Sinistra. Adesso.

 

Lo fanno sempre di meno, ma quando i più critici del governo Renzi chiedevano la differenza tra destra e sinistra, allo stato attuale dell’arte, io pur riconoscendo che questa differenza oramai sembrava riguardare due tonalità di colori pastello così contigue da essere difficili da discriminare, avevo abbastanza chiaro il fatto che lo scranno del potere avrebbe reso facile l’individuazione, e se il rosso carminio del partito comunista con gli anni era diventato il rosa pallido di una borghesia in uno stato di inpasse, era facile da prevedere che il grigio al potere non si sarebbe dimenticato di tornare a essere nero – non per ontologia della destra ma per modesta pasta intellettuale e umana della nostra classe dirigente.
I vecchi discorsi sul linguaggio che faceva la sinistra, e che con la sinistra ( o quello che volete voi, la finta sinistra chiamatela vi pare) suonavano poco consistenti riferiti a cose astratte (oh quanto abbiamo riso su “la narrazione”!) stanno rivelando la loro sinistra – per l’appunto – verità ossia che la differenza capitale tra un Minniti e un Salvini è in un dosaggio di cinismo che riguarda non tanto le scelte pratiche verso gli immigrati in mare, ma il modo di parlarne. Il modo di parlarne di un Minniti, era quello di dire cerco di arginare (cinicamente un problema) mantenendo toni antirazzisti nella comunicazione, tuttalpiù classisti, mentre Salvini di fatto aizza all’odio razziale, con conseguenze immediate nella vita quotidiana di tutti, in primo luogo naturalmente, degli immigrati di prima e seconda generazione che vivono qui, anche regolarmente registrati e contrattualizzati. Non so cosa vi è capitato nel vostro privato: nel mio (io abito a Roma) nelle ultime due settimane ho registrato: il pestaggio di un gruppo di badanti indiani a Montesacro, un nuovo picco di insulti e aggressioni a sfondo raziale nella quotidianità della comunità eritrea a Ottavia, e per quel che riguarda la mia zona di vita e di lavoro – Ostiense – un numero piuttosto impressionante di persone – fateci caso, è importante, tutte con un lavoro o una relativa posizione di sicurezza economica: commercianti, impiegate – che dice cose che banalmente, fanno piuttosto schifo. Cose molto brutte, che scandalizzano, che in primo luogo ledono una concezione basica dell’umano, ma che alla fine, non vi credete, ricadranno sulla qualità della vita di tutti, non solo dei discriminati che patiranno un peggioramento della loro vita, ma di una collettività che ci perderà in termine di ordine pubblico, nuovi conflitti difficili da arginare, scarsità di risorse reali per contrastarli. (Sarebbe interessante in questo senso, chiedere al personale di polizia, e carabinieri, cosa pensano di questa nuova ondata di grane da risolvere che si staglia all’orizzonte).

Rigirando un po’ la prospettiva non c’è un momento più propizio per l’emergere di una nuova sinistra, perché questo razzismo al momento è l’unico argomento in campo di una anticipata campagna elettorale, che svolge l’unico attore politico con abbastanza sale in zucca da capire di non avere intorno a se neanche il minimo garantito di avversari politici, argini, controproposte. La lega è al governo con una proposta molto chiara, circostanziata, e che non ha paura della propria identità (fascista) né va detto, siccome tra i suoi adepti la patologia dominante non è il narcisismo, non si è andata dividendo in mille rivoletti tra chi ha il cazzo altruista più lungo. Non ha cioè i problemi identitari dei cinquestelle la cui ossessione al funzionamento delle cose li ha trasformati in patetiche banderuole da poltrona, cosa che ne ridurrà consistentemente l’elettorato alle prossime elezioni, né le deliranti gare di insulti, inaugurate da Renzi ma continuate con livelli di spocchia indicibili nella galassia della sinistra, che è diventata una nauseabonda gabbia di boriosi, dove tutti pd e extra pd a pari merito, più che mai si vantano di sapere benissimo cosa vuole l’elettorato, cosa è il bene e il giusto senza riuscire a muovere una paglia, tanto sono presi a trombare tra loro, ognuno teso a prendere molto sul serio se stesso, e simultaneamente a squalificare la buona fede dell’altro. La sinistra è diventata un coacervo di oggetti politici a percentuale ridotta lamentosi e inaffidabili, profeti di una bontà d’animo di facciata scarsamente consapevole della realtà.
Rimane però un obbiettivo che è il miglioramento del paese nelle sue condizioni economiche e politiche, e mi pare che l’attuale ministro Salvini si stia alla fine rivelando un pessimo Ministro degli Interni, iscritto in una compagine governativa incapace di esprimere qualcosa di sensato. La politica di questo governo sembra voler dire che immigrati rom sono il problema principale del paese di cui è necessario occuparsi. Questo perché quello specifico gruppo di cittadini di cui sopra – la borghesia media e piccola in varie e materiali difficoltà si dichiarano esplicitamente invidiosi dei privilegi che nella loro modesta qualità di vita non sentono di poter godere. Agli immigrati si da una seconda chance che loro non hanno avuto, e si offrono condizioni transitorie quando accade ( i famosi 35 euro al giorno negli alberghi) che sembrano ingiuste alle persone che per mantenere un dignitoso tenore di vita debbono portare avanti le attività di sempre con molta fatica materiale. Siccome il di più in Italia, la crescita personale a una qualità di vita migliore sembra essere impossibile ci si arrabbia con chi sembra avere un decollo gratuito.

Il fatto è che – come sanno destra sinistra e centro – non è l’accoglienza degli immigrati a tenere in scacco il pil, non sono i 35 euro a tenere in ostaggio i concorsi pubblici, non è la cura medica agli approdati a impedire il risanamento della sanità pubblica, e a dirla proprio più a chiare lettere, in un paese con una natività pro capite tra le più basse nel mondo, non sono certo i nuovi immigrati annui in più (posto che si fermino in Italia) a frenare il risanamento di un’economia nazionale, perché mi si perdoni la boutade: un ragazzino italiano potrebbe costare allo stato molto di più di un adulto immigrato messo nelle condizioni di essere contribuente, e anzi quae cum ita sint, mi pare che l’unica possibilità di sopravvivenza dell’INPS è nell’ingresso di nuove energie che vengano da nuovi lavoratori, perché quelli nostri invecchiano e giustamente arricchiscono le fila dei mantenuti.  A questo proposito si veda a questo articolo di Davide Colombo uscito sul Sole 24 ore nel giugno 2017,  dove si allude al contingente di contribuiti versati dai lavoratori immigrati che per maturazione di anni di lavoro, o perché rientrano in patria dopo anni di in Italia non vengono riscattati – sono soldi (nell’ordine di MILIARDI) regalati allo Stato Italiano.

L’altro fatto però è che, questo paese non riesce a essere sbloccato. Per quanto mi riguarda la linea tenuta dal governo Renzi fino alla scellerata politica del premier sul referendum aveva dei meriti, che purtroppo la successiva cannibalizzazione della sinistra a opera sua ma anche ad opera di detrattori ha definitivamente demolito. Quanto meno c’era però un pensiero un tentativo di sblocco del mercato del lavoro – era una buona direzione e credo non a caso la chiave di volta del suo iniziale successo. Ora io so che ora a Sinistra lo sport nazionale è dire quanto era cattivo Renzi, ma vi prego di astenervi qui, perché il punto è un altro. Il punto è che il mercato del lavoro insieme a un progetto politico che tuteli quel che rimane del welfare sono le chiavi di volta della possibile campagna elettorale di una reazione che venga da sinistra e che spieghi per bene come non è prendendotela con quello che è arrivato e che è sicuramente più morto di fame di te, che si risolleveranno le tue sorti. Perché quando ti toglierai dalle palle la badante filippina della signora borghese, quando ci andrà la badante italiana (posto che se ne trovi facilmente una) non avrà una paga migliore, e ti si dice che il problema è di colore quando il problema è di classe, e di rapporto tra le classi. Il colore ossia, occulta lo scopo ultimo che è quello di stritolare le classi meno abbienti mentre non si mette mano agli effetti residui della corruzione sul servizio pubblico, che ne inficia sempre di più la possibilità di intervento. Quindi il primo punto in agenda è riproporre una politica globale sui temi del lavoro, disoccupazione, abitazioni etc.

Infine esiste un terzo fatto, che una volta superato lo sbigottimento inziale, può dare linfa a un nuovo decollo a sinistra. Le sortite di Salvini, hanno portato in campo l’odore di fantasmi totalitari del passato: l’angoscia di antiche prassi. Il censimento dei Rom ha tristemente, e secondo me giustamente ricordato, l’anticamera delle leggi razziali, e la disinvoltura con cui ti capita di sentire esprimere commenti razzisti ha dato l’idea che oggi potrebbe ritornare l’allora. Insistere sulle somiglianze aiuta certo una presa di coscienza, ma è anche una sorta di karma collusivo con la debacle che rende corresponsabili. Se l’umanità è sempre la stessa, sempre composta dalle stesse debolezze, miopie e stanchezze, le circostanze materiali sono davvero cambiate, e anche quelle culturali. C’è una cosa che non si può dire esplicitamente all’elettorato ed è per esempio che le condizioni economiche del paese, se non tutto in diverse aeree non sono le stesse di ottant’anni fa, anche il grado di istruzione non è lo stesso di ottant’anni fa, e anche il grado di comunicazione fra soggetti, circolazione dell’informazione non è lo stesso di ottant’anni fa. Un sacco di persone continuano a stare molto male, e hanno il diritto a stare meglio, e questo è un obbiettivo politici di primo grado, ma possono pensare il proprio stare meglio tramite un discorso complesso, che tolleri l’inclusione di altre forze nel mercato del lavoro, possono permettersi di non cadere nel ricatto della pancia e del peggio di se. Al contrario di tanti a sinistra, che ogni tanto indicano a destra dicendo: guardate come sono bravi questi nella comunicazione, io invece rivendicherei un modo di parlare, un modo di concepire il reale, un tipo di opinione pubblica di giornalismo e di comunicazione politica che è venuta con il dopoguerra, e che prende sul serio l’elettore per la sua capacità di ragionare, non per la sua soglia di erezione.   Se vogliamo fare un discorso sulla comunicazione di sinistra, sarà giusto togliere gli orpelli retorici accessori e di classe, gli sciovismi capalbieschi, le erre mosce di ritorno, ma non ha alcun senso scimmiottare uno stile comunicativo che è un modo di pensare, sia perché come si dice, di fronte all’originale non si sceglierà mai una copia, sia perché non è davvero difficile capire che questo originale al momento, questa idea tribale della politica e degli elettori, non porterà a niente di buono.

 

Un amore.

Aveva quasi trent’anni, gambe lunghe su costumi neri, capelli di paglia secca, occhi di un verde a dire il vero cattivo. Una donna, di uno strano charme magnetico, nata tenace severa, ostile ai sentimenti, al sangue a tutti i semitoni della tenerezza. Lui che era un ragazzone cinematografico, i fianchi stretti e le spalle importanti, un gangster magnifico con la giacca e pantaloni chiari dell’estate, aveva lasciato la scuola presto per andare a lavorare, e aveva lasciato il lavoro presto per finire nella macchia della resistenza. In quelle retrovie terragne e impietose doveva averla incontrata, e essersene innamorato. Forse l’avrà vista fumare con un vestito nero, o l’avrà ancora meglio sentita parlare di cose politiche, l’avrà vista abitare quella che sarebbe stata la loro casa per sempre. La sintassi precisa, il tono spietato, una cultura che doveva suonargli spiazzante.
Si era laureata presto, con una figlia delegata ai genitori e dopo che un marito l’aveva lasciata.

C’è da credere o quanto meno da immaginare che una serie di sillogismi mozzafiato, e alcune declinazioni di pacifico sarcasmo, addosso a tutte quelle gambe, gli abbiano dato alla testa, forse più del corpo da guerrigliera- che poi non faceva altro che portare scomodi dispacci con la bicicletta per le vie di montagna, si diceva tra se e se in estasi, e che sarà mai, che bionda incredibile.
Ma forse, si era innamorato di lei per l’obbligo che sentiva a condurla alla levità, per esempio obbligandola a ballare in balera, attività per cui era assolutamente negata, e in cui incideva lignea e maldestra colla sigaretta in bocca, lo sguardo tetro, pestando piedi di cristiani e di atei, tutti compagni certamente, ma tutti zoppi dopo. Gli piaceva costringerla a ridere della sua scarsa dimestichezza con la carne, la sua marmorea estraneità all’umorismo. Era una donna che non capiva le barzellette, e ogni galante battutista prima di lui era stato falciato da uno sguardo impassibile.

Forse si innamorò anche del latino, dell’italiano forbito. La guerra gli aveva lasciato una carica prestigiosa, che lui avrebbe svolto con l’eleganza che concedono un fisico atletico, un’onestà intelligente, e la dedizione tipica di una generazione e di un mondo, ma gli bruciava dentro la terza media, i pochi libri, il dialetto asciutto delle zie e delle nonne. Se la prese nella vita con fermezza, la obbligò a portare con lui la sua bambina ora ragazzina, le insegno a godere di cose sciocche, la portò ad avere persino degli amici e delle amiche. E lei lo avrebbe assecondato con fatica, questo giovanotto, con quasi dieci anni meno di lei e un cuore così acuto.

 

Si amarono e furono felici.

 

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Riflessione sul genere molto veloce e senza virgole

Se si mettono a confronto l’evoluzione delle due più grandi scuole di matrice psicodinamica, la freudiana e la junghiana, se si guarda in prospettiva storica o sociologica quel che è stato di maestri e discepoli,  e soprattutto discepole, si constata una questione curiosa per cui Freud, che è stato titolare di una teoria aspramente criticata dalle femministe, considerata a ragione maschilista o anche storicizzata, o anche rivedibile, ha messo al mondo una serie di teoriche e analiste autonome rispetto al padre, capaci di pensiero originale, e come soggetti originali riconosciute. Jung invece – come già qualcuno ha osservato, il cui impianto teorico poteva adattarsi meglio ai contenuti dei cambiamenti sociali e dei rapporti di genere, non ha messo al mondo pensatrici originali  – l’unica davvero capace l’ha nel complesso coartata  – ma tuttalpiù ha generato una serie di disciplinate vestali. Il discorso trascende il genere, perché in effetti io da junghiana invidio la maggiore vitalità della tradizione post freudiana che ha radici in altre e più vaste questioni che riguardano i rapporti di genere, ma ora mi trovavo a riflettere proprio sui rapporti di genere, e in particolare su quanto siano più dirimenti le azioni, le modalità relazionali piuttosto che le letture del reale, le interpretazioni. O meglio, quelle letture e interpretazioni sono importanti, sono vitali nel guidare le azioni, ma il primo potere è delle azioni.  E’ nota l’organizzazione che aveva Jung con i suoi e il numero di colleghe che sono state sue amanti, come d’altra parte è nota la modalità un po’ rigida ma rispettosa, di Freud con le sue colleghe e allieve. Magari teorizzava pure l’invidia del pene, ma sul piano di realtà la società analitica negli albori è stata uno dei mondi professionali più aperti alla realizzazione delle donne dell’Europa novecentesca.

Pensavo a queste cose mentre riflettevo su tutt’altro, o sia sull’educazione delle nostre bambine e dei nostri bambini. Pensavo alle bambine soprattutto, e al desiderio di volerle felici libere e complete. Ci pensavo perchè a volte ho la sensazione che la teoria venga sopravvalutata e che si sopravvalutino certe piccole prassi tipiche dell’infanzia, quando invece trovo dirimente l’esempio genitoriale, come il padre e la madre sono tra loro, cosa dicono ai figli, e il grado di rispetto reciproco e di rispetto per le bambine che mettono in campo. Una madre lavoratrice che discute con il marito tra pari, e un padre che parla seriamente con la sua bambina delle cose della scuola e dei suoi vita, vincono su plotoni di barby, su vagonate di cicciobelli, su chili di vestitini rosa.  E mentre vedo nel tuffo al parossismo del genere un passaggio identitario che mi sembra funzionale alla crescita – quella cosa dei bimbi piccoli: maschi ruspa femmina bambola, che nel mio privato ho osservato senza la mia minima interferenza o intenzionalità) ho il timore che la sua negazione sia una sorta di teoria astratta e non applicata al meglio. I meccano alle bambine non basteranno mai, se sul piano relazionale non c’è un modello di rispetto dell’altra. Una tutela della sua identità. Se c’è quello, se c0è quel modello, nella rappresentazione tradizionale del genere ci si può financo sdraiare.

Fioretto

Suo padre era schiantato lasciando la casa a metà, col tetto ancora da fare e da godere, s’era infartato intorno ai settant’anni, come a lasciare anche la sua vita senza cappello, senza pensiero. Aveva detto di sentirsi un malore, ed era scivolato dalla sedia, come una foglia che cade da un albero.
Era un uomo magro e poteva sembrare leggero.

Al figlio era rimasta questa mezza casa nella macchia, e le pile di giornali dove il padre s’era cerchiato le parole con la penna rossa, e le convinzioni anche, vi è da dire. Aveva lavorato un vita nei campi degli altri e a un certo punto con la moglie era arrivato un prato un po’ scosceso, degli alberi –  uno spazio dove mettere qualcosa di più di un tavolino.
Ci si era messo le domeniche, una domenica sull’altra come legna nella riserva, ordinato e ambizioso. S’alzava presto e si vantava agli occhi di se stesso: sono un uomo che sa fare tutto, che non si ferma, che dal nulla lascia al figlio una cosa, anzi, una casa.

(Il figlio per la verità come primissima scelta s’era preso le parole cerchiate e le convinzioni, ci aveva fatto un destino e una carriera, uno storico delle parole e delle idee era diventato, all’ombra delle domeniche del padre accatastate nel cantiere personale, e mentre quello costruiva la casa meravigliosa la casa signorile di una borghesia onirica e campestre,  il figlio obbediva al mandato facendo fascinosi concorsi, prendendosi cattedre esoteriche conquistandosi stipendi astratti come i disegni delle pubblicità sul suo giornale)

Dopo la morte del padre, cogliendo il dovere di mettere il cappello alla vita interrotta e alla casa a metà, aveva poi finito i lavori, con la cessione del quinto, con la pazienza della moglie, con la testarda affezione a un testamento in forma di sogno, infissi di rovere eh, e cancello di ferro battuto, una cucina di maiolica e raffinata modestia.
Perché forse, nel sogno del padre ci s’era messo pure lui

(e delle parole cerchiate in rosso che ne era stato?
Dalla finestra centrale si vedevano degli alberi – lecci, per lo più – dritti fino al cielo, selvatici e ospitali. Ci abitavano poiane e forse qualche fagiano, sicuramente dei picchi. E tutti dicevano al figlio di tagliargli quegli alberi, che ci sarebbe venuta tanta legna, e una vista sulla vallata davvero importante. Ma i tempi sono bui, sono pieni di campi vuoti, e almeno in quella radura, pensavano le parole cerchiate in rosso nella testa del figlio, le bestie – e non solo le poiane ma anche i gufi, e i tassi, e pure i bruttissimi sorci – avrebbero continuato ad avere una casa).

 

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