C’è un bel racconto di Marguerite Duras, in Giornate intere tra gli alberi, in cui una ragazzina, alle soglie dell’adolescenza, passa i suoi momenti migliori ad andare al giardino zoologico, a guardare il pasto del boa. E’ un testo notevolmente vitalistico e potente, e contro ogni retorica, descrive l’emergere di un desiderio sessuale, ma anche, di un desiderio di forza, e di trasformazione, come di incorporazione – quel passaggio epocale della psicologia femminile quando diviene adulta per cui comincia ad accedere al desiderio, ma anche alla forza interna e al potere. Ben per questo, il serpente, che sia quello piumato di Lawrence, che sia l’oggetto simbolico di cui parla Jung per esempio in Simboli della trasformazione, è un immagine interna del femminile importante. I serpenti, che arrivano minacciosi, o che seducono acciambellati, o che cingono o che parlano, sono un’ immagine archetipica frequente nel mondo immaginario dei bambini e soprattutto delle bambine. Li sognano, oppure li trovano nei libri e perfino nei programmi televisivi a loro dedicati. Se per esempio nella versione originale de il Piccolo Principe il Serpente ha un ruolo ambivalente, nel cartone animato a lui ispirato diventa colui che minaccia la rosa – simbolo della femminilità nascente.
E’ un po’ di tempo che volevo scrivere un post sulle bambine, e su cosa è meglio perché crescano più forti e serene e ho pensato che poteva essere interessante cominciare dal loro incontro con il serpente. L’idea della donna che porta all’interno un’immagine fortemente maschile, mi rimanda a un modo molto junghiano di considerare la combinazione sesso genere: per cui il femminile ha degli aspetti interni che corrispondono al maschile, e il maschile viceversa. Ognuno dei due sessi porta addosso una coppia di opposti semanticamente legata alle due identità sessuali, in combinazioni che possono essere molto diverse da persona a persona, e nelle prospettive junghiane più evolute, senza che questo poi sia violentemente prescrittivo e universalizzante su come debba articolarsi questa combinazione. Qui parleremo della combinazione che è relativamente più diffusa, con il favore della nostra lettura culturale dei ruoli di genere. Il caso cioè di bambine che si comportano in modo femminile in una media osservanza dei codici culturali, e che a un certo punto fanno il loro incontro psichico con il maschile, con l’eros, con insomma il serpente. Bambine che hanno a disposizione una figura materna e una figura paterna, e che nella loro costruzione dell’identità passano per una certa serie di acquisizioni e identificazioni. Le bambine che nelle loro mille variazioni di gonne lilla e rosa, di bambole e mattoni, di trecce e smalti e parolacce, vediamo fuori dalle scuole materne ed elementari. Tutte queste bambine, sono nei paraggi dell’incontro con il serpente.
Facciamo un passo indietro.
Quando le bambine vengono al mondo, hanno un compito evolutivo molto complicato, almeno per come stanno le cose, allo stato attuale dell’arte. Nonostante alcuni equilibri si siano spostati, i loro primi anni di vita sono a contatto con la madre, che le allatta e le fa crescere. Sono nate dal corpo della madre, e con la loro madre condividono la possibilità di generare. Il loro primo oggetto d’amore è per loro qualcosa che per un certo verso ha dell’identico, un’identità di funzionamento e di funzione, ma che deve diventare diverso come marca identitaria, e cioè altro. La bambina che arriva al mondo dunque ha da una parte il prestigio di raccogliere l’eredità matrilineare – una questione per me culturalmente non abbastanza valorizzata fatto salvo il contributo del femminismo della differenza– dall’altra il compito complicato di rintracciare l’antitesi, e scoprire la differenza. Donde, un’adolescenza e un rapporto con la madre molto più complicato che per i suoi fratelli maschi, che nascono ontologicamente altri rispetto al loro primo oggetto d’amore, e che quindi per questo si disidentificheranno e ameranno la madre con maggiore fluidità.
Nel quadro analitico tradizionale, l’idea era che la bambina non riusciva mai a uscire del tutto dalla triade edipica, e rimaneva più a lungo invischiata nella sudditanza complicata verso la madre e nell’amore al padre. Questo, pensava la psicoanalisi dei primordi – per esempio nella lettura di Helene Deutsch, anche qualora parzialmente si fosse sposata e avesse avuto dei figli suoi. Oggettivamente, all’epoca la psicoanalisi aveva ragione, perché non essendoci mondo del lavoro, la giovane figlia era condannata a un eterno spazio intimo, e la sua prospettiva di evoluzione non andava oltre lo spazio intimo. Più tardi, psicoanaliste femministe molto acute, come Nancy Chodorow prima o Jessica Benjamin dopo, avrebbero insistito su come, le forme culturali del sistema sesso genere incidono sulle storie analitiche dei soggetti. E se il padre è quello che ha il compito analitico di spezzare la simbiosi con la madre, portando la prole con se fuori, si constatava come, il padre con le bambine lo facesse un po’ meno spesso.
Con il figlio maschio si va allo stadio. Ma con la femmina?
In assenza di un padre, o in deficit di occasioni dal mondo che portino fuori dalla relazione con la madre, che aprano un varco, la bambina è in tutto esposta sia alla qualità della sua relazione con il materno, sia alla difficoltà emotiva che implica la sua emancipazione in solitaria. Se ci sono poi delle sorelle, o dei fratelli, la lotta diventa fortissima, sia per la gara ad avere il cuore della madre, che la gara ad uscire dal cerchio con la madre.
A questo punto, certo molto semplificando – e tenendo per esempio da parte gli elementi della personalità di una bimba, il suo corredo genetico che ha un suo peso importante, e quelle dell’ambiente sociale in cui cresce altro peso importante – noi possiamo però individuare delle variabili ognuna delle quali agisce come una sorta di manopola sulle capacità adattive o sulle possibilità di sviluppare comportamenti nevrotici da quel momento in poi, e quindi possiamo dire anche, su come andrà l’incontro con il serpente, se diventerà amico o se sarà un incubo ricorrente, un’esperienza psichica indigesta, oppure – il caso che ha suggerito in fondo questo post, ci sarà con esso una identificazione eccessiva, uno strapotere del serpente. In altri termini: se si integrerà armonicamente il rapporto con la sessualità per un verso, ma anche allargando il cono di luce nella configurazione psichica, se potranno entrare con agio altre figure di animus, per cui la bambina saprà volere, desiderare, ambire, combattere per ciò che ama, fare progetti, diventare un’adulta completa. (Qui avvertiamo lo scarto tra le vecchie teorie analitiche, che sono a mio avviso sorpassate, e quelle che secondo me sono ancora efficaci ad aiutare le persone: per le vecchie teorie analitiche, per il freudismo della prima ora devo dire oramai praticato da pochi, il femminile ha il suo senso in una mancanza, che è il maschile a compenetrare e la maternità a riscattare. Le prospettive psicodinamiche successive, eludono questo rigido bipolarismo, e per esempio la prospettiva junghiana, immagina i soggetti come enti che devono maturare globalmente. Perciò il femminile che si mette in accordo con le proprie immagini maschili interne, è un femminile che cresce verso la generazione e la maternità, e simultaneamente deve svilupparsi nella direzione della trascendenza e della identità globale).
Le manopole che individuiamo sono allora: in primo luogo naturalmente, il rapporto con la madre. E quindi anche lo stato di salute emotivo della madre, e il suo come dire, stare comoda nella vita che si è scelta, nella successione di scelte che ha messo in atto, nell’ordine di valori che ha riconosciuto come suoi. La prima manopola per la bambina ne contiene in effetti molte altre, perché da una parte c’è il fatto di essere amata e riconosciuta come erede, in un modo che sia giusto per lei, dall’altra c’è il passaggio di un testimone che è molto importante. Tutto quello che riguarderà il sentirsi amate e scelte aiuterà la bambina ad essere generosa in maniera autentica con gli altri, e – se mettiamo in campo la teoria dell’attaccamento – una bambina che ha un attaccamento sicuro, che cioè è sicura dello sguardo verso di lei, e sa che non verrà mai meno, potrà avventurarsi lontano anche metaforicamente dalla madre, potrà esplorare, studiare, avere ambizioni, pensare a una carriera e certo cercare una nuova famiglia. Sarà anche più probabile che da adulta divenga a a sua volta madre capace di far sentire sicuri e autonomi i propri figli.
Se invece quella sicurezza verrà a mancare la bambina, potranno succedere molte cose. Per esempio, la bambina starà con lo sguardo fisso sul genitore che si teme costantemente di perdere. Introietterà questo assetto relazionale, e sarà lo schema in base a cui muoverà le sue strategie adattive e le sue scelte difensive nel rapporto con gli altri. Frequentemente, bambine bloccate nella loro emancipazione, rimarranno prossime alla coppia genitoriale in una maniera riottosa e litigiosa, con una specie di serie di falsi tentativi di allontanamento e di mezze misure di differenziazione, useranno l’aggressività per dimostrare una falsa autonomia. In questo senso, è molto importante il pacchetto di competenze relazionali che la madre possiede, e che sono anche il pacchetto che ha ottenuto con la relazione con i suoi genitori, e durante la sua infanzia. Madri che hanno avuto genitori piuttosto freddi, poco sintonizzati sull’infanzia, o anche madri che sono state sorelle maggiori di fratelli avvertiti come privilegiati o persino inaccessibili, o magari madri precocemente adultizzate, potranno fare fatica con le loro bambine, la bambina interna che sono state e che forse per mantenere la relazione e l’amore ha ingoiato molti rospi potrebbe far percepire la figlia come una rivale di cui essere invidiosa, e verso cui la severità o una certa ostilità possono diventare il mezzo di una rivalsa inconscia. Quando questo succede le figlie per un verso si sentiranno poco sicure, per un altro potrebbero con vare strategie cominciare a mettere in scena delle difese, e quando l’integrazione con le immagini del serpente saranno compiute, e arriverà l’adolescenza – quando cioè una bambina diventa una che fa le stesse cose della madre, insomma l’adolescenza potrebbe essere molto faticosa e il suo già consistente pacchetto di conflitti prendere forme ancora più accese.
La seconda manopola molto rilevante è il rapporto con il padre. Tanto più in famiglia, lo schema dei ruoli di genere è stato tradizionale, paradossalmente maggiore è la necessità che a un certo punto il padre intervenga, con la bimba come ha da fare con il figlio maschio, a riprendersi il suo posto accanto alla madre e a portare via i bambini e quindi le bambine dalla relazione con la madre, a diciamo rompere quello che gli analisti di vecchia scuola chiamavano “anello simbiotico”. Devono fare delle cose insieme, divertirsi insieme, giocare insieme, avere degli spazi ritualistici protetti. Il papà ha un ruolo delicatissimo e di questi tempi e nel nostro contesto culturale ancora più impervio e complicato, perché da una parte ha il vecchio ruolo di riconoscere la nascente sessualità della bambina, il suo potenziale seduttivo e di premiarlo il giusto – sei la principessa di papà, sei la più bella – dall’altra ha il dovere di farle sapere, diversamente da quanto accadeva a suo padre e suo nonno e al suo bisnonno (con una serie di ricadute sulle sue progenitrici di cui ancora non abbiamo contezza e non ci vogliamo occupare) che riconosce il suo animus, che può trovare nel serpente interno della sua bambina qualcuno a cui passare un testimone: per esempio del modo con cui pensare la politica, la morale, le cose, i rapporti di lavoro, l’essere razionale nel mondo, e il potere di appropriarsi delle cose come il boa del racconto di Duras. Questo doppio binario è un compito tremendamente complicato: perché i padri possono scivolare da una parte o dall’altra – la scivolata nella prima parte è nell’area dell’incestuale, per cui la figlietta che ha un rapporto molto erotizzato con il padre farà fatica ad avere una relazione futura e a non squalificare tutti i partner a venire, mentre la bambina che è solamente riconosciuta come identità razionale, trascendente, intellettuale, correrà rischi molto complicati nel suo rapporto con il corpo, con la madre, e potrebbe elaborare sintomatologie importanti (per fare un esempio: adolescenti con disturbi alimentari hanno spesso questo tipo di relazione con il padre).
La terza manopola del contesto familiare riguarda le complicatissime dinamiche della fratria, rispetto alla coppia genitoriale, e della coppia genitoriale nei confronti dei fratelli. Qui lo spettro delle possibilità è veramente molto variegato, e fare un discorso generale è particolarmente arduo. Una quota di competizione e di ostilità è qualcosa di fisiologico tra fratelli e sorelle, e quando non ve ne è mai segnale è più saggio ipotizzare una rimozione, o una compiacenza piuttosto che un reale e idilliaco accordo. Ma la naturalezza di una quota di competizione, probabilmente più accesa quando i figli sono solo due, e se sono di pari sesso, non deve far cadere nel tranello di prendere sottogamba dichiarazioni di odio esplicito, competizioni che fanno diventare livide di rabbia, perché quello per me è invece un allarme. Genitori percepiti come inaccessibili producono competizioni troppo efferate, ma le grandi gare tra sorelle sono anche esiti di triangolazioni segrete, mezzi di conflitti genitoriali, sintomi di un senso inadeguatezza che travalica e per cui si ritiene a ragione o a torto che la sorella, visto che qui parliamo di bambine raccolga un’eredità che la bambina gelosa non si sente in grado di incarnare.
Sullo sfondo, c’è il discorso degli ambienti culturali in cui le bambine vivono. Questa quarta manopola ha un grande potere, ma questo potere può essere enormememente depotenziato se non addirittura annullato dai codici familiari. Per questo io in generale sono sempre molto tiepida sulle questioni tipo la passione per il rosa, o i giochi come le bambole o la cucinina o cartoni animati molto connotati per genere. Mi pare che facciano da collante con i pari, e che specie se pensiamo all’età in cui entrano in scena, l’età di quando il serpente non ha ancora fatto la sua comparsa, rafforzino il nucleo identitario nascente. Ma il primo codice veramente importante del modello politico della bambina di viversi come femmina le verrà dalla famiglia, e se la famiglia è una famiglia dove vige un rapporto paritario, e magari una madre che lavora, la bambina potrà giocare co le bambole vestirsi di rosa e vedere le fate alla tv, niente di tutto questo scalfirà il potere di una madre che lavora e che glielo racconta. Tuttalpiù invece se l’organizzazione dei ruoli a casa è tradizionale la bambina la vedrà riconfermata nei prodotti per l’infanzia. Ma non è una cosa per me, psicologicamente allarmante.
Ora possiamo tornare dal Serpente.
Il Serpente più famoso di tutti i tempi è quello che a Eva propone il frutto della conoscenza. La narrazione biblica prima di tutte perciò mette insieme scoperta del sesso, del piacere, della mortalità, del pudore, del male ma anche de sapere. Il serpente veterotestamentario è la più grande metafora dell’adolescenza, della cacciata dall’eden infantile, della consapevolezza di se e di una forza che può essere maligna. Nel suo aspetto di animale antico, invertebrato, di comportamenti moderatamente riconoscibili, il serpente è anche un’immagine interiore origiaria, poco sviluppata, come dire: grezza. Le bambine crescendo, specie in salute, sogneranno il loro maschile interno in forme sempre più sfaccettate, articolate, individualizzate, meno monolitiche e tribali, ma molto più sofisticate. Tutte le dimensioni interne di cui il serpente è come dire prodromico prenderanno altre forme. A seconda della loro personalità. E certamente a seconda di come hanno girato le manopole relazionali di cui abbiamo parlato sopra.
C’è un caso specifico però di cui voglio parlare per concludere perché sono le bambine che hanno ispirato il desiderio di questo post, che poi invece è andato altrove. Un rapporto sano con il maschile interno che si presenta, nell’intreccio di sesso conoscenza e potere, vuol dire che questo insieme di fattori è una risorsa importante, dell’arsenale interno della ragazza che l’aiuterà in molti momenti importanti della vita. Per esempio riconoscere l’attrazione sessuale, desiderare conoscere un uomo, combattere per averlo, ma anche combattere perché un proprio potere sia affermato, una conoscenza e un’identità. Meno di quel che psicoanalisti vecchi e maschi credano – questo ha a che fare con il diventare madre. Perché il diventare madre non ha niente a che vedere con il fallo, se non in forma nevrotica e compensatoria, ma con una sana identificazione e una buona esperienza con il proprio materno e con il mondo del femminile e quello che di enorme sa fare. No un buon rapporto con il serpente, riguarda altro.
Ci sono bambine che ne sono molto spaventate, e hanno paura di venire in contatto con questa forza interna, e rimangono perciò trincerate anche oltre un tempo lecito in un infantilismo protratto, in una piccineria forzata, che in qualche caso tranquillizza ed è compiacente anche verso i genitori, che potrebbero essere non proprio contenti di vedere la loro figlia crescere, e cioè entrare nel regno della vita in cui ha potere, un potere analogo al loro. Ci sono invece bambine, che per diversi motivi, si identificano precocemente con il serpente nella sua forma più arcaica e indifferenziata e si comportano in un costante e sostanziale abuso di potere, che vizia le loro relazioni. Queste sono le bambine di cui capita di dire che sono cattive, o precocemente seduttive in modo da essere guardate con sospetto. Sono bambine per esempio molto carismatiche, ma che con le amiche possono avere un comportamento svalutante, o dominante, o sadico, ch e indugiano in provocazioni che possono essere fuori luogo, e che sostanzialmente come corda ricorrente manifestano un urgenza di potere. Non hanno amiche, hanno suddite, con gli adulti hanno spesso rapporti sfidanti e contrastati. Questo vuol dire che hanno motivo di svalutare anche se non consapevolmente altre loro risorse interne, ma anche che hanno dovuto elaborare precocemente un’urgenza di potere e anche che hanno un rapporto con il femminile interno, e con il materno tarato su una diffidenza, un bisogno di controllo, persino una revanche. Una zona irrisolta e complicata viene dominata con un controllo parossistico sull’altro, e un terrore delle proprie parti debili e fragili annichilito ed esorcizzato dal maltrattamento di altre persone. Il nascente contatto con il maschile – ancora grezzo indifferenziato poco individualizzato, diventa il braccio armato di una nevrosi tra le più sgradevoli, che poi porterà a quello che nel lessico analitico della prima ora era comunemente considerata la donna fallica. Alla fine, non quella che lavora, ha successo e sta anche femminilmente contenta nella sua vita con le sue forme di giusto potere, ma quella che è solo potere, un esclusivo potere sessuale e relazionale, che in certe forme più gravi ed estreme, si porta molto lontano dalla creatività capace di fare mondi, ma si ritaglia un posticino in una coquotterie osssessiva, in una seduzione sempre pronta a dominare, ma mai adatta a fare spazio alla relazione e alla maternità. Ma siccome tipico del potere è mostrarsi soddisfatto di se stesso, questo tipo di bambine prima e di donne dopo, farà molta fatica a sentirsi in difficoltà a capire il proprio disagio.