Obesità come assenza di fantasia

 

Vorrei cominciare questo post con una lista, che probabilmente è anche incompleta e che cerca di raccogliere un insieme di oggetti culturali, comportamenti, pratiche, ma anche oggetti materiali, che ruotano insieme alla nutrizione, alle prassi sanitarie, ma anche alla sua estetica.

  • allattamento
    – discorsi sull’allattamento: teorie, suggerimenti medici, teorie psicologiche, laiche legue, pagine facebook, dibattiti tra madri, libri in tema.
  • dieta
  • discorsi sulle diete: pagine sulla dieta, esperti della dieta, dieta e oms, teoresi di colesterolo, glicemia, strumenti per le diete. Libri
  • intolleranze alimentari importanti, fondate, emergenti o presunte: la celiachia, l’intolleranza al lattosio, e via di seguito.
  • marketing: cibi per la celiachia
  • teoresi dell’ideologia del cibo: vegetariani e vegani. Anche qui dibatitto, libri, libri di ricette, dibattiti, marketing
  • Moltiplicazione dei ristoranti nei centri urbani.
  • Siti dedicati alle recensioni dei ristoranti
  • Siti dedicati alla prenotazione dei ristoranti, e alla consegna a domicilio di cibo di ristoranti o di supermercati
  • Apertura di supermercati h/24
  • Scuole di cucina
  • Il cibo come rito culturale fotograto: foto dei piatti sui social.
  • La preparazione del cibo, come prodotto culturale appetibile: trasmissioni sulla cucina, trasmissioni che sono gare di cuochi, trasmissioni con ristrutturazioni di ristoranti, trasmissioni con valutazioni dei ristoranti
  • Emergere di un nuovo mitologema, lo chef, suo uso nelle pubblicità.

Questo elenco parziale mette insieme le occasioni in cui l’argomento cibo diventa centrale nelle nostre prassi quotidiane. A ben vedere sono veramente moltissime: diventa centrale per la cura della prima infanzia (allattamento), centrale per la cura della persona (le diete) , centrale per la sua vita sociale nel mondo reale e in quello virtuale (ristoranti e loro foto sui social), centrale per le scelte politiche (veganesimo si o no) centrale per la gestione dell’ansia (supermercato aperto h/24) centrale come rappresentazione del potere e dell’estetica (il mitologema dello chef) . E’ un elenco che desta almeno a me, una certa preoccupazione perché mi ricorda la mia personale definizione di psicopatologia, secondo cui uno dei primi elementi che considero diagnosticamente rilevanti quando valuto la necessità di un trattamento per un paziente: quello di chi in occasioni diverse, problemi diversi, necessità adattive diverse, risponde sempre con la stessa strategia difensiva, senza cambiarla mai. Disponiamo infatti di tanti meccanismi di difesa e di strategie e comportamenti, e di temi e pensieri, e tutti sono utili, tutti possono essere funzionali. Ma se siamo sempre ansiosi: sia durante una sfida che durante un’occasione di gioia, sia per nostri problemi che per quelli altrui, beh non stiamo funzionando al meglio, non stiamo al meglio di noi stessi – perché possediamo altre strategie e comportamenti che sono più adatti che non usiamo mai. E col cibo io vedo questo stesso comportamento, al livello di psicologia sociale: usiamo il cibo per dimostrare di essere buoni genitori, usiamo il cibo per prenderci cura di noi stessi, usiamo il cibo per procurarci piacere, usiamo il cibo per sedare l’angoscia ma anche per definirci in termini narcisistici e identitari – e per assecondare degli status di classe. Il mercato del cibo è uno dei pochi settori che in questo momento di crisi economica non recede ma anzi dilaga fino al collasso: si può dire anche che infatti il cibo viene usato come anestetico per sedare qualsiasi iniziativa politica.

Mc donald’s e circense.

Questa particolare risposta adattiva, rigida e pervasiva, è socialmente e politicamente incoraggiata. L’occidente è infatti in mezzo a un paradossale incrocio. Da una parte abbiamo l’industrializzazione delle risorse alimentari che permette la diffusione di cibo per tutti a costi competitivi, con ricadute pericolose però sulla qualità e la nocività, e dall’altra abbiamo la crisi non solo dell’industria che sostiene altri beni di consumo, ma anche del wellfare, e delle ideologie politiche che lo sostengono. Le economie occidentali stanno facendo fatica non solo a mantenere lo stato sociale, ma anche una media degli stipendi pro capite che aiuti a un discreto tenore di vita in autonomia. La risultante, nei centri urbani in particolare, è che la gente fa una cosa sola: mangia, o al limite – pensa a mangiare. I ventenni e trentenni cominciano carriere professionali che non riescono a portare a una casa in proprio, perché viaggiano su stipendi intorno ai 1000 al mese, quando sono fortunati, e quindi, alla fine non hanno abbastanza soldi per staccarsi dalle famiglie, ma ne hanno in abbondanza rimanendoci per cui alla fine, spendono nella vita sociale: spendono negli innumerevoli ristoranti delle loro città. Alla proposta rutilante di cibo, e alla sua estetica culturale, corrisponde una pervasiva anestesia della progettualità politica, dell’edonismo, e del progetto per se. Le persone abdicano ai propri bisogni di autonomia e mangiano, abdicano al pensiero collettivo e alla constatazione delle mancanze di servizi e mangiano, e infine, duole dirlo, ma non di rado nell’atto di mangiare, in realtà non concettualizzano spesso quello che consumano, non provano un vero godimento estetico, non si informano su cosa consumano. Perché il cibo è una nuova sostanza psicotropa, uno psicofarmaco come un altro. In tanti casi, il sapore non conta – e questo purtroppo è tanto più vero, cattivo e pericoloso quanto più si scende nelle fasce di reddito: perché questa è la nuova stratificazione di classe in fatto di cibo, prima il ricco mangiava e il povero no. Oggi in occidente mangiano tutti, ma il ricco mangia cose più sane e controllate che sono molto più care, e il povero è assalito da cibo industriale, accessibile quanto tossico. Come aveva tristemente già mostrato l’esempio americano, che ci fa sempre vedere come potremmo diventare nel bene e nel male, la nuova prova della caporetto in fatto di lotta di classe è l’obesità.

Questo post però l’ho scritto pensando ai problemi di sovrappeso dei bambini italiani, che recentemente sono risultati in aumento. Ci sono delle questioni mediche e sanitarie che incidono molto nel problema (per esempio la questione del latte artificiale che è correlato con l’insorgenza di obesità, ma ci sono anche altre questioni biologiche, e che investono la genetica che sono importanti) ma io qui vorrei riflettere su cosa può suggerire di utile una prospettiva psicologica. Sono perciò partita dall’osservazione della psicologia sociale del cibo, perché noto che nel piccolo della gestione dei bambini, quell’uso dell’alimentazione come risposta a qualsiasi problema è un dato ricorrente. E questo per me è un problema non solo per una questione sanitaria, ma anche per una questione di una più generica salute psicologica.

Quello che si vede infatti sugli adulti, si osserva anche su molti bambini, soprattutto perché il dare cibo goloso, appagante, è un comportamento su cui si appoggia frequentemente il problema della genitorialità di oggi, che è la difficoltà a somministrare la frustrazione. Molti genitori oggi, non sanno affrontare il dispiacere del bambino sotto tanti aspetti, sia quello legato alla semplice negazione di qualcosa che il bambino desidera (per esempio una seconda merenda di cui è goloso) sia il dispiacere provato dal bambino quando ha un problema che non sa risolvere, in particolare la gestione del suo tempo vuoto.   I genitori oggi sembrano dividersi tra: quelli che somministrano attività a spron battuto ai bambini, e quelli che passano molto tempo con i loro bambini, oppure pagano qualcuno perché li intrattenga attivamente. L’opzione per cui un bambino se la deve cavare da solo a inventarsi cose nel suo tempo libero è sempre più raramente presa in considerazione. E questo secondo me è un grave danno, perché quella cosa del tempo vuoto, dove tu devi inventarti qualcosa che ti piace, che tu possa trovare avvincente, quella cosa di un tempo vuoto con qualcuno che sta vicino a te rendendoti sicuro, senza essere sempre con te rendendosi intrusivo, è una cosa preziosa, che fa crescere il cervello, la progettualità, il desiderio. Così come, trovo sano e utile far capire a un bambino che il cibo può essere una cosa bella, piacevole, interessante, da godere anche con la testa, per esempio riflettendo insieme a lui sulla storia e sulla natura degli ingredienti che consuma con le sue merende, sia però ragionando insieme sul fatto che ci sono altre fonti di appagamento di piacere di benessere.

Si possono suggerire allora degli esempi pratici. Può essere bello riflettere insieme su cosa è un gelato, informarsi su quali sono le sostanze che lo compongono, la differenza tra gusti fatti con la crema o il fior di latte, e gusti alla frutta con base di acqua. Invitare a mangiarlo piano, mettendo insieme le informazioni. Così come, una volta appurato che a scuola viene già somministrata una merenda, è opportuno rinunciare alla seconda, e in caso regalare al bambino il costo della merenda con la promessa che lo metta da parte, ogni giorno per arrivare a comprarsi un gioco bello, qualcosa che gli interessi e lo coinvolga. Il primo di questi comportamenti genitoriali, mira a considerare il cibo come qualcosa di consumato e goduto con cognizione di causa, e costruendo un uso individualizzato dell’oggetto. Mira a dire, quando mangi, mangia con la consapevolezza di una scelta di persona libera, non come risposta a un bisogno indifferenziato di intrattenimento e di anestesia. Attraverso quel sapere, e una riflessione sui propri gusti, passa la possibilità di un modo meno nevrotico e che neanche demonizzi il cibo e il piacere che può produrre, di mangiare. Infine, prepara anche il terreno a difendersi dall’offensiva di mercato del cibo spazzatura.

Il secondo comportamento aiuta ad evitare l’uso del cibo come sostanza psicotropa indifferenziata, che diventi nel tempo assimilabile alle droghe, portando il bambino a un disturbo alimentare. Fa spostare l’attenzione, fa capire che ci sono altre cose, non solo il cibo, come soluzione al bisogno. Ma ci possono essere altre cose, degli interessi, dei giochi, delle attività.

Tutto questo è molto difficile per diversi genitori perché a loro volta devono fronteggiare una domanda che viene dal contesto culturale (i bambini oggi sono SOMMERSI DI CIBO sono LEGITTIMATI A PRETENDERLO) e essendo figli e nipoti di una società che con la somministrazione ossessiva della frustrazione aveva provocato tanta infelicità e tanti errori, ora non sanno emotivamente vederne il buono, ne sono terrorizzati. Se il loro bambino piange per noia, piange per frustrazione, quel pianto risulta intollerabile e li fa sentire genitori non empatici. D’altra parte fanno anche pochi figli, li fanno tardi, e non hanno neanche quella grande legittimazione a un comportamento apparentemente deludente, che era fornita dalla famiglia numerosa e la scarsezza di tempo e di risorse. Ci si sente, in assenza di questo contrappeso egoisti, cattivi. Ma si deve tenere a mente che questo tipo di divieto, o di spostamento specie se portato avanti con fermezza e gentilezza – io trovo pertinente anche l’uso di un solidale umorismo – è un regalo che si fa alla prove, perché è il regalo di una sua maggiore libertà dal bisogno, non solo di cibo.

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Un pensiero su “Obesità come assenza di fantasia

  1. ….una specie di manifesto politico del presente, un manifesto politico in tempi di quasi totale assenza della politica.Quante possibilità di riflessione , osserazione propria in prima istanza e poi dell’altro e quanta condivisione di problematiche cosi stringenti come questi tempi bui di street food l’uomo della strada ha trovato anche il proprio cibo magnà male, scopà poco ,autonomia non se sa manco che sia, figuramese l’interdipendenza, soldi nisba e l’uomo campa . Malissimo.

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