modo di pregare, non dissimile al tuo quando leggi di psicoanalisi. Come se pregare appunto fosse il modo di toccare la trascendenza passando per le cose vere per se, e poi per il Se. Come se ci fosse una strada che passa per una concentrazione su ciò che ci piace fare. – Dio è nelle cose che ci piace fare, dice Benedetto tredicesimo all’inizo – Non so se afferrai del tutto, non so se ho afferrato ancora del tutto, ma mi mise in pace con delle cose, mi ha dato una piattaforma su cui ancora mi muovo con agio.)
Tornando al Giovane Papa, nessuno degli eroi della serie, è ontologicamente cattivo: sono peccatori tutti, ma anche brave persone disgraziate che lottano per la vita e per il bene come possono. Angariati dall’immanenza cercano in malo modo di contattare l’archetipo del Se, con alterne vicende. Lo fa lo splendido Voiello, e lo fanno tutti gli altri in modi maldestri o efficaci. Ma se adottiamo questa lettura junghiana si può decidere che questo è un testo sulla fede, sulla formazione del sentimento religioso, ma si può anche decidere che è un testo sulla costruzione di un uomo, dell’uomo, della sua completezza, del suo contatto con se stesso, e dell’integrazione dentro di se dei compiti esistenziali che gli sono necessarii per superare la sua adolescenza simbolica, il suo costante stato latente di figlio.