Sul ddl Pillon

Comincia ora la discussione del ddl Pillon, un disegno di legge teso a riformulare le norme della separazione tra coniugi in particolare in presenza di figli. Il disegno di legge prevede alcuni cambiamenti salienti che qui vorrei sintetizzare

– obbligo della mediazione familiare, in presenza degli avvocati di parte per avviare la separazione
– abolizione dell’assegno di mantenimento, con divisione delle spese fatte in base al riscontro delle prove di pagamento
– divisione rigorosa a metà del tempo passato con i figli.
– Un indennizzo per il genitore che lascia all’altro la casa di proprietà

 

E nel dettaglio si riscontra:
– cambiamento dell’accordo solo previo accordo della coppia
– nessuna osservazione aggiuntiva o casistica particolare quando i figli in questione dovessero essere molto piccoli, per esempio sotto i tre anni
– nessuna rilevanza rispetto i desideri espressi dai minori
– nessuna possibilità di ricorrere al tribunale di fronte all’inadempienza di un genitore.

Sulla carta, può giustamente sembrare a molti, un notevole passo avanti giuridico. L’attuale diritto di famiglia protegge molto le mogli e le madri, e spesso questa protezione in sede di tribunale diventa l’arma con cui ex partner vengono messi in grave difficoltà economica, in primo luogo, ma anche spesso resi protagonisti di vicende familiari in cui sono loro malgrado, allontanati dai figli. Oggi davvero molti padri, hanno un sincero desiderio di passare più tempo con i propri figli, e un sincero desiderio di sorvegliarne la crescita e sono davvero tante le vicende amare per cui ci sono uomini allontanati dalla famiglia perché le ex compagne fanno in modo che i figli non vogliano incontrarli.   Inoltre, quando le associazioni di padri separati sottolineano l’enorme onere economico a cui vanno incontro, denunciano il vero specie se si pensa alla questione dell’assegnazione della casa, che viene stabilita in base a quale genitore vivrà con il figlio, per cui può accadere che un padre, titolare di una casa di proprietà ne perda completamente la titolarità e si trovi a dover pagare un affitto e anche un assegno con degli alimenti. Per molte persone è davvero oneroso e complicato. Non è tema di questo post, ma una correzione della legge attualmente in vigore che allevi la situazione del genitore a cui non è assegnata la casa – stabilendo un indennizzo, risarcendolo con delle esenzioni fiscali? Sono ipotesi – potrebbe essere una cosa intelligente, così come aiutare questi nuovi padri ad essere tutelati nel loro voler essere più presenti nella vita dei figli – per esempio alzando l’asticella del minimo di cura necessario. Da psicologa, per me per esempio: l’attuale giorno a settimana più i due fine settimana al mese sono davvero troppo pochi. Almeno un altro giorno infrasettimanale, sarebbe una cosa auspicabile per il benessere dei bambini. La famiglia cambia, i padri cambiano, ed è giusto che cambi la legge che ne regolamenta la vita quotidiana. MA sono blande ipotesi – ci sarebbe molto da fermarsi e pensare.

Tuttavia, questo ddl rappresenta la risposta mal strutturata e peggiorativa di una domanda anche lecita, e lascia basiti, al di la del banale conflitto di interessi, considerare il fatto che a proporlo è un professionista – il presidente di un’associazione di mediazione familiare – che dovrebbe avere (si presuppone, evidentemente a torto) qualche rudimento di esperienza materiale in fatto di separazioni. Lascia basiti perché per gli addetti ai lavori, che siano mediatori, che siano avvocati, che siano psicologi, constatano che per come è scritto questo ddl 1. Incrementa la conflittualità genitoriale, dilatandola e procurando alla coppia una moltiplicazione di occasioni di lite 2.   Lede gravemente, davvero gravemente, gli interessi dei bambini. 3. E’ particolarmente delirante nei casi in cui ci sia violenza di genere, per la diffidenza che mostra verso le denunce in questo ambito, e i poveri bambini siano vittime di violenza reale o assistita.
Vediamo i singoli punti.

La conflittualità genitoriale è molto aumentata dalla perdita dell’assegno di mantenimento. L’assegno di mantenimento, è magari un accordo difficile da digerire, ma almeno impone alle parti in causa di risolvere la questione una volta per tutte, e poi di riuscire in qualche modo a organizzarsi nelle proprie vite separate. L’idea che le spese debbano essere continuamente riconteggiate e divise al millimetro, mi pare che ridia ai membri della coppia continue occasioni di dissenso, piattaforme simboliche su cui di volta in volta rimettere in campo disagi emotivi. Perché, come capita di constatare nelle liti in tema di eredità, le persone per i soldi si dilaniano, ma non per il luogo comune dell’avidità e che tutti sono brutti e cattivi, ma perché sui soldi simbolicamente si mette in campo una proiezione affettiva, sono i sostituti di primo grado da un punto di vista simbolico dell’amore, della relazione, che piaccia o meno. Sono la moneta vicaria dell’essere con. Ed è semplicemente delirante mettere dei genitori nella posizione di stare a rinegoziare la fine del loro affetto e il loro voler bene ai figli a ogni scontrino fiscale.
Ugualmente, anche partire dalla teoria del figlio diviso a metà per tempi e spazi, ripropone continue situazioni di conflitto, specie considerando l’attuale organizzazione economica e sociale delle coppie. Davvero all’atto pratico i padri italiani riusciranno a reggere tutti, questi ritmi? E quando non riuscissero e delegassero a oltranza o chiedessero al partner di riprendersi la prole è sicuro che questo non creerebbe disagio? E ancora liti?
Questo ddl riguarda gli uomini e le donne, in un momento di vita tra i peggiori e i più dolorosi, un momento di vita che li rende ammalati: ossia in difficoltà, conflittuali, intolleranti, spesso magari non sempre, ma spesso, al peggio di se. La separazione è non di rado una sorta di adolescenza cattiva, dove tutti protestano tutti piangono tutti si trovano in un cambiamento che non avrebbero voluto. Pensato in questo modo, le parti sono incoraggiate a rimanere in questo stato di aggressione permanente, con mille quotidiane occasioni di risentimento. E’ una separazione cioè, che non sembra pensata da un mediatore familiare. Da uno che deve aiutare le persone a separarsi e a negoziare. Nella realtà materiale della vita quotidiana.

  1. La disattenzione verso i minori è scandalosa e per me criminale. E mi pare che si esprima su più livelli.
    Il primo è il mancato assegno per la parte, di solito la madre, che ha i figli a carico e che non dovesse lavorare. Io capisco che i temi delle donne non sono prioritari per gli estensori di questo decreto, ma se siamo in un paese con una bassa occupazione femminile, e che ostacola in vari modi il lavoro delle madri, come si può sperare che la madre separata lavori? La verità è che siccome Pillon è un neocatecumenale reazionario, la posizione mentale è quella di dire: donna hai voluto la bicicletta? (del’emancipazione? Della separazione) Ora pedala, anche se magari la bicicletta, nell’eventuale contingenza, ossia la separazione l’ha voluta il partner, oppure è l’esito dell’aggressione alla coppia da parte del partner per esempio – per un tradimento. In ogni caso, una madre che non ha mai lavorato e che ora dovesse trovare il modo di lavorare – a cinquant’anni? Sessanta? Si troverebbe in una grave difficoltà materiale e quindi psicologica, e questa difficoltà psicologica, potrebbe ricadere piuttosto o gravemente sui bambini. E naturalmente sull’ex partner medesimo.  Un’evenienza questa, in un paese con un bassissimo tasso di occupazione femminile, tutt’altro che scontata.
    Il secondo per me riguarda l’assoluta indifferenza alla qualità della vita dei figli. L’importanza che vivano in un contesto di riferimento, continuativo e rassicurante. Io ho serie perplessità che cambiar casa ogni dieci giorni specie quando per questioni di forza maggiore la casa del partner è molto lontana da quella dove il figlio è cresciuto e ha costruito la sua quotidianità sia una cosa buona per i bambini. Può forse andar bene se le case degli ex coniugi sono molto vicine, ma soprattutto nelle grandi città mi pare raro che succeda.
    Il terzo motivo, è il mancato riferimento all’età del bambino. Se l’idea che un minore sia affidato fifty fifty in generale mi suscita qualche perplessità ma non faccio fatica a escludere coppie armoniose che riescano a risolvere la cosa per il meglio, se penso al minore di tre anni, un bambino di pochi mesi, un bambino di un anno magari ancora in allattamento, tolto alla madre, mi sale proprio una preoccupazione indigeribile, mi pare che si faccia un torto al minore gravissimo. Un bambino di meno di un anno separato dalla madre ogni due settimane????
    Non credo che ci sia molto da dire.

 

Il quarto motivo, riguarda sia la sottesa idea dell’alienazione parentale e la fantasiosa pretesa di risolverla con un atto giuridico sbrigativo, sia il caso terribilmente grave e terribilmente frequente delle separazioni che seguono a violenza sui minori, e violenza verso la madre a cui si trova ad assistere il minore. Infatti l’idea è quella di dividere il tempo dei genitori a prescindere dai desiderata dei figli contesi, perché si parte dall’assunto che se un figlio non vuole vedere uno dei due partner è sempre comunque manipolato. Questa cosa è già di per se un’aggressione, un dire al futuro cittadino che è un cretino, uno che si fa maneggiare, in caso di figli adolescenti si tratta di un parere secondo me gravemente collusivo con certe patologie che emergono in quell’età. Un ragazzino di sedici anni dice risolutamente di voler stare con la madre, e lo Stato gli dice che lui non conta niente, che non ha un parere da prendere in considerazione, che crede di avere un’identità ma si sbaglia. Scusate, sono i semi per un comportamento criminale serviti sul piatto d’argento. Se il minore ha una qualche psicopatologia pregressa, una difficoltà scolastica, una bocciatura alle spalle, un problema di immissione nel mondo degli adulti, obbligato contro la sua volontà ad andare dal padre per gruppi di quindici giorni, è proprio pronto per la deriva sociale.
Questo perché se consideriamo davvero, per esempio tutte le ricerche che sono state fatte da psicologi rigorosi, e attenti, dovremmo sapere che la PAS come costrutto esiste pure, ma non è una manipolazione che si fonda su una mera suggestione r giochi di potere, ma che si basa sull’orchestra di meccanismi difensivi che si intrecciano a emozioni reali, necessità psichiche profonde, riflessioni e osservazioni che il minore fa sul piano di realtà, e non possono essere criminalmente cancellate con un colpo di spugna. Se un figlio desidera proteggere la madre dal dolore che è convinto le abbia inferto il padre, avendola per esempio vista piangere numerose volte, sapendo nel frattempo che il padre ha un’altra relazione, non sarà di certo la la dichiarazione astratta di un tribunale che la madre ha una depressione cronica ( magari pure causa reale del suo malessere)   a fargli cambiare idea e a farlo star bene con suo padre. Il bisogno di farsi difensore di sua madre, ha radici profonde, nell’organizzazione edipica che una separazione conflittuale ha impedito di superare, per quel figlio proteggere la madre è di vitale importanza. E’ solo uno degli esempi, naturalmente, ma non è che se il tribunale dice, dal nulla dopo una vita di esperienze ed eventi guarda sei manipolato, che il minore dice ok avete ragione ora sto volentieri con papà. Il minore, per i mille romanzi familiari che qui non possiamo sintetizzare, ha molteplici motivi possibili per ritenere vitale per se, gravemente vitale proteggere la madre, o comunque il genitore alienante. E se si crede di farla facile, beh noi psicologi, noi che lavoriamo coi servizi sociali, le case famiglia, insomma, noi ci ingrassiamo, il lavoro aumenta, l’infelicità si moltiplica.

Naturalmente ancora più criminale è la casistica, malamente contemplata dal ddl, delle famiglie abusanti. Il ddl prevede la casistica delle famiglie abusanti, ma in una distorsione ideologica parte dall’assunto che le denunce di abuso siano spesso false, e quindi prima che l’eventuale parte lesa sia riconosciuta come tale dovrà affrontare un complesso iter procedurale in termini di ANNI, nel frattempo però l’affido seguirebbe le linee indicate dal disegno.
Per quanto io sia tra i colleghi che più insistono nella necessità di far avere contatti tra figli abusati, vittime di violenza assistita e genitori abusanti, perché purtroppo quello è il genitore, bisogna che ci si fa i conti e in qualche modo lo si iscriva nella propria storia, il massimo che si possa sperare in certe vicende terribili e che il padre sia curato serratamente, la coppia familiare pure, che ci sia volontà da tutte le parti in causa, e che i minori siano guidati in una serie di incontri protetti, circoscritti nello spazio e nel tempo e sorvegliati (il tutto però bisogna dire: nella consapevolezza della cronicità grave, e della difficoltà di intervento risolutivo con questo campione di pazienti e assistiti) E IL TUTTO PERO’ SUBITO, NON DOPO GLI ANNI VITALI DELLA CRESCITA ESPONENDO IL MINORE A ULTERIORI ABUSI. Ritenere con questa allucinante e irresponsabile disinvoltura che un bambino a cui un soggetto psichiatrico ha spento le sigarette addosso, che ha frustato con la cinghia, che abbia rotto il braccio di sua madre davanti a lui, che le abbia ficcato un coltello nelle narici (perché cari di queste cose si parla, è bene che si sappia) e via discorrendo ed eludendo i casi ben più gravi e frequenti , debba andare a casa sua per due settimane al mese, perché le cicatrici se le deve essere inventate causa pas, veramente fa rabbrividire, fa cascare le braccia. Il pensiero che poi questo disgraziato, non volendoci andare, debba andare in una casa famiglia – siamo proprio nel campo della follia. Ma è più corretto dire dell’incompetenza per quel che concerne la psichiatria delle coppie violente.

In conclusione io credo che questa proposta di legge, scritta in maniera abborracciata, e frettolosa, al di la della matrice ideologica che la connota, sia tarata su un umano ideale: forse sui film degli anni cinquanta? Forse sui cartoni animati? Forse sulle favole della buona notte? Perché presuppone un idilliaco e vissero tutti felici e contenti in un momento della vita in cui l’umano cade e spesso rischia di rimanere nel suo funzionamento peggiore e più difficoltoso, quando cioè non è per niente conciliante e idilliaco.  Suppone che certi cambiamenti storici e culturali che ci sono stati siano l’esito di un’ondata ideologica e non lo specchio di un cambiamento nell’esistenza materiale di tutti uomini e donne. Non tiene per niente conto delle condizioni in cui vivono le persone, delle aggressioni del quotidiano, della psicologia delle persone e delle persone durante la separazione, dei diritti dei bambini. Occulta con atarassica serenità i problemi spesso insormontabili che si creano in caso di patologie psichiatriche conclamate e marginalità sociale. E’ una proposta di legge scellerata che dovrebbe essere rifiutata da tutti, uomini, donne, destra, sinistra, cinque stelle o meno. Di cui  forse cinicamente, beneficeremmo solo  noi professionisti grazie alla moltiplicazione di perizie, percorsi obbligati mediazioni familiari fatte (secondo il decreto di fronte alla presenza di familiari, questo particolare è un ultima prova dell’incompetenza degli estensori: me li vedo i genitori a parlare del conflitto davanti agli avvocati di parte avversa. Tanta sincerità proprio) .

Tanto dolore, problemi che non si risolvono, disperazione,  e dunque tanti professionisti chiamati in causa e remunerati. Una moltiplicazione di perizie di parte, di mediazioni familiari, di interventi riparatori, per una legge che non è fatta per gli uomini, ma per gli angeli.  Non mi pare che sia giusto verso le famiglie e gli elettori tradire così tanto i bisogni che hanno manifestato.

8 pensieri su “Sul ddl Pillon

  1. “sono davvero tante le vicende amare per cui ci sono uomini allontanati dalla famiglia perché le ex compagne fanno in modo che i figli non vogliano incontrarli”: quante sono? Perché mi piacerebbe proprio sapere su cosa si fonda questa considerazione, che sento ripetere a pappagallo a destra e a manca.
    Provo ad anticipare io la risposta, visto che sono anni che discuto con chi vive nella convinzione che ad una frase del genere si possa attribuire un qualche valore di verità: “io ne ho viste ‘tante’ nel mio lavoro”.
    Che significa “tante”? Sono 20, 50, 300? E qual è la percentuale di queste “vicende amare” sul totale delle separazioni? Qual è il rapporto fra queste “vicende amare” e i casi di violenza domestica, abusi sui minori?
    Se non si è in grado di rispondere a domande del genere, se non si è in grado di fornire numeri e bibliografia invece di avverbi, non si dovrebbero scrivere certe cose con tanta leggerezza.
    Io credo che, nel rispetto di tutti i soggetti coinvolti – soprattutto quelli più vulnerabili – è ora di smetterla di parlare per luoghi comuni o riportando la propria esperienza personale, che non ha alcun valore se si tratta di quantificare le dimensioni di un fenomeno sociale.
    Mi rendo conto che dietro simili affermazioni ci sia il desiderio di essere “giusti”: ci sono sicuramente dei bravi padri là fuori, uomini che supportano il ddl 735 animati dal desiderio di passare più tempo coi loro figli. Ma non è certo a loro che dobbiamo un disegno di legge che nasce da anni e anni di propaganda basata su dati del tutto inventati.
    “L’attuale diritto di famiglia protegge molto le mogli e le madri, e spesso questa protezione in sede di tribunale diventa l’arma con cui ex partner vengono messi in grave difficoltà economica”: davvero? Quanti sono gli ex mariti in difficoltà economica e come se la passano le loro ex mogli? Che significa “spesso”? 2 casi su tre? 10 casi su 100?
    Sono anni che chi lavora sulla raccolta dei dati parla con preoccupazione di povertà dei nuclei familiari, soprattutto quelli monoreddito con il padre breadwinner; raccontare che la povertà sia un problema degli uomini – dei maschi – e sia il risultato di leggi inique sul divorzio è una menzogna, che non aiuta certo questo paese a risollevarsi da una crisi economica che sembra non avere fine.
    I rapporti della Caritas parlano di assistiti di ambo i sessi in egual misura, ci sono tante madri separate quanti padri separati che vivono sotto la soglia di povertà: su che basi si afferma che la povertà è un fenomeno da associare alle leggi su separazione, divorzio e/o mantenimento dei figli?
    Questo intervento è sicuramente animato da buone intenzioni, ma la buona fede non basta: occorre cominiciare ad affrontare la questione su premesse diverse.

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    • La mia ex compagna si è innamorata di un altro uomo e mi ha lasciato dopo 15 anni. I sogni di una vita, di una famiglia frantumati senza un perché dopo 15 anni, e una figlia di 7. Sono una papà separato da 5 anni, sono costretto a fare due lavori per arrivare a fine mese, ma questo l’istat non te lo dice perchè il “povero” nella vostra bacata mentalità è solo quello che mangia alla caritas e non anche quello costretto a fare una vita d’inferno……La mia “fortuna” (perchè a quanto pare in questo paese di finti moralisti è una fortuna per un padre che viene lasciato, trascorrere cosi tanti giorni con i proprio figli…) è quella di poter stare con mia figlia due settimana al mese, 14 giorni che danno a me e alla mia bambina ossigeno dopo i 14 passati in apnea ma anche questo credo che l’istat non ve lo dice… Anziché criticare in base a datucci che leggete sui giornaletti, provate a chiacchierare e a guardare negli occhi chi queste situazioni le vive ogni giorno sulla propria pelle, e magari scoprireste tante cose che, evidentemente, ignorate….Non è un caso che le critiche a questo DDL che finalmente tenta di rimuovere privilegi immotivati, vengano solo da donne!! Io sono per la parità, ma per volere la parità bisogna cominciare dalle basi, cioè dalla famiglia e finchè la figura del padre non sarà legalmente e concretamente equiparata alla figura della madre(perchè tanto vale un padre..) non potrà esserci mai nessuna parità!

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      • Quando ho scritto che “nel rispetto di tutti i soggetti coinvolti – soprattutto quelli più vulnerabili – è ora di smetterla di parlare per luoghi comuni o riportando la propria esperienza personale”, non intendevo dire che bisogna impedirsi di provare empatia per il dolore di chi voglia condividere il suo dramma personale. Ma l’esperienza personale non ci autorizza a generalizzare usando avverbi di tempo e di quantità.
        Se mia moglie mi tradisce, non posso andare in giro a scrivere “tante donne tradiscono i mariti”, a meno di non aver condotto uno studio statistico che permetta di proiettare i dati raccolti. Io ho incontrato una marea di ex mariti Raccontare la propria storia è un conto, pretendere che possa emblematica della situazione di un’intera nazione… beh, è un’altra cosa.

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    • Il concetto di base che esprimi è formalmente corretto : non si può generalizzare, ma d’altra non si può negare nemmeno l’evidenza, mettendo al testa sotto la sabbia ogni qualvolta c’è qualche cosa o qualche situazione che ci viene contro o no? Il mondo e la storia è piena di mariti e mogli fedifraghi, ed è la stessa storia che vuole, ancora, che la figura del padre sia sempre al di sotto di quella materna. Io ho riportato la mia esperienza personale, solo ed esclusivamente per dimostrare che il ddl Pillon, con tutte le sue migliorabili lacune, ha di fatto centrato al cuore un problema reale, vero, concreto : l’esistenza di uomini padri, capaci e vogliosi troppo spesso impossibilitati ad esercitare come vorrebbero la loro sacrosanta paternità. O forse sto generalizzando troppo? Basterebbe essere obiettivi e porsi un attimo nella parte opposta per comprendere la realtà del fenomeno, senza la necessità di scomodare Freud.

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