Psichico 16/ Sesso genere giocattoli

(Non ho partecipato granché fino ad ora alla discussione che ciclicamente arriva in rete e sui media rispetto ai giocattoli e i ruoli di genere, ma sono stata invitata a un dibattito su questi argomenti –per la presentazione del numero monografico di Genesis, bambine e bambini nel tempo  – a  cura di Adelisa Malena e Stefania Bernini dedicato a una lettura storica del giocattolo e della pedagogia di genere, per cui mi sono ritrovata a fare l’appello delle idee che ho io in merito, una sorta di chiamata alle armi del mio armamentario concettuale. Qui alcune delle riflessioni che hanno strutturato il mio intervento)

Quando si parla di oggetti culturali che ottengono un certo successo – dobbiamo ragionare, alle volte anche amaramente, sulla significanza di quel successo, senza cedere di default alla gentile consolazione della manipolazione culturale. Vale per la pubblicità, vale per il cinema e vale, vale terribilmente per i giocattoli dei bambini. Come tutti gli oggetti culturali, e più che mai quelli destinati all’infanzia, i giocattoli per i bambini portano indosso l’intenzione di una trasmissione di valori, e più che mai questa cosa è fortissima in termini di prospettiva di genere: i giocattoli dicono cosa una certa generazione chiede alle generazioni successive, cosa devono incarnare, quale progetto politico realizzare, e cosa riscattare. Tuttavia non basta domandare per avere risposta, e ogni richiesta di successo deve contare su un’uniformità linguistica. Quest’uniformità non riguarda solo il dare agli infanti oggetti infantili, ma – soprattutto intercettare aspetti del mondo interno dell’infanzia, agganciarvisi, colludervi, specchiarcisi. Il giocattolo di successo è un oggetto semantico la cui missione culturale è garantita dalla soddisfazione di alcune necessità psicologiche, psicodinamiche, simboliche, e che per queste altre necessità svolge altre missioni tutte individuali del bambino che ci gioca. Molte di queste missioni hanno a che fare con il sesso e il genere. Il corpo e la sua interpretazione.
A questo punto, proporrei di fare un passo indietro e allontanarci provvisoriamente dal giocattolo per isolare alcune questioni importanti a individuare quelle missioni individuali legate al gioco e che investono il genere. Propongo tre punti importanti.

  1. Semantica biologica: La prima questione rilevante per me riguarda la capacità semantica del corpo sessuato: se gli studiosi si scannano tanto per decidere se i cervelli degli uomini e delle donne sono differenti evidentemente la differenza non è proprio di quelle che salta all’occhio . Ma certo è che la differenza fra avere il ciclo e non averlo, fare i figli e non farli, allattare e non allattare salta all’occhio e non c’è bisogno di grande dibattito. Io credo che quella prima differenza produca in ognuno un importante dato semantico, produca parole, faccia cultura individuale, sia una cosa che ognuno piano piano legge a modo suo. Di solito questo tipo di assunti sono letti come essenzialisti di defoult, perché associati a posizioni di chi vincola il corpo a un forte prescrizione in termini di ruoli di genere. In realtà la prescrizione dei ruoli di genere è anche molto vincolata alla contestualità e al cosa si decide di farci, con quell’oggetto che produce una prima semantica. Qui si suggerisce solo l’idea che: sapere di poter allattare mette nella testa di una donna un oggetto. Sapere di non farlo un altro.
    Inoltre, questi oggetti semantici ci riguardano non solo come titolari del corpo, ma anche come destinatari di relazione. Connotano l’altro, e innescano delle reazioni a quel dato semantico. Nelle tristi vicende della 194, come nel plot di tante favole della tradizione popolare per fare esempi concreti, io vedo la demonizzazione e la punizione del potere tutto femminile di procreare, al quale molti uomini si sentono dolorosamente subalterni, e rispetto al quale il collettivo si sente inesorabilmente dipendente.
  1. Semantica psicoanalitica Nella crescita di ogni individuo, una parte saliente ce l’ha il gioco di identificazioni e controidentificazioni con figure affettive di riferimento del proprio sesso, o del sesso opposto. Nel nostro modello culturale, quando si presenta diciamo nella sua forma standardizzata, la negoziazione dell’identità, passa dall’identificazione e dalla disidentificazione con il genitore pari sesso, raccogliendo per una via diversa aspetti del genitore del sesso opposto. I giocattoli sono tra i grandissimi intermediari di questa negoziazione: la bambina che gioca con la bambola studia come essere come la madre, per poter un domani fare la stessa cosa diversamente dalla madre.
    Questa esplorazione identitaria inoltre, passa anche dal commercio di desideri non sempre consapevoli: il bambino che gioca con la pistola giocattolo, rincorre un modello di maschile che avvii la sua dialettica con suo padre oppure al contrario incarna un desiderio che il padre non è riuscito a incarnare. In ogni caso, la cultura performa i nostri modi di stare nel mondo prima ancora che con gli oggetti culturali condizionando gli stili e le forme dei sistemi familiari in cui i soggetti sono iscritti. Il bambino che gioca con la bambola, giocherà con la bambola con maggiore naturalezza quando fosse il figlio di un padre che si è preso cura di lui e dei suoi fratelli, ha cambiato loro i pannolini, ha dato loro da mangiare. A quel punto per quel bambino giocare con il bambolotto sarà una sua negoziazione psichica con il suo paterno.
    Infine il gioco dei desideri riguarda anche situazioni incrociate il bambino interpreta un ruolo di genere nella misura in cui raccoglie e incarna il desiderio del genitore di sesso opposto: il bambino con il suo giocattolo è cioè anche: il figlio della madre, la figlia del padre.
  1. Semantica Junghiana. Se noi consideriamo gli oggetti culturali come oggetti simbolici, ivi compresi i giocattoli, noi li possiamo allora considerare il canovaccio su cui si proiettano gli oggetti interni di due parti: chi li propone e chi ne fruisce. Produttore e consumatore. Secondo la lettura junghiana ogni individuo ha nel suo inconscio forme archetipiche correlate al maschile (animus) e forme archetipiche correlate al femminile (anima) rubriche categoriali cioè che raccolgono insieme caratteristiche psichiche culturalmente codificate coi generi, loro declinazioni emotive e personologiche, loro correlazioni con le immagini genitoriali di cui ciascuno dispone, eventuali rappresentazioni problematiche dovute ad aspetti individualmente irrisolti o culturalmente patogeni. Un giocattolo di successo, spesso riesce a intercettare l’arsenale simbolico in merito al genere di tanti fruitori, e lo fa perché quello stesso arsenale simbolico abita la psiche del produttore. Le famigerate winx, per fare un esempio, intercettano la rappresentazione del potere sessuale che emerge, con eroine dai corpi estremamente potenziati e seduttivi, contro a un universo relazionale con il maschile estremamente burrascoso e problematico. Hanno dei meravigliosi superpoteri – la fata è un archetipo del femminile che ha una corposa filmografia nella produzione per bambine – ma con i quali non vincono mai del tutto. Le winx sono cioè una efficacissima rappresentazione dell’avventura dell’adolescenza femminile, che è alle porte e a cui le bambine sono sempre più precocemente chiamate. Si tratta di una missione di crescita a cui non possono sfuggire – quel corpo sessuato anche se variamente declinato arriverà e questa rappresentazione fa esplorare la battaglia nel porto sicuro dell’infanzia – con il difetto di anticiparla eccessivamente.

Tutti queste osservazioni servono cioè a spiegare la funzione che può avere un giocattolo che è diciamo reazionario rispetto al sistema sesso genere. Alla luce di questo io, diversamente da molti sono meno arrabbiata con i giochi che rispecchino una divisione tradizionale dei ruoli. Perché ritengo che assolvano a queste funzioni psichiche – e quando sono richiesti dai bambini pongano una domanda di lettura e riconoscimento dell’identità che mi sembra giusto e importante accogliere, anche se magari possono essere declinati nell’assetto familiare con l’interpretazione dei ruoli di genere che la mia famiglia ha elaborato –dove c’è un maschile molto accudente per dire, e un femminile molto intraprendente. E penso che prima prima di tutto, il compito politico di innovare la declinazione del rapporto sesso- genere spetti alle strutture familiari, agli stili di accudimento, più che ai giocattoli i quali sono sempre tramite di quegli stili, e non si può sperare di cambiare la libertà dei soggetti togliendo loro giocattoli importanti in una fase della vita in cui i discorsi molto intellettuali e sofisticati non sono ancora disponibili ma ci sono prima di tutto passaggi psichici da fare.

Naturalmente questo non deve intaccare la possibilità di esplorare mondi semantici appartenenti al sesso opposto da parte dei bambini, o la sacrosanta necessità di concepire i giochi anche come strumenti di crescita psichica che permettano di accedere alla simbolizzazione e di arrivare all’uso di meccanismi difensivi e adattivi superiori che aiutino a elaborare le arcaiche semantiche della primaria differenza sessuale.  A questo scopo io credo servano i progetti nell’ambito degli asili o delle scuole di aiutare i bambini a esplorare i giocattoli e i mondi che sono proprie del sesso opposto al proprio, come è successo se non ho capito male a Trieste. Non è che a Trieste proponessero ai bambini di andare vestiti da ragazzine per tutto l’anno scolastico, o imponessero per sempre giochi diversi da quelli che utilizzavano normalmente. Si trattava di una esplorazione di una parte interna di se, o di una parte sociale diversa da quella mediaticamente sancita per i ruoli di genere, e siccome – per tornare alla lettura junghiana del giocattolo rispetto al genere – noi abbiamo un archetipo sessuale e uno controsessuale, l’esplorazione di quello controsessuale è tutta salute per ognuno.
Lo scandalo con cui quella come altre iniziative è stato accompagnato è il sintomo penoso di una nuova costellazione culturale, frutto del pericoloso innesto tra crisi economica, capitalismo avanzato e psicopatologia culturale e una sorta di sessofobia che si va organizzando intorno a nuove agenzie   – Adinolfi – le sentinelle – Miriano Fusaro qualche prete di città – ma di questo voglio parlare in un prossimo post.