(morire, volevo dirti, morire in generale non si fa)

Il mio gatto stava attaccato alla vita con solo ormai due corde lise, che gli passavano dalle zampe, quelle davanti, mentre il resto della sua bellezza di gatto era diventata inerte e pure dolorosa.
Il tempo s’è mangiato il mio gatto, io credo almeno la sua parte materiale, il tempo fatto di cose che si toccano e cambiano strusciando l’una con l’altra, trasformandosi, distruggendosi.
Per esempio il pelo del mio gatto, ora che era attaccato a queste due esili corde, era diventato diradato e opaco, perché dei tanti tipi di tempo che se lo potevano mangiare, il più vorace è stato quello in cui abbiamo visto insieme dei film alla televisione, io e il mio gatto.

Pure le guance gli erano diventate asciutte e smunte, gli zigomi pronunciati di un povero del dopoguerra, il muso di un gatto di sabbia e di rovine, quando a dire il vero, aveva avuto sempre guance piene e gradasse di gatto sovrano, guance di gatto omaggiato e viziato, guance quasi boriose aveva il mio gatto, e queste guance gliele deve aver mangiato quel tipo di tempo, che passa per i baci sulla testa.

(Era stato un gatto metodico, pigro, ieratico e paziente, portato per giochi da tavolo più che per l’atletica, empatico e gentile nei momenti di tristezza, quando avevo lo studio in casa aveva sostenuto dei pazienti, qualcuno lo ricorderà con affetto. Questo per dire, che non è stato il tempo dell’agone e della virile caccia, a fare del mio gatto un gatto magro, sottile e ed evanescente. Disprezzava queste sciocche occupazioni. Lo ha consumato invece il tempo delle discussioni di clinica e filosofia. E forse pure quel guardarsi negli occhi sfidante e agonistico – facciamo a chi ride prima.)

E certo è stato un tempo cattivo e iniquo, vorrei dire non quello passato sulle mie spalle o tra i miei piedi, quello che faceva piangere il mio gatto di dolori al ventre, per quanto fosse un gatto vecchio e stanco. Quello è stato il tempo cattivo della malattia incurabile, per la quale mio gatto amato, abbiamo fatto quel che si poteva, punture e pasticche, e gite dal dottore e cibi selezionati. Siamo stati felici, e per un po’ abbiamo pure pareggiato.
Ma due corde sole sono troppe per tirare una vita, non si può fare e dunque gatto mio amato, le abbiamo dovute tagliare
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