In questi giorni il liceo dove ho studiato – l’Ennio Quirino Visconti di Roma – è al centro di una polemica nata sulle pagine del quotidiano La Repubblica. Il giornale ha infatti evidenziato la scheda tecnica con cui il liceo viene descritto e pubblicizzato nel sito del MIUR. La medesima scheda per altro, è agilmente scaricabile dalla pagina del Liceo (qui). Il contenuto incriminato è questo:
“L’essere il Liceo classico più antico di Roma conferisce alla scuola fama e prestigio consolidato, confermato dalla politica scolastica che ha da sempre cercato di coniugare l’antica tradizione con l’innovazione didattica. Molti personaggi illustri sono stati alunni del liceo. Le famiglie che scelgono il liceo sono di estrazione medio-alto borghese, per lo più residenti in centro, ma anche provenienti da quartieri diversi, richiamati dalla fama del liceo. Tutti, tranne un paio, gli studenti sono di nazionalità italiana e nessuno è diversamente abile. La percentuale di alunni svantaggiati per condizione familiare è pressoché inesistente, mentre si riscontra un leggero incremento dei casi di DSA. Tutto ciò favorisce il processo di apprendimento, limitando gli interventi di inclusione a casi di DSA, trasferimento in entrata o all’insorgere di BES.”
Il testo è costruito in base alle domande poste dallo stesso ministero, probabilmente con altri scopi. Il ministero ha infatti chiesto agli istituti di rendere conto della composizione sociale delle classi, della percentuale di disabilità e di dsa, e di fornire anche in base a queste domande una scheda di autovalutazione –le domande, anche quelle visibili al pubblico sono domande guida, implicano un suggerimento, non un obbligo – e proprio per questo, molti licei anche prestigiosi non hanno obbedito tassativamente ai temi in questione per autopromuoversi. Ora il Visconti è sempre stato un liceo destinato alle elites borghesi, e quindi le risposte alle domande guida difficilmente potevano essere diverse da quelle che la dirigenza scolastica ha fornito: è una scuola del centro storico romano, gli ex allievi hanno la possibilità di iscrivere i propri figli, ha un certo prestigio sociale e la territorialità garantisce l’utenza di cui la scheda tecnica parla. E’ un dato di fatto. Meno scontato considerare un vantaggio usare questo dato di fatto come oggetto di promozione dell’istituto, aspetti per cui valutarlo positivamente. Le scelte sintattiche della scheda di autovalutazione tradiscono infatti un orientamento etico, un utilizzazione politica di questo dato sociale, che lascia interdetti –per usare un eufemismo. Il dato di realtà è presentato come un vantaggio per la formazione, come uno degli aspetti che rendono l’istituto attraente e prestigioso, e si legge che l’assenza di stranierei e disabili “favorisce il processo di apprendimento” e poco dopo si legge anche che questo processo di apprendimento è garantito “limitando gli interventi di inclusione ai casi di DSA (disturbi dell’apprendimento) o all’insorgere di BES.
Questo in altri termini vuol dire che per andare al Visconti, è meglio se sei ricco, è meglio se sei ricco e medio borghese, ma non te provare a essere ricco borghese e autistico perché in quel caso non c’è trippa per gatti.
in altri termini ancora poi c’è anche una possibile, forse non molto calcolata allusione, una specie di gomitata tranquillizzante ai compari di patto sociale. Tranquillo fratello, qui i negri non li facciamo entrare, manco se sono figli di dirigenti FAO. Oh, poi se viene il diplomatico Senegalese ce la vediamo li per li, che comunque fa fine, e affrontare il razzismo fortifica.
Qualcuno ha già detto che la colpa è un po’ del ministero, e qualcun altro potrebbe dire che la colpa è anche nella resistenza tipica di certi ambienti a sorvegliare la propria comunicazione. Il ministero ha infatti colpevolmente mischiato uno strumento di ricerca sociale eventualmente correttivo di certi squilibri (sogno una pubblica istruzione che costringa il mio liceo a prendersi una percentuale di studenti extracomunitari e residenti in aree svantaggiate) con una scheda di autovalutazione destinata alle famiglie, che andandosi a strutturare su quelle domande facilmente poteva deflagrare in simili forme di idiozia. D’altra parte forse viene da pensare che nell’era dell’informazione digitalizzata e dell’istituto pubblico concepito come impresa, con gli open day, il sito colle foto etc, una dirigenza scolastica faccia maggiore attenzione alle cose che scrive, e si industri ad anticipare i fraintendimenti possibili. La cosa veramente triste però è che invece grossolanità del progetto ministeriale, e arcaica grettezza della presidenza del Visconti rivelano qualcosa di autentico e onesto, una vocazione e un pensiero che la patina della correttezza politica potrebbe occultare. Ci vantiamo della nostra posizione sociale, per noi è un valore fondante, siamo contentissimi di non procurare rogne ai nostri virgulti, questa è l’etica di fondo che trasmettiamo nei nostri insegnamenti.
Perché – questo lo scrivo tutto sommato con dispiacere e delusione – è vero che un tempo in quella scuola hanno studiato personalità prestigiose, quando ci si proponeva anche allora di proporre un’elite intellettuale, una classe dirigente colta e preparata – il Visconti era un collegio dei gesuiti – ma rimaneva il dovere ideologico di mantenere l’accento sulla qualità dell’istruzione, e se ci fosse stata una scheda di autovalutazione sarebbe stato tutto un pavoneggiarsi di quanto son bravi gli studenti nostri, non quanto sono ricchi e da quanto. Oggi forse la dirigenza pensa ad altro, nella scheda tecnica non deve parlare di merito, di qualità didattica, non decide di prendere studenti per merito per capacità e talenti, ma per prestigio. Non gli piacciono oggi gli allievi di famiglia modesta che sfondano alla Normale di Pisa per dire una cosa qualsiasi. No, Al Visconti di oggi interessa la lotta di classe della nuova destra, il vecchio capitalismo in salsa marxista non il mantenimento di un ascensore sociale che cavi questo paese dal pantano.
Quando ci ho studiato io – oramai vent’anni fa – non era una scuola esattamente progressista ed esageratamente composita. Le tracce di questo orientamento erano già profonde, ma va detto, più accennate e più virate sulla ambizione meritocratica. Ho ricordi ambivalenti per questa vocazione borghese del mio istituto, ma devo riconoscere che mi ha dato una buona formazione, e buona parte dei miei compagni di strada all’epoca anche di ceto modesto in una minoranza però significativa, ha poi avuto una riuscita professionale corrispondente agli sforzi fatti all’epoca. Tuttavia c’era almeno allora, tempi di dominio DC e di prima repubblica, un pudore e un’attenzione che in qualche caso era ipocrisia, in qualche altro orientamento sinceramente morale per cui questa roba schifosa che ho copiato qui sopra, non sarebbe mai stata concepita come ammissibile. Veramente. Ce ne saremmo tutti molto vergognati. Anzi sono sicura che nella pur sbandierata omogeneità degli studenti e par di capire dei docenti, in molti siano stati messi a disagio, profondo disagio da questa comunicazione. Come se si preconizzasse per questi adolescenti un futuro che magari non vogliono avere, come se si disegnasse addosso a loro, un modo di essere soggetto politico, cittadino che magari non tutti hanno. Non avere neanche un disabile in classe, favorisce davvero l’apprendimento in maniera dirimente? Non avere neanche un po’ di soggetti svantaggiati socialmente non permette a tutti, svantaggiati e non, di avere altri skills per la vita professionale e civile? Io non chiedo a una scuola pubblica di diventare all’improvviso quello che non è, ma ammesso e non concesso (devo dire molto non concesso) che una scuola pubblica non debba mettere al mondo una cittadinanza equipaggiata, se proprio vogliamo produrre la classe dirigente di domani.
La dobbiamo proprio fare di stronzi?