La donna è una di quelle con una loro disordinata piacevolezza, per quanto sovrappeso, per quanto anche troppo pigra per il caparbio rosario della giovinezza perduta – un’avemaria per la cellulite, un padre nostro per la cicatrice sul ventre, tre ancora per i colpi di sole dal parrucchiere. Non abbonda di amanti sta a dire, ma drena ancora qualche maschio di ordinanza, quando in ufficio ride – ha una risata forte che sa di levità e disincanto – e muove le mani in un certo modo, oppure incrocia le gambe nella gonna che le colleghe – donne – giudicano inopinatamente stretta (i colleghi no – sia messo agli atti, dice la donna sorniona, pensando al metro della sarta).
Il fatto, pensa la donna a proposito della (sua) carne, nei confronti della quale è clemente fin troppo, per narcisismo mal curato – secondo il suo medico di base che a ritmo regolare le minaccia mali irreversibili – il fatto è ecco, si diceva, è che mentre la fuori imperversa il canone di un eterna sottrazione della materia, l’estetica di un’eterna promessa, la perversione di qualcosa che potrebbe avvenire, il godimento come anticipazione del reale, bambine che sui giornali socchiudono gli occhi, ventri piatti e seni inesistenti che erotizzano evocando quelli che non esistono, la donna perdona se stessa, le sue analisi del sangue, il volto tondo di luna, per il fatto di sapere di immanenza, di qui ed ora, di carne fatta e finita, cucinata, commestibile.
Ama perciò le giacche di colori sgargianti strizzate sul ventre, i tacchi spilluti su cui si issa piena di erotica baldanza, le borse piccole con la catenella, che la fanno brillare di buon umore.
(Dentro ci mette la barretta pesoforma, a testimonianza di buona volontà, ascesi, e a riprova di alcuna corresponsabilità nell’ aperitivo che ha in preventivo per la serata).
Indubbiamente la donna sbaglia, e le amiche a sera, glielo diranno, le sue amiche papere e oche e vestali cocciute della ragazza che è stata, drizzeranno le code bianche e le somministreranno succo di pomodoro, sbatteranno le ali ridendo, si diverte sempre con le amiche, e piene di spumose volgarità sui letti che cigolano e sulle ambizioni della donna nel suo passato prossimo venturo, a tutela insomma del suo curriculum erotico, le prescriveranno una carriera di sedani carote, centrifughe e altre postmoderne, rarefatte diavolerie.
Il prezzo da pagare per cinque minuti in più di futuro alle spalle.
La donna le lascerà fare, materna con la loro maternità. Annuirà con serietà persino quando quelle le diranno che deve andare in palestra, con loro certamente, pazze pensa in cuor suo ma non dice, in palestra le sue amiche atletiche che immagina volteggiare tra le spalliere e le sbarre e i tappetini dicendo sconcezze.
Ma il fatto è che è felice, e per quanto felice di una cosa piccina – con perizia la racconterà, perché alla donna è successo qualcosa, qualcosa di modesto, rarefatto ma gentile, eppure dentro di lei portentosamente efficace. La donna dirà che ha trovato qualcosa. Che anzi, ha ritrovato -bisognerebbe dire con precisione. Le sue amiche papere si avvicineranno colle seggiole al tavolo per sentirla meglio, accenderanno le sigarette, verseranno sul tavolo le noccioline per concitazione – e di poi tuberanno come colombe – un po’ per darle soddisfazione, un po’ per celare il fatto che nell’intimo si stanno dicendo – ma non dovevamo parlare di carne e di letti? Non s’era deciso così?
Tuttavia una di loro, la più silenziosa e che meglio la conosce – le sorride.
Bene, le dice allora, allisciandosi le piume scure delle ali, aggiustandosi quasi gli occhiali che non ha ma è come se avesse- conosco la luce di quel talismano tutto sommato innocente (anche se – noi sappiamo).
State zitte papere sciocche, tu però da domani mettiti a dieta.
(qui)