Fenomenologia dei mulini a vento

Secondo gli articoli ella giurisprudenza erotica e di quella estetica, ai sensi dell’immaginario cinematografico e pubblicitario, ma anche a quelli delle donne e forse degli uomini profani e quotidiani, è quel che si dice un bell’uomo. Elegante, atletico, molto serio. Un uomo da giardino dei Finzi Contini, oppure da film americano con qualche  – comunque – tennista sofferto ma di cuore candido. O anche, uno a cui i registi potevano pensare di far fare l’avvocato integerrimo. O anche uno a cui Agatha Christie avrebbe assegnato il ruolo del marito traditore, ma di movenze impeccabili, il che lo avrebbe reso il primo sospettato, di poi scagionato verso la fine del giallo. 
Un maschio alfa del novecento borghese.

E’ in effetti rigoroso sul lavoro, puntiglioso nell’individuare itinerari procedurali, molto tenace nei duelli con il materiale burocratico entro cui si destreggia, con capacità. E’ anche parimenti un padre sollecito con i bambini, tre: 9, 7, 2 anni, molto amorevole con la moglie – una bionda morbida e luminosamente autoreferenziale. E’ altresì un uomo capace di discrete gentilezze, e se il collega della stanza ha un malanno farà una telefonata per sapere come va, ed è uno di quelli anche che da consigli utili in modo non fastidioso, o fornisce indirizzi che possono essere preziosi.
Ha per esempio un bravissimo oculista. Di cui ho beneficiato.

Nonostante le apparenze, ha una vita faticosa, dove nella brillante routine da gerarca borghese si aprono voragini piene di nemici.  Ha molti nemici sul lavoro, molti nemici nella scuola dei figli, tantissimi nemici nel palazzo dove abita, un paio alle poste, un altro paio in palestra, non pochi tra i parenti. I nemici sono l’ossatura di una solitaria e crepuscolare visione del mondo, che è pervaso ai suoi occhi in primo luogo da biasimevoli egotici interessati alle loro piccinerie, che tramano ai suoi danni, che tramano per fare meno del necessario, che tramano – sic et simpliciter. Furbastri. A seguito della falange dei furbastri sono gli innumerevoli sleali e traditori, che un giorno ti sorridono un giorno ti voltano le spalle, banderuole, infami, cattive persone. Gli inaffidabili opportunisti.  Intorno a costoro ci sono infine i pavidi, i vigliacchi, i più piccini tra i piccini a cui niente puoi chiedere che si ritraggono, e che lo deludono molto.
E’ in effetti sempre deluso.
(Per un certo periodo io sono stata sospettata di bieco opportunismo, poi sono stata promossa al rango degli egotici e furbastri, mai ho soggiornato in quella dei pavidi.  Vorrei ben vedere)

Quando partecipa a una discussione spesso diviene colonizzato da un indomabile  risentimento per cui si apre, attoriale e bellissimo, in una arringa, che in prima battuta appare come un dispiegamento di fallico potere, e che ha un che di seduttivo  –  ma sulla lunga durata, in regime di democrazia parlamentare ottiene l’effetto contrario, quanto meno in buona parte dei casi. Accade nelle riunioni dei colleghi della sua area di competenza, è successo nella chat delle mamme, si raccontano gesta eroiche alle riunioni di condominio, la moglie ancora ripensa con terrore a quella volta in cui il bagnino del loro stabilimento, aveva erroneamente assegnato il loro ombrellone a un’altra famiglia. Sciatteria secondo i suoceri, inesperienza secondo la moglie, incompetenza slealtà e sottile accanimento dovuto a invidia di classe secondo lui, un sentimento che riscontra sovente nella categoria che più disprezza, i pavidi.
(Ama le allusioni alle classi sociali. Lo fanno sentire un uomo di mondo, un uomo che sa le cose che ha letto Marx, anche se se ne discosta. Si sente molto elegante quando allude a queste cose della classe con i colleghi. Un po’ lo capisco, forse dovrei alludervi anche io per farlo contento, per rassicurarlo del fatto che non faccio parte della terribile falange dei traditori opportunisti. )

Si sente temuto, e spesso si sente tradito. Si sente a ragione da qualcuno ammirato. L’ingegnere dell’ufficio sopralluoghi, lo tratta sempre con deferenza, perché quel roboante suo rumoreggiare unito al dopobarba, unito al naso dritto, unito alla moglie bionda, unito alla casa ai parioli, unito alla macchina, e tutte quelle cose unite al bar dell’angolo profumano di una agognata promozione esistenziale. I colleghi invece che possono vantare una moglie altrettanto bionda, una macchina altrettanto potente, magari in sovrappeso ma comunque con un buon analista oscillano tra esasperazione e fastidio (i giovani) paterna pazienza ( i vecchi) sussiego (gli opportunisti) pettegolezzi (buona parte) vaffanculi (massima parte). Ritiene che nel suo posto di lavoro gli opportunisti siano una maggioranza. Non lo sfiora il sospetto di essere insopportabile. Non ha mai intuito di essere deriso, forse per via dello specchio che è sempre gentile con lui, e di sua moglie che annuisce vigorosamente mentre muove le mani per l’aria di fronte al bagno, e lei si toglie il trucco con la spugnetta bianca.
(Mi viene voglia di avvertirlo, di spiegargli gli effetti che suscita. Un giorno o l’altro lo farò.  Potrei inaugurare la coraggiosa categoria degli sventurati cagacazzi).

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Due

La signora cammina con il passeggino doppio in un orgia di rumore e di sole e di fumo, ha i capelli a caschetto scuri, io vedo, è vestita di blu con delle scarpe molto basse, troppo poi la schiena ne risentirà, è probabilmente molto stanca, nel passeggino, di struttura avanguardistica ma comunque molto sobria nessuno sta piangendo, ma evidentemente è una questione di contingenza, un lusso transitorio: la signora ha quel che mia madre direbbe, un’aria tirata.
L’aria tirata è la strategia che mia madre utilizza per dirmi, se mi hai risposto male è perché hai un’aria tirata, non puoi essere cioè così stronza di tuo, sei stronza per una serie di circostanze che ti hanno precluso il necessario riposo. 
L’aria tirata è infatti, l’atmosfera che ha il volto quando non si dorme e si fanno molte cose, ma anche quando ci sono delle preoccupazioni e dei dubbi da cui uno non si riesce a distrarre – ed è  per questo e solo per questo che non si è festosi e garbati come bisogna essere con il prossimo, perché il prossimo non ci ha responsabilità dei cazzi tuoi, pensa mia madre che è una donna con una sua eticità. 
Ma la signora ha un’aria tirata
.

Cammina dunque spedita e concentrata sulle cause dell’aria tirata, nel piglio e nei pantaloni vedo in lei la lavoratrice, qualcosa mi fa congetturare non in libera professione, ma manco un lavoraccio, è laureata, ha delle responsabilità a cui non sta dedicandosi, ma va in qualche posto con il suo passeggino, e una parte di lei, credo assolutamente inconsapevole, vorrebbe dire qualcosa di sgradevole, delle bestemmie, delle parolacce, ma tutto un mondo dietro le spalle le ha tolto la possibilità, e mi viene da pensare che non è di Roma, e neanche di Napoli e manco di Palermo, che a sud del Rubicone noi femmine si è imparato a riconoscerci il diritto alla violazione del sacramento materno, siamo laiche noi femmine meridionali, anche quelle di noi molto borghesi come questa signora. Verrà da una città piccina di quattrini e spioni – mi viene da pensare, povera figlia.

Una donna la incrocia e si illumina, per via del passeggino doppio e la ferma con entusiasmo, auguriii che bello! Sono due bambine dice lei stanca, io butto l’occhio dentro e le vedo paffute regali meravigliose e tiranne, mentre la seconda donna, ci informa che lei ha due maschi. 
Non è italiana e ho sentito nella voce entusiasta delle figlie dell’altra che questi suoi maschi non sono qui con lei, sono tra le braccia sapienti di una sorella o della nonna, devono mancarle molto, anche se in questo momento la seconda donna, non ha l’aria tirata, la su vita qui è scarna semplice e non esattamente bastarda, è quel che si deve fare. A volte i bambini devono mancarle come possono mancare i piedi e le mani a chi non ce l’ha, e poi la seconda donna, una camicia bianca e dei pantaloni chiari, molte rughe, molto sole, deve lavorare spesso all’aperto, deve aver deciso, quando sono nati quei due maschi, che questa nascita le aveva dato un’identità, che dal poco che si sentiva ora poteva dire sono una Madre! E anche se non sono qui con me, anche se non mi vede con loro nel passeggino doppio come io vedo lei, io sono una madre.
Complimenti! Dice allora felice e orgogliosa alla donna con l’aria tirata, che però avendo l’aria tirata, o forse essendo anche proprio stronza di suo le risponde sciattamente, con una involontaria, certamente involontaria supponenza di classe
.

E ora scrivo questa cosa, che va in direzione ostinata e contraria a questo modesto aneddoto sui limiti nostri e di quel che sappiamo fare, ma se c’è una cosa che regala l’esperienza del materno, è l’ingresso in un mondo di comprensione reciproca che abbatte le differenze, il mondo delle donne che sanno le cose delle vite dei corpi, delle bianche che lasciano il posto al ventre delle nere sulla metropolitana, dei bambini che piangono e ci si guarda negli occhi che cazzo ci avrà mangiare ha mangiato, pisciare ha pisciato, cosa ci ha mo, l’esoterico mistero di questi sovrani che due cose fanno: piangere o non piangere, l’alfabeto morse dei nuovi imperatori, uguale in Cina uguale in Africa, sempre questa cosa dei punti e delle linee, e noi madri ci si guarda, e quella coll’aria tirata la riconosciamo subito, pure tra cagne e tra gatte, e invece, non sempre ci riesce. Non sapevo a chi sorridere delle due, ma quella coll’aria tirata non è interessata a questi commerci carnali, l’altra invece ci si tuffa, sentendosi vista.

(qui)