Film d’autore

(E’ un pensiero contromano, selvatico e offensivo e me ne dolgo, ma come sarebbero stati i nostri vent’anni se avessero regalato a noi quest’ apocalisse  – la pelle liscia come uno scudo di bronzo, i tatuaggi come plagi di lotte altrui, vittime della vecchiaia degli altri. Non avremmo avuto paura per i nostri vecchi ancora giovani, men che mai per le nostre gole e il nostro ventre.  
Ci pensi? Ci saremmo telefonati con foga, ci saremmo arrampicati sull’emergenza come la grande montagna della vita degli altri.

Hai sentito? Ci saremmo detti, tralasciando la voglia di fare l’amore.

Tralasciando poi, chi lo sa. Se ci avessero chiuso le case oltre una certa ora, ci saremmo con dedizione ammucchiati il tempo prima, se gli alcolici fossero stati proibiti dalle quattro, noi avremmo scassinato il supermercato alle tre, ligi alla legge e previdenti, per delle scorribande istituzionalizzate.  Ci saremmo poi buttati per terra davanti a film molto noiosi, film importanti per la nostra reputazione io penso più che altro, forse avremmo sguinzagliato le mani – che il cinema in quegli anni feroci, è più che altro un invito del buio.

Avremmo poi certo discusso, in verità non so come, forse in certi comitati direttivi che avevamo promulgato- certi concistori sulle vite nostre e altrui, probabilmente sarebbero sopravvissuti. Allora ci sedevamo saputi e disincantati – fuori eh, dentro imperversava l’angoscia – intorno a tavoli tondi, fumanti tazze di caffè, libri certo molti libri –e  dicevo, avremmo certo cercato di portare avanti, quella democratica dittatura della vita privata, avremmo parlato di coloro che si baciano scelleratamente nella pandemia,  di mascherine da strappare con foga, chi sa mi chiedo, cosa avremmo detto. Certo avremmo riso, perché sapevamo ridere del potere del corpo.

Noi ci saremmo voluti bene ugualmente. Non credo saremmo rimasti feriti)

(qui)

Psichiatria e letteratura. Sul come

L’altro giorno una discussione su facebook mi aiutava a mettere a fuoco alcune cose per me interessanti. 
La discussione verteva sull’autobiografia e la persona con cui discutevo cortocircuitava l’eventuale narcisismo degli autori con la bassa qualità di quello che scrivono. 
Questa operazione – usare una diagnosi al posto di un’altra per squalificare le azioni altrui, o per sustanziare l’opinione negativa che abbiamo di quegli oggetti o di quei prodotti, è molto frequente. Naturalmente non c’è psichiatra e psicologo con una forte deontologia che la possa appoggiare, perché usare le diagnosi a scopo di giudizio, di un atto estetico o di facciamo conto una scelta o un comportamento politico è un atto che viola l’etica su due binari, il primo è il rispetto per la sofferenza e la patologia, il secondo è il rispetto per la libertà creativa e di parola. Le diagnosi hanno un enorme potere politico, sono stimmate che si incidono sul corpo, bisogna usarle con parsimonia. 
Tuttavia, capisco anche che l’operazione viene fatta da molti in buona fede, perché mettono insieme due cose che vedono: un cattivo prodotto, secondo il loro giudizio, e un’organizzazione psicologica, e magari capita persino che abbiano ragione su entrambe le questioni: quel certo libro è brutto, e quella certa persona è molto narcisista. Il problema, è nell’istituire una relazione causale: si può dire che c’è una relazione causale tra diagnosi e qualità dei prodotti estetici?

Di solito questa relazione presso molti intellettuali, è stabilita all’inverso con una serie di clichet che allo psichiatra e allo psicologo fanno ugualmente mettere mano alla pistola. L’infelicità fa bene all’arte, la relazione fra follia e creatività etc. sono tutte consolazioni che piacciono moltissimo a nevrotici di vario ordine e grado, che in parte si consolano pensando che stanno di merda ma almeno fanno grandi cose, in parte proiettano su persone che stanno malissimo, malesseri propri e missioni proprie. Anche loro comunque potrebbero avere ragione nello stabilire per esempio una schizofrenia e nella stessa persona un notevole talento pittorico – il problema serio è stabilire una relazione tra buona arte e diagnosi.

Possiamo, pensavo al di la dell’etica, sostenere che c’è una relazione di causa, tra la diagnosi e la produzione di una scrittura bella, emozionante?  
La diagnosi psichiatrica è qualcosa che indica una serie di funzionamenti della personalità e del pensare. Investe molto il tono dell’umore e una serie di funzionamenti delle persone con altre persone o con oggetti. La diagnosi psichiatrica somiglia a quei disegni di motori o di orologi che si facevano nei primi del novecento, quando con le illustrazioni si spiegavano le regole della meccanica. In certi casi spiega come alcuni movimenti meccanici siano completamente impediti, le grandi schizofrenie, ma di norma spiega i diversi funzionamenti. La diangosi psichiatrica è qualcosa cioè che riguarda moltissimo il cosa e il quanto, molto molto meno il come. Questo cosa e questo quanto incidono moltissimo sul modo di stare in relazione. Io stessa quando vedo un paziente le prime volte, mi metto ad auscultare come funziona la persona che ho davanti sul piano delle relazioni – ha amici da tanto tempo? Ha relazioni? Si? No? Di che durata?

Nella fisica meccanica della psiche allora possiamo pure stabilire la produzione estetica correlata alla diagnosi in termini di motivazione: moltissime organizzazioni di personalità possono trovare nello scrivere libri per esempio, una buona soddisfazione di propri equilibri interni.  Scrivere è per esempio una buona forma di sublimazione, di proiezione, e volendo giocare con episodi recenti del gossip letterario  – pensando al caso Carrere – di identificazione proiettiva. 

Quello che però voglio dire, è che la diagnosi spiega al limite il perché e il quanto, ma non può niente, e questo è meraviglioso, sulla magia del come. Il come è il vero mistero magnifico dell’estetica. Possiamo avere due scrittori narcisisti, ugualmente narcisisti e ugualmente megalomani – ma uno avrà scritto delle cose bellissime, e l’altro delle cagate pazzesche. Possiamo avere due scrittori molto depressi ma solo uno e Bernhard o Giuseppe Berto, l’altro è una tremenda mezza sega. Abbiamo anche storie  – molte di musicisti schizofrenici, ma solo alcuni diventano Thelonoius Monk o Tom Harrell. Di contro – dansi diversi grandi artisti e scrittori notevoli che non hanno schiodato molto in vita loro dall’onesto padre di famiglia.

Si confonde la fame di cose e soluzioni cioè che genera l’infelicità e una infanzia maltrattata, con la qualità di quelle cose e quelle soluzioni. Ma da cosa dipende quella qualità? Che cosa è invece quella precisione con cui un autore, matto, sano, narcisista o istrionico, depresso o maniacale, gli fa trovare una cosa commovente, insolita, bellissima? O anche capace di farci ridere in modo intelligente?

I comici, spesso e volentieri o sono ipomaniacali, o soffrono di una ciclotimia di un certo grado. Possiamo dire che sanno farci ridere per quella cosa li? Oppure dovremmo invece pensar emeglio a riconoscere il loro magico come?

Il come.
Il pensiero mi è andato ad Harold Bloom. Harold Bloom è il critico letterario americano che più si è battuto per distinguere piano dell’estetica e piano dell’ideologia, sostenendo che la politicizzazione dei dipartimenti di letteratura nelle università americane e negli articoli di critica pubblicati nelle riviste accademiche stava facendo perdere il senso di cosa è veramente esteticamente bello e ben fatto. Personalmente penso che avesse ragione, che il Canone Occidentale sia un bellissimo libro, anche se diversamente da lui penso che sia lecito e anzi auspicabile un uso politico dei libri, che possa scorporarsi da una valutazione estetica da quella politica, e che l’assenza di una provinciale acquiescenza all’arte possa portare avanti delle accuse di discriminazione o di contro – valorizzare prodotti estetici di minoranze. E’ la politica, e per certe persone la politica può essere più importante e urgente della qualità di una prosa.

Però su una cosa mi trovo a convergere, il come è nell’estetica l’anteriore morale del cosa, l’anteriore morale della trama, l’anteriore morale della biografia di un autore, così come Beloved di Toni Morrison è un bellissimo libro a prescindere dal fatto che è donna e nera, e a prescindere da qualsiasi tratto psicologico e psichiatrico di Toni Morrison – che a occhio e croce, anche lei, in quanto a narcisismo mi sa si faceva mancar poco. La grandezza di Toni Morrison è nei suoi fantastici come

Cosa è quel come?

Quando spiego come interpreteremo i sogni, io dico ai miei pazienti che è come se in testa avessero un regista plenipotenziario, un regista cioè che può tutto, che ha tutti gli attori, tutti i personaggi e tutti gli scenari mentre in testa ha un certo contenuto da rappresentare. Quindi avendo tutto tutto a disposizione, non esiste che scelga una persona solo perché il sognatore l’ha vista qualche giorno prima – ma perché è molto adatta, la più adatta, per vestire i panni di un simbolo, di un rimando, di una allegoria. Penso che la creazione estetica funzioni nello stesso modo, e funzioni sempre meglio quanto più vasto è il dominio degli oggetti evocabili. Il come ha a che fare con quel processo li, di selezione naturale analogica delle metafore, delle strutture linguistiche. Con cose animalesche come lo shit detector di Hamingway che suona quando scrivi delle cose brutte, che non funzionano.

Si può dire forse, che quando il talento estetico è modesto, quando un autore ha un cattivo come, oppure in un certo libro un come peggiore degli altri, rimane l’ossatura psicodinamica delle sue motivazioni, rimane solo la diagnosi, che salta all’occhio. Ma la diagnosi è la fisica meccanica di quell’orologio brutto, non esattamente la qualità dei suoi materiali. Il cattivo come ha radici di altra natura.

Questa cosa per me è importante da tenere a mente. Perché riguarda la democrazia dell’estetica, del saper fare le cose belle. Su questo ha ragione Bloom, perché Bloom è come se dicesse, non è la genealogia è il come, e anche qui possiamo dire non è la psichiatria è il come. 
Lavoriamo ai nostri preziosi come.

Gegen Botero. Donne, potere e uso del corpo

Qualche giorno fa sui social è infuriata la polemica, deliziosa quanto moderatamente dirimente, sulla copertina di Vanity Fair dove una bella e semplice Vanessa Incontrada si faceva fotografare nuda.  Considerandoil dibattito che ne è emerso, l’operazione è riuscita perfettamente, furbissimi quelli di Vanity Fair, molto furba Vanessa medesima che da diverso tempo sui social è molto criticata per aver preso dei chili dopo la gravidanza, smettendo di ottemperare al presunto standard estetico dominante. Non voglio parlare della discussione che ne è seguita, ma di alcuni pareri convergenti che ho drenato, e che mi hanno fatta pensare, mi hanno acceso una lampadina.

Il giorno dopo su Facebook, la scrittrice Aisha Cerami, per altro una donna molto bella e molto magra, direi al di sopra di ogni sospetto, ha scritto che secondo lei, il più grande nemico delle donne sono le donne, perché articolava, è dalle donne che arrivano da sempre le critiche più severe sullo stato del corpo, sulle caratteristiche fisiche, e quel tema dello standard estetico, secondo Aisha era d a imputare principalmente alle donne. 

Qualche giorno dopo, il comico Crozza interpretava Feltri, personaggio caricaturale quanto mai azzeccato – retrivo, maschilista, reazionario financo misogino, che però sul tema se la povera Vanessa Incontrada fosse di suo gradimento o no spiegava una sua personale teoria sulle donne, secondo cui, in generale queste cose della magrezza agli uomini non importano molto, non sono dirimenti. Le donne sono tutte bone, perché fondamentalmente l’importante è poterci fare del sesso. 
Per quanto in termini assoluti Cerami e Crozza avevano una parte di torto, mi hanno fatto pensare a delle cose.

Gli uomini hanno giustamente diversi gusti in fatto di estetica e di attrazione sessuale.  Ci sono uomini a cui piacciono effettivamente donne molto esili e magre, come ve ne sono molti che invece cercano altro. La decodifica dell’attrazione inoltre passa non solo per la forma del corpo, ma per l’uso che la psiche fa del corpo, per i linguaggi che mette in campo. Esistono davvero uomini che preferiscono le donne molto magre, uomini che compartecipano a un sistema estetico di riferimento per cui condividono un giudizio sociale. 

Tuttavia, fuori dal sistema della moda dei media, nella vita quotidiana, nella vera vita della carne, attrazione sessuale, e conseguente giudizio estetico viaggiano su una grande molteplicità di binari, dove forse mi pare che spesso, l’aspetto prevalente a determinare le logiche dell’attrazione sia più il rapporto con il proprio corpo delle parti, il sentirsi in diritto di godere e di far godere, più che le forme, le quali saranno come dire estetizzate e rese apprezzabili da quel diritto in atto. Non che non esistano donne più o meno belle – che ci sono sempre state, né possiamo dimenticare che esiste il tempo, che trasforma spesso il bello in meno bello, l’attraente in meno attraente. Tuttavia comprese queste variabili il mondo delle regole dell’attrazione chiama mille fattori, anche simbolici anche psichici. Di quali madri e padri siamo figli, che oggetto cerchiamo in un corpo, se il materno con il seno prosperoso e i fianchi larghi o l’esilità di una promessa. A certi uomini piacciono donne dalla sensualità androgina, altre di marca tradizionale e profondamente sessuata.  Certi assoceranno alla salute il corpo magro, altri quello florido – diversi uomini, con l’andare del tempo si godono la possibilità di assaggiare piatti erotici ed estetici diversi.
Il femminile i maschi, lo trovano in molti modi e t utti questi modi si traducono in una varietà di scelte materiali di farsi concepire belle, attraenti, di mettere a punto estetiche.

E in effetti, in quegli stessi giorni mi trovavo a parlare con amiche che come me, non sono magre affatto, e ci trovavamo a dirci, di questa strana sensazione per cui la vita materiale scorre per conto suo,  con donne grassottelle che si fidanzano regolarmente, che si sposano, che hanno relazioni extraconiugali che insomma vivono contente e felici, e che assistono a una sorta di doppio binario, tra le logiche della vita materiale, e le logiche dell’estetica culturale. Come se bella, attraente, piacevole, etc. nel nostro mondo quotidiano avesse tutte altre accezioni.

Tutte queste cose mi hanno fatta riflettere.

In passato ho addebitato la rivoluzione copernicana dei nostri modelli estetici alle fortune dell’opulenza del primo mondo. In questa  – ancora non si sa per quanto – sovrabbondanza di merci l’estetica che designa la desiderabilità sociale sulla base degli stilemi di una classe dominante era passata dall’immagine di una donna ricca in quanto ben nutrita, il cui agio economico si traduceva in un essere florida -si pensi all’immagine delle signore altoborghesi nelle pubblicità del primo novecento, mentre ora, le signore alto borghesi nelle nostre pubblicità sono magrissime, prive di forme, con lunghi colli e nasi affilati. Questo perché, pensavo in occidente, la povertà si designa con una impossibilità alla cura del corpo e dell’alimentazione, povertà no soldi per la palestra e manco tempo, povertà no carne da allevamento a terra ma scatolame e surgelati, povertà come grassi saturi, bambini precocemente obesi. E dunque la nuova signora, è una che ha il grande lusso di poter selezionare, rinunciare, lavorare al corpo. La nuova lotta di classe sta nei chili persi. E penso che ci sia una parte di verità in questa mia vecchia riflessione.

Tuttavia, ecco, la vita, il mio invecchiare con le mie amiche, Aisha Cerami e Maurizio Crozza mi dicevano, è un po’ vero ma un po’ no – non ti pare? La vita materiale non ha anche molti altri erotismi vincenti, su cui costruisce estetiche sopra?  Se ai maschi piacciono un mucchio i corpi delle donne, e in caso ostruiscono loro il potere quando vogliono smettere di essere corpo, siamo sicuri che la normativa estetica del corpo sia dipendente soprattutto da loro? E’ davvero un problema del maschilismo dei maschi?
A giudicare dal vasto campionario di scelte di youporn, non si direbbe.

Al che ho pensato delle cose.
Se ci sono contesti dove la dominanza di genere è femminile sono i settori dello spettacolo e della moda – soprattutto della moda. La moda, le sfilate, i giornali di moda, sono contesti dove la gran parte del target sono le donne, la gran parte degli argomenti sono le donne, e la gran parte degli autori che scrivono e abitano redazioni e producono contenuti sono donne. Le fashon blogger sono donne, ed è un mondo in cui di uomini ce ne è decisamente di meno – anche se naturalmente fioriscono ogni tanto nei ruoli apicali. Questo mondo però, molto più di quello cinematografico e televisivo ha costruito sempre di più lo standard anoressico delle sfilate e di molti servizi di moda. Nel mondo dello spettacolo il panorama rimane più variegato e sono arrivati diversi modelli di donne eroticamente attraenti, ma di aspetto diverso, alcune delle quali formose, se non proprio floride – abbiamo spaziato da una Belen a una Valeria Marini. Invece dai contesti della moda che ha molti più operatori donne e destinatari donne tra i propri operatori, c’è stata una specie di avvitamento nella magrezza, nell’androginizzazione dei modelli estetici, con alcuni picchi – tipo l’ultima sfilata di Gucci, dove venivano messe in scena delle ragazze giovani e quasi zombizzate, dove il passo successivo non era più la cancellazione dei caratteri sessuali secondari, ma un tentativo estetico paradossale di cancellazione dell’aspetto vitale. Le ragazze di Gucci, per il lavoro sul corpo che quel prodotto editoriale richiedevano mi sembravano più vicine all’artista Orlan che a qualsiasi altra cosa.

Mi sono chiesta il senso di questo avvitamento, in termini di gender studies. Per quale motivo non arriva se non a piccole macchie piuttosto ininfluenti  un distanziamento per esempio da parte delle donne che fruiscono dei prodotti di questi comparti. Come mai le signore che comprano i giornali non si imbizzarriscono, e quelle che vanno alle sfilate, e le stesse ragazze che sfilano, e tutte insomma tutte stiano a questo gioco simbolico che ai miei occhi analitici almeno, incarna una sostanziale fuga dal sesso, una sempre più incalzante deerotizzazione della donna. Ripenso a quando ragazzina compravo i giornali di moda e le muse allora erano certamente magre e altissime, ma eroticamente molto comunicative, allegre, con una loro sensualità e una loro corporea procacità – dimensioni proprio diverse. Seni diversi, sederi diversi, corpi diversi – senza che questo non scalfisse la possibilità di incarnare una elite economica. 
Sapendo che fa parte dell’apparato mitopoietico dell’industria culturale rappresentare l’apice della gloria di classe, per quale motivo ora le femmine che stanno in cima sembrano dover morire da un momento all’altro?

Ma ecco
Quando diciamo che le donne sono le più grandi nemiche delle donne, facciamo riferimento a un angoscia di genere che si traduce in atti a volta affettuosi, a volta arroganti, a volta ostili, a volta esasperati con cui le madri, le zie, le conoscenti, le colleghe giudicano le figlie, le nipoti, le conoscenti le altre colleghe nel modo di gestire il loro corpo, e di allontanarsi da una rispondenza a dei codici che è la più importante clausola di diritto all’identità e al potere di cui le donne dispongono.  Un tempo questa cosa era parossistica, dal momento che o una si sposava o finiva nelle periferia della vita e del consesso umano, e dunque la cura del corpo diventava disperante – oggi le cose sono molto migliorate ma rimane la sensazione per cui se il valore del corpo è il principale atto politico riconosciuto da una cultura variamente maschilista sarà bene averne una cura estrema. E se da una parte, l’oggettivo miglioramento delle questioni di genere ha fatto germogliare – la fuori – una grande pluralità di modi di stare al mondo, quando arriva quella che se ne frega e rimane come dire libera nell’interpretazione del corpo, o anche nella sciatteria, dall’altra parte c’è spesso almeno un’altra che quella anarchico fregarsene lo sanziona, perché da qualche parte, di quel culo largo, di quella gonna brutta, ne è segretamente invidiosa. 

 Dunque la prima parte dell’interrogativo che mi pongo risponde così: un paese con una forte organizzazione sessista rende operativo il suo sessismo in due passaggi: il primo passaggio fa identificare le donne esclusivamente con la loro funzione corporea: esse cioè sono tendenzialmente coloro con cui si hanno rapporti sessuali, coloro che devono attrarre, coloro che devono diventare madri. Di conseguenza si tenderà a scoraggiarle dal porsi come soggetti che hanno identità diverse, per esempio professionali, lavorative, politiche. Questo primo passaggio, che è un’ideologia politica e un costrutto antropologico sarà reso operativo da uomini e donne, ma certamente dagli uomini con maggior vigore e potere.

Nel secondo passaggio ci sarà la dilatazione del potere del corpo, e la costruzione di una teoria su come dilatarlo al suo massimo grado. Vestiti così, vestiti colà dimagrisci non dimagrisci, eh bisogna questo e quello. Quando su questa roba si arriva a fare i soldi – chi fa i soldi – spesso uomini – ci mettono il cappello. La base è delle donne.

A questo punto, cosa fanno oggi queste donne?
Queste donne osservano che – in questa misera isola del potere del corpo – il loro corpo ha potere fintanto che non fanno dei figli, perché una volta che fanno dei figli il loro potere finisce. Le coppie vanno in crisi con i figli, al lavoro ti dicono che se fai figli verrai licenziata, se non sei licenziata comunque la tua produttività cambia, e quindi sei svalutata, mentre se questa cosa dei figli diventa una parentesi, un incidente, un’ipotesi forse ce la fai, lavori fai pure un po’ di carriera. La sessualità matura, dunque, come elemento simbolico, il corpo pensiamo idealmente che ha partorito una volta e potrebbe rifarlo, moderatamente diciamo modificato da parto e allattamento, il corpo florido della giovane madre, che ha invece eccitato sessualmente secoli di maschi e di pittori e scultori, quel corpo florido diviene il simbolo della fine definitiva, della periferia dell’impero. La stessa sessualità matura, diviene il tabù per questi regni di donne con donne per le donne. Il mito di una identità politica possibile, nel senso allargato di pubblica, diviene la ragazzina molto molto lontana dal sesso, dal concepimento, dal godimento, e dalle possibili gravidanze, e gli ultimi scampoli di erotismo si possono a stento giocare sulla contraddizione tra un corpo prosciugato e uno sguardo velatamente carnale – affidato spesso al movimento delle labbra.


Questa cosa alla fine produce una sorta di scissione psichica, con questa estetica apollinea celebrata dalle elites e il fiorire della pornografia che si riprende nel dionisiaco gli spazi vietati. In mezzo uomini e donne a cui è richiesto per campare, un arsenale di benessere psicologico di notevole portata.