Recentemente c’è stato un intervento accorato del ministro delle politiche del Sud, da cui è scaturita una piccola polemica, anche se poi Provenzano sembrerebbe aver ritrattato. Il ministro aveva infatti espresso alcuni giudizi aspri su Milano, che per un verso sembra davvero un nuovo modello economico che gira e che fa funzionare le cose, ma lamentando il forte contrasto con il paese, e quasi facendo tralucere dalle parole quella aspettativa meridionalista che mette a disagio. Milano prende e non da! Il che fa pensare che Milano sia in obbligo di dare qualcosa oltre quello che normalmente deriva dalle sue attività. Provenzano comunque è poi intervenuto, ragionando sui toni, nessuna polemica con il sindaco Sala. Ha detto. E la cosa dovrebbe finire qui.
C’è stato poi un articolo sul Foglio, di Michele Masneri, che è girato moltissimo nella mia bolla, e che ha agitato il coltello nella piaga fornendo grande sostegno a Provenzano. L’articolo ha il pregio di essere scritto molto bene, e questo ha contribuito a innescare sui social la reazione di molti, romani che facevano le fusa soddisfatti, romani che invece si vantavano di mantenere una certa distanza da quelli che facevano le fusa, milanesi che ridevano, moltissimi milanesi che invece reagivano risentiti. L’articolo comunque, non nasceva dal nulla, ed è un po’ che almeno dalle mie parti social, le punzecchiature sulle rivalità tra le due città sono tornate in auge. E’ una faccenda che ammetto, mi diverte molto – un divertimento malinconico, e ho deciso di scrivere della cosa, in teoria come parte terza, ma in pratica come soggetto partecipante. Sono romana, ho scritto in passato diverse cose che riflettevano sull’essenza del carattere romano, e trovo nel partito dei romani che si divertono a partecipare al duello, con un misto di intelligenza e calembour, una riedizione di quel carattere che mi piace.
D’altra parte – poco altro ci rimane.
Partiamo da una prima considerazione realistica. Il campanilismo in Italia ha una ragione storica, che affonda nella tardiva formazione dell’unità d’Italia, e nella frastagliata convivenza di domini che ha connotato la sua storia. E’ un paese bello il nostro, ma è formato da molti luoghi diversi, con storie loro, lingue loro, culture proprie, rivalità cittadine inestinguibili. Nel florilegio di queste diverse istanze culturali, è fiorita questa decennale polarità tra capitale politica e capitale economica, tra capitale di uno stare al mondo e capitale di un altro, ma che ora sta assumendo una dimensione complicata. Milano era da bere gli anni successivi agli eroici furori di Via Veneto, e c’è stato un lungo periodo in cui a fronteggiarsi erano due modi di fare i soldi, due modi di far girare il potere, due modi di godersi la vita, e due modi di concepire il classismo – marginalizzare la povertà e capitalizzare la corruzione. Lavorare lavoravano tutti, ma quelli erano efficienti e questi erano scaltri, quelli ambiziosi e questi smargiassi, ladri per ogni dove ma con stili diversi.
A puttane e aperitivi, fino ai tempi di tangentopoli non si è risparmiato nessuno.
Negli ultimi quindici anni, Milano ha inanellato una serie di amministrazioni fortunate, che hanno mantenuto il capitale della città e che anzi, l’hanno molto migliorata, ricordo l’emozione dei miei amici milanesi, con la riqualificazione della Darsena. E la mia di emozione, a vedere piazza Gae Aulenti – ossia guardare con i miei occhi la capacità di una città di inventarsi uno spazio nuovo, una ideologia, una possibilità esistenziale ora. Invece Roma è andata incontro a una sequela di amministrazioni imbarazzanti, durante le quali non sono mancati gravi scandali, fino all’attuale situazione dell’amministrazione Raggi, nella quale la città appare completamente squadernata, rovinata, indifendibile. I due fuochi dell’ellisse ora, sembrano collocarsi agli antipodi del bene e del male. Da una parte c’è Milano che non solo è ricca, ma in quanto ricca è anche civile, in quanto civile è anche buona: a Milano si vendono più libri che nel resto del paese, Milano è gay friendly, Milano è attenta agli immigrati. Ma Milano fa anche belle cose, Milano fa la moda, fa il salone del mobile, fa il design. E ha un sindaco che fa una comunicazione supercool tramite i social, coi calzini arcobaleno, e abbraccicato alla moglie la mattina. Soldi, bei vestiti, belle cose, amministrazione che funziona, e l’orizzonte politico che molti di noi vorremmo. A Roma invece, l’ideologia cinque stelle, con la notoria competenza dei suoi vertici si innesta su una città già alla deriva, per cui non solo non vi è ombra di bei vestiti e belle cose che girano, ma lo straordinario potenziale creativo della città è angariato dal pedante legalitarismo dell’amministrazione che chiude per ripristinare senza però avere i soldi per ripristinare, per cui: chiudono spazi creativi dai centri sociali ai negozi di artigianato, dalle case famiglia ai centri antiviolenza, non si vedono risorse per nuove possibilità cittadine, la città soffre economicamente, aumenta la criminalità, la disfunzione amministrativa è plateale. Alle famiglie romane con figli di meno di sei anni, l’anno scorso è arrivata una lettera per cui non si garantiva il funzionamento delle scuole materne, perché la sindaca non s’era messa d’accordo con il personale scolastico – angariato da contratti iniqui.
E su tutto questo, sugli autobus che non passano, la scuola che non si sa se apre, la carta di identità che fa solo se hai un santo in paradiso, i negozi sfitti nelle strade, e i centri sociali chiusi, oceani, oceani, oceani, di spazzatura, strade sporche, puzza, cittadini tristi. E per quanto riguarda la campagna della nostra sindaca, ora ci sono dei brillanti fumetti dove dice ai bimbi di non imbrattare i muri e non rovistare nei cassonetti, qualora a casa non ci fosse da mangiare.
Come a dire che la nuova rifulgente ambizione della capitale d’Italia è il decoro piccoloborghese e la sua ideologia di riferimento.
Non abbiamo soldi noi romani per avere una morale, capite. Questo dice la nuova amministrazione. Noi a stento dobbiamo vestirci ammodino, e non far vedere che i poveri aumentano. Il talento di questa città, il suo immenso talento estetico, non può essere valorizzato, costa troppo e forse odora troppo per la contraddittoria compagine grillina di quel potere che volevano abbattere. Dovete romani, sembrano dirci, rosicare, essere tristi, essere polverosi. Raffaele Aberto Ventura dice ne’ La guerra di tutti (Minimum Fax 2019) che in fondo i cinque stelle nella loro zelante vulnerabilità ad accattarsi qualsiasi proposta ideologica assomigliano alla vecchia D.C. io vedendo la mia città, trovo nella frustrazione di qualsiasi entusiasmo creativo, ulteriori prove di un moralismo veterocattolico. Statevene a casa con le vostre famiglie.
Ho chiesto nella mia bolla cosa associano a Milano e a Roma i miei contatti. Mi hanno risposto in 200 e più. Fornendomi un interessante ritratto, nel complesso affettuoso verso entrambe le città, ma che mantiene uno stilema di fondo e anzi lo allarga, lo inasprisce. Milano ha il tram, è produttiva, è frenetica, pensa ai soldi, e a un certo divertimento spesso percepito come prestazionale, è ordinata. Roma è bella da morire, è la capitale del passato, ha qualcosa di aereo (un numero esorbitante di persone simboleggia Roma con i pini marittimi) ma è caotica e puzzolente, e ha i san pietrini altro topos sulla romanitas che combacia col tram milanese. I san pietrini belli, che fanno molta atmosfera, che restituiscono un che di pittoresco, ma che sono assolutamente illogici. Ci cammini male, e ci guidi peggio. I miei contatti, gente in genere affettuosa, premia una città per l’efficienza e l’altra per il pittoresco, una per l’ambizione e l’altra per la sua confortevole caricatura. La movida! Dice qualcuno di Milano. Le tovagliette a quadrucci bianche e rosse, dice qualcun altro di Roma.
Una contatta, particolarmente lucida,Elena Sarati, non a caso antropologa, dice a dispetto dell’ineffabile sindaca: Roma potere maschile.
La forbice quindi sta tra passione per il futuro e passato che non passa, borghesia rampante che cerca di inglobare più iscritti possibili, riducendo al minimo l’eventuale e disturbante accezione di proletariato, mondo operaio, disoccupazione, per inglobarli tutti in un visionario essere milanese di grandi saloni del mobile. Da quest’altra parte invece alla vocazione autenticamente egualitaria che ha attraversato una parte della genesi cinque stelle, non è corrisposto eguale talento, carisma pensiero, e l’antica cinica papalina, profonda identità gerarchica della Capitale ritorna. Nella grande recessione economica, la povertà salta all’occhio, è ostentata, visibile dominata, il gap tra centro e periferie si allarga, le signore si attaccano al loro essere signore, dal momento che rimane poco altro. A Roma non ci si vergogna di essere cattivi. E siccome non si vive per estremi, succede che i poveri a Milano continuino a esistere così come Roma continui a lavorare a produrre e a fare moltissime belle cose – ammetto di trovarci un talento estetico underground superiore a Milano, ma sarà un limite mio – ma a Milano sono contenti, a Roma quando ci lavori ti viene voglia di zoloft. Votare senza farmaci è impossibile. A Roma essere onesti è tossico.
Si viene allora alla fine, agli stati emotivi interessanti che connotano il dibattito in rete e le nuove sfumature della concorrenza tra le due città. Milano è giustamente felice e orgogliosa, ma sente anche di essere specie per la sinistra un nuovo faro economico ed emotivo che mette i suoi cittadini in una nuova complicata cornice sentimentale, sono invidiati trionfano del successo apollineo dei giusti, e un po’ se lo godono, un po’ si agitano. L’essere giustissimo non è mai stato molto cool, e tutta questa luce adamantina a volte mette in difficoltà. Anche il nuovo mitologema della cattivelleria milanese, la fantastica Miss Keta fa zozzerie solo in biancheria di Frette. Non si è mai contenti e a Roma si invidia quel che di tragico che è scomodo eh, ma fa tanto glam. I vicoli, la zozzeria, la carne.
A noantri romani, specie noantri che un sindaco Sala, che tutto quell’apollineo lo vorremmo per noi, noantri che lavoriamo ma ci chiudono il lavoro, che facciamo le file ma tre volte gli altri, che non sappiamo dove sbattere la testa, cosa ci rimane? Si lavora, sodo, si fatica, si fanno cose – si tengono a galla le vite private, si fa rete con gli amici, ci si consola con l’umorismo amaro di chi combatte una battaglia, che non si sa da dove cominciare non dico per vincere, ma almeno per pareggiare.