Scuola forse caso mai

 

Premessa.

Il presidente del consiglio Conte, ha già fatto sapere che le scuole riapriranno a settembre, mentre da parte sua la ministra Azzolina ha fatto sapere che non prevede turnazioni tra gli studenti, e non sembra escludere un possibile rientro nuovamente affidato all’apprendimento a distanza – poi pare abbia nominato una commissione di persone competenti che decida come fare le cose al meglio – il che bisogna dire ci getta di già nello sconforto dal momento che – ingenuamente – credevamo che nei ministeri ci lavorassero le persone competenti. Invece si vede di no.
Comunque il problema è come sappiamo, che le scuole sono state chiuse i primi di marzo a causa dell’epidemia da corona virus, come misura precauzionale per evitare un dilagare dell’epidemia. I più piccoli infatti sono quelli che presentano più frequentemente sintomatologie lievi o del tutto assenti, ma ciò non toglie che siano tra i soggetti più capaci di distribuire il contagio. I più piccoli sono inoltre portati ad aggregarsi, a stare insieme e anche a fare resistenza per le più svariate ragioni, alla imposizione di regole, per cui la decisione, almeno a me, è parsa sostanzialmente sensata. Si contavano moltissimi morti al giorno – soprattutto in certe regioni, ma bisognava anche proteggere le regioni con pochi contagi. I molti morti al giorno sono stati infatti – e sono purtroppo a tutt’oggi, concentrati nelle zone dove il sistema sanitario è più funzionante e con un maggior numero di presidi. Cosa sarebbe successo se avessimo avuto i numeri della Lombardia in Campania o in Puglia? Il lockdown scuole incluse ha avuto una profonda ragion d’essere epidemiologica e credo che abbia funzionato persino in regioni dove la situazione sembra ancora fuori controllo.

Ora comunque ci si trova a dibattere sull’apertura della scuola – alcuni paesi non hanno mai chiuso le scuole – come Svezia Germania e Olanda, altri hanno già aperto come la Danimarca-, altri apriranno a breve come l’11 maggio la Francia. Noi apriremo forse a settembre, ma quel che appare inquietante è un certo aroma probabilistico sull’argomento, una progettualità nebulosa e un dibattito pubblico sconfortante quanto la commissione ministeriale che nomina una commissione ministeriale che forse magari chi lo vieta, nomina un’altra commissione ministeriale.

Il fatto è che la pandemia e la scuola sono, due grandi pettini su cui si inceppano una serie di nodi politici e sociali del paese, talmente tanti, che ci sentiamo disorientati e temiamo, con sbigottimento che in questo groviglio di questioni pregresse irrisolte e arretrate, non ne caveremo le gambe. Siamo infatti nella curiosa situazione di avere un’epidemia a due velocità diverse, dove le regioni più in difficoltà sono quelle più produttive – con maggior ascendente politico sul governo, e che forniscono carburante ricattatorio a confindustria. Regioni in cui i vertici politici per questa vocazione produttiva insistono a volere fare esattamente quello che non dovrebbero cioè riaprire tutto subito, mettendo in pericolo la cittadinanza (il che spiega molte cose, qualora ce ne fosse bisogno) esse mal tollerano l’idea che il governo stabilisca riaperture diverse a seconda della quantità di contagi e di decessi. Dunque queste regioni impongono a tutti una riapertura delle zone produttive, e quindi per controbilanciare il rientro, si posticipa quello delle scuole. Quello che io sospetto è cioè che se non ci fosse il disastro della Lombardia, forse anche l’Italia arriverebbe a pensare di far tornare i bambini a scuola a metà maggio. Per i numeri di regioni come il Lazio, o la Sicilia, forse si potrebbe pensare a qualcosa di diverso, mentre far tornare ai banchi di scuola i bambini di Bergamo o Brescia in questo momento potrebbe essere davvero ancora pericoloso per la comunità. Ma non si fa, perché il governo non ha una linea progettuale forte, non l’aveva prima della pandemia non ce l’ha adesso, naviga a vista, nomina commissioni in mancanza di meglio, abdica completamente cioè a tutto ciò che c’è di inevitabilmente politico in ogni processo decisionale. Spera cioè di cavarsela colla techne. Ma non sente dentro di se un’idea di giusto di importante per la collettività abbastanza forte da poter fare la voce grossa con i ras delle amministrazioni regionali.

D’altra parte la scuola è quel comparto che in Italia, governi di ogni colore e caratura hanno simultaneamente usato come specchietto per le allodole di presunte vocazioni identitarie e come landa di saccheggio per un deficit irrecuperabile, per cui ad ogni governo c’è stata una riforma più di facciata che di sostanza, nella più totale ipocrisia perché nessuna di queste riforme ha riservato alla scuola centralità prestigio, e investimento pubblico. Gli insegnanti scarseggiano, sono mal pagati, si arriva a situazioni con famiglie che devono provvedere alla carta igenica o ai gessi per la lavagna, figuriamoci il materiale didattico, ma che ridere l’informatizzazione,e quindi l pandemia arriva in una situazione emergenziale, di edifici spesso fatiscenti, di personale scarso, figuriamoci se ci sono le risorse per fare per esempio degli ingressi alternati, delle classi dimezzate e moltiplicate. Andrebbe proposto un investimento adesso – sarebbe intelligente, ma ci vorrebbe – di nuovo – quel muscolo politico e diciamo la parola sacrilega – ideologico, che manca completamente.

E d’altra parte ancora manca la volontà perché sulla funzione della scuola, va detto non solo nella leadership politica ma anche tra i cittadini, gira molta ipocrisia e molta confusione e molta retorica. Ci si concentra astrattamente sui diritti dei minori, ma si elude completamente il ruolo che la scuola materialmente svolge nel contesto economico e sociale in cui siamo calati. L’elusione di questo tema, passa da una implicita retorica maschilista con tutta una serie di interessanti cascami nel discorso pubblico, come per esempio la formula punitiva della scuola come parcheggio per i figli – ne abbiamo già avuto esperienza tutte le volte che si è affrontato il dibattito sulle vacanze estive che in Italia durano di più che nel resto del mondo, che magari ha un calendario scolastico inframezzato da più brevi vacanze durante l’anno, ma le famiglie non si ritrovano con i figli sul groppone per tre mesi di fila. In quelle circostanze, quando un disgraziata commessa con marito operaio dice, io dove metto i figli – ma anche una disgraziata lbera professionista con marito dirigente dice dove metto i figli, perché la materna arriva al 30 giugno e le elementari al 5 scatta sempre la risposta che la scuola non è un parcheggio. Si annulla da tempo cioè invece l’evidente questione per cui in una organizzazione civile dove i genitori lavorano entrambi la scuola è quell’ente che tiene i figli facendo la formazione mentre i genitori vanno a lavorare. Senza questo ente, per una coppia pagare da mangiare e pagare un affitto potrebbe essere insostenibile.

La questione ha molto a che fare con il sessismo del paese, un’idea confusa del lavoro delle donne, che spesso è ineludibile per questioni economiche inderogabili, ma che altrettanto spesso non è riconosciuto. Come se non esistesse, come se non ci fosse una necessità. Se ora c’è la pandemia, si dice con disinvoltura i figli stanno a casa, perché ci penseranno le madri. In verità le madri non sanno che fare, perché diversamente dal solito mentre lavorano non possono chiamare le nonne che si mettono in un grave pericolo da coronavirus, ma manco le colf – ad averci i soldi – perché quelle essendo madri anche loro non possono andare a lavorare.

Ma la questione del sessismo – che non ho mai visto tornare trionfante come in quest’anno dove dalle conferenze stampa di Borrelli agli amati fratelli di propaganda live le uniche signore sono delle poverette che fanno dei segni ogni tanto – riguarda la scuola anche da un altro punto di vista. Perché in fondo, giacché questo è un paese approdato al capitalismo avanzato più in fretta di quanto la sua cultura rurale e retriva potesse permettersi, l’educazione dei figli, la psicologia dei ragazzi, i bisogni dei minori, sono cose de femmine, cosette di poca importanza, salvo pochi elementi – riconosco questo merito a Galli della Loggia, con cui non sono d’accordo quasi mai – il tema dell’educazione è molto raramente avvertito come tema collettivo, anche virile, della costruzione di una cittadinanza, della costruzione di uno strumentazione di bordo per edificare gli elettori di domani, i lavoratori del futuro. E solo ora molti giornalisti e commentatori si svegliano e gridano all’allarme. Perché la pandemia ha messo l’indice sulle nostre contraddizioni già in merito al sistema sanitario, ora lo mette sul sistema dell’istruzione. Entrambi settori di cura, entrambi voci importanti del welfare, entrambi elementi dirimenti della funzione pubblica, eppure maltrattati rispetto all’idea antiquata e superata di una società maschile che si deve occupare esclusivamente di quattrini e potere.

Sleep Safe and Warm

Buona notte all’uomo che non dorme con la testa sul palmo della mano, gli occhi aperti sui sogni che non si fanno sognare, i figli che ancora non ha ed è arrivato il tempo di avere. La compagna gli sfiora la curva della fronte e del naso, lui le sorride ma lei non può vederlo, la giornata è stata piena di inedia, di pareti, di divani troppo caldi. Forse domani farà in tempo.

Buona notte agli sposi persi nell’afrore di una lite, buona notte alle luci ancora accese che ne riorganizzano l’uggia sui volti, alle loro mani che mettono in ordine le cose in ordine. Buona notte alla voce dei due che per prima si infilerà nella riga gialla vicino allo stipite, alle serrande che verranno abbassate, alle pile di bollette di nuovo ordinate. (Buona notte ai loro bambini, che giacciono con le braccia spalancate e la bocca aperta. Buona notte anche agli orsi rovinati caduti ai piedi del letto, alle bambole senza una gamba).

Buona notte all’amante che non ci siamo potuti permettere, che splendente si guarda nello specchio della sera, un po’ rimirandosi un po’ prendendosi in giro. Buona notte alle mani che se ne allisciano il mento, a dire il vero rovinate dal fumo, buona notte ai suoi capelli lisci e spessi, agli occhiali lasciati sulla lavatrice accanto al lavandino .
(Buona notte all’umile onta che ebbe il suo senso estetico, quando arrivò questa lavatrice, e non ci fu altro posto che vicino al lavandino, a incrinare il suo fascino, con quell’aspetto materiale inderogabile e modesto.)
Buona notte al senso dell’umorismo che sempre deve avere un amore proibito

Buona notte infine, ai gatti e ai cani e bisognerà citare anche certi conigli nani, che fanno da guardiani alle passioni di questi vecchi, che leggono nel pensiero alle signore quando scrivono colla mente – falsi ragionamenti sul pudore. Buona notte alle code nervose che sbattono sulla credenza, ai baffi che si cambiano colla bella stagione. Buona notte alle ciotole nell’angolo della cucina, alle poltrone rovinate e perdonate. Buona notte alle bestie che ci proteggono e ci somigliano.

(qui)

Caro Luigi -un anello

 

 

 

Caro Luigi, non lo so cosa vedi dal cielo.
Forse che mi sono dimenticata di sentire la tua mancanza, e mi sono lasciata invischiare in un inverno privato e minimale, a cercare di risolvere questioni vecchie – vecchie il tempo che ci siamo conosciuti, e ho dovuto dirmi, in questo inverno di conteggi, che non c’eri, perché non t’avrei potuto telefonare, non m’avresti risposto. Ora che mi sono rassegnata a sopportare errori che mi rimangono aperti, e che comunque mi sono stati vitali e necessari, che me li tengo dentro così, e pazienza, ora che sto a casa con le cose che ho azzeccato, le strade giuste, sono fortunata, mi manchi il doppio.
(Ho fatto molti sogni questo inverno. Dicono di non buttare via tutto.)

Ero in uno spicchio di sole che entrava dal vetro per esempio, stavo come la tua gatta nera sul tavolo di legno, sai quando si radunava dentro se stessa, per non avere neanche un pezzo di coda che cada nell’ombra, in una lotta cinica ed estrema per il bicchiere mezzo pieno, mentre fuori infuria una primavera che nessuno si può godere. Nessun gatto Luigi a salire sugli alberi, nessun bacio fuori programma in angoli clandestini.
Comunque – ecco me ne stavo così e pensavo a quando sono corsa al tuo funerale e al pomeriggio che seguì. (Cioè il fatto è, che mi manchi in questi giorni in cui, noi si lavora molto, il cuore si deve allargare per forza, le case piccole dei nostri pazienti si riempiono dei loro dolori – anche loro hanno i loro errori di cui devono imparare a non pentirsi- che poi, cosa mai avremo da insegnare noi su questo tema.
Non ti ho mai sognato, me ne dispiace).

In quel pomeriggio stetti insieme ad altre donne, tue nipoti. Ero l’unica non nipote.   Eravamo quattro mi pare. Furono gentili e affettuose, e parlarono di te. Vidi il tuo modo di voler bene sulle loro vite, non esattamente il tuo modo di volerne a me, piuttosto il tuo modo di teorizzarne con me. Io ero un corpo estraneo, e parzialmente frainteso – in rappresentanza si disse, della mia famiglia. Non sentivo molto invece questa cosa della famiglia, ammetto. Tu e mia madre, non vi siete mai capiti neanche blandamente, tu e mio padre manco ci provavate. Siete stati a volte nelle stesse stanze, uniti dall’unico meraviglioso domatore di leoni, che era tua moglie.

Comunque dicevo fu un pomeriggio dolce, ognuna di queste tue nipoti si teneva stretto un filo e ne faceva un’atmosfera. Erano sicure del tuo sguardo, erano al caldo di qualcosa che è anteriore alle cose che si fanno, erano al caldo di un attributo dell’anima ecco, e e mi è venuto da pensare, questo calore devono aver sentito le donne che hai amato, i pazienti che hai avuto. E forse anche gli errori che hai fatto. Quell’attributo dell’anima è un’energia costosa per noi.
(Ecco dicevo, di cosa avrei voluto parlarti in questi lunghi pomeriggi . Stai bene e guardaci tutti .)

 

(qui)