Da molto tempo a questa parte la PAS, la sindrome di alienazione parentale, proposta di Gardner e rifiutata da qualsiasi contesto psicologico e psichiatrico è oggetto di grandi e calorosi dibattiti. Nelle intenzioni di Gardner la sindrome doveva servire a individuare minorenni manipolati dal genitore affidatario e indotti a credere di provare sentimenti ostili verso il genitore non affidatario, effetto che sarebbe garantito tramite una sorta di campagna di allontanamento e di denigrazione.
Questo tipo di circostanze è moderatamente frequente, e gli psicologi che lavorano con i minori ne fanno una costante esperienza – tuttavia la formulazione di Gardner aveva molte lacune, tali da rendere il costrutto auspicabilmente, inutilizzabile. Ora non mi va di ripetere cose di cui ho già parlato a lungo – qui per esempio. Per brevità ricordo solo che il clouster diagnostico di Gardner non propone una lista di sintomi ma un insieme di comportamenti a volte semplicemente adattivi, non rileva elementi di sofferenza del minore che invece sono tipici di questo ordine di circostanze, pensa il sistema familiare in termini di mezzo sistema sano e mezzo sistema funzionante, e lo pensa in termini fondamentalmente sessisti. Il mezzo sistema malfunzionante secondo Gardner è sempre materno – come si evince più che altro da alcune sue dichiarazioni. Infine manca del tutto una corretta diagnosi differenziale con le diagnosi con cui può confinare: l’abuso reale e l’abuso assistito. Ossia: in quali comportamenti il bambino che ha una PAS è diverso dal bambino che è vittima di un abuso? Quando un bambino che dice che la madre è stata picchiata sta mentendo? O che lui è stato picchiato? Esistono sintomatologie diverse? Questo quesito è importante.
La cultura psicologica italiana –ai minimi termini- unita a un sostanziale sessismo di fondo, non di rado ravvisabile nei tribunali, ha portato a un uso avventato della PAS soprattutto in molto processi in cui al centro della questione c’era l’accusa di violenza di genere del padre sulla madre e di violenza assistita verso il minore. Il concetto di alienazione parentale è stato chiamato in causa dagli avvocati di parte come grimaldello per screditare la violenza sulla donna, e a far passare come invenzioni le denunce di aggressioni e percosse. E dunque, è abbastanza comprensibile e plausibile che oggi solo a sentirne parlare, soprattutto considerando che al di la delle etichette generiche sono le madri ad essere accusate di istillare delle menzogne nei figli, la maggior parte delle donne si arrabbi terribilmente. E nella complicata situazione di un paese con l’economia di un primo mondo e l’ideologia di un quarto la maggior parte delle femministe – che vanno lottando per abitare per lo meno il secondo – rimanga sconcertata di fronte a chi combatte per un ingresso a pieno titolo della pas nelle cause di diritto di famiglia. I mariti picchiano, non pagano gli alimenti, si rifanno con gesti violenti sui figli in percentuale preponderante nelle cause di separazione, ci possiamo davvero stare a occupare di PAS? Non ci sarebbe una lista di cose prioritarie prima?
In mezzo a questi interrogativi Hunziker e Bongiorno, insieme già in una fondazione per la lotta allo stalking e alla violenza di genere, hanno deciso di patrocinare una nuova proposta di legge che sanzioni la PAS financo con la galera. Si era appreso qualche giorno fa con un’intervista da Fazio, in cui la showgirl aveva alluso al fenomeno e parlato della diagnosi, e ne era sorto un risentito dibattito, con tutte le associazioni femministe pronte a negare l’esistenza stessa del costrutto e delle circostanze che lo producono, mentre psicologi e psichiatri cadevano in un silenzio imbarazzato dinnanzi a una protesta di legge che a proposito di un sistema familiare nella sua interezza abusante e compromesso sancisce IL BUONO e IL CATTIVO proponendo IL GABBIO per il cattivo utilizzando una diagnosi che, pur individuando qualcosa di riconosciuto clinicamente, è al momento inutilizzabile per come è operazionalizzata. A correggere il tiro poi, arriva l’intervista di Susanna Turco a Giulia Bongiorno, che paraculescamente cerca di mettere una pezza sull’evocazione della pas dicendo cose come no, ma mica parliamo di quello eh – quando ci sono gli psicologi non ci si capisce mai niente! E allora noi parliamo delle circostanze oggettive, capito come.
Dice l’intervistatrice – scusa ma ci hai fatto caso al fatto che allo stato attuale dell’arte, di pas si parla sempre nei processi di abuso?
Si ma a me, che me frega. Se va così va così.
Un’intervista istruttiva, leggetela.
Ora. Bongiorno si occupa da sempre anche con una certa serietà e buona fede di violenza di genere, e probabilmente si sente protetta dal suo stesso curriculum. E ha certamente ragione a occuparsi di un fenomeno che esiste, e a indicare la necessità di offrire giuridicamente degli strumenti di intervento perché è vero che esiste il fenomeno, è vero che non di rado molti padri, sono allontanati ingiustamente dai figli, e soprattutto è vero questo io credo- che la vita un padre ci da, quel padre, non un altro, con quello dobbiamo fare i nostri conti belli e brutti di figli, e per quanto è possibile quel padre li che è nostro, non ci deve essere tolto. I bambini hanno davvero questo diritto ed è giusto che sia rispettato. E penso come ho scritto nel post linkato che in un figlio questa questione crei dei conflitti inconsci e quindi mi dissocio da tutte quelle correnti femministe che vogliono cassare la PAS tout court.
Ma certa supponenza e goffaggine sono imperdonabili. Si percepisce l’occhio fisso su un femminismo che è anche corretto, e che come vuole più accesso per le donne nel mondo del lavoro chiede il riconoscimento degli uomini nel mondo del privato e quindi si propone di sanzionare quei casi in cui il femminile usa il privato come forma di potere. Tuttavia lascia sbigottiti da una parte la malagrazia con cui ci si avventura in un dibattito ampiamente avviato, fino a raggiungere vertici inusitati di becera ignoranza: ah le femministe non hanno letto la legge mia, (ma dovevano? Ma a che serve avere una showgirl a comunicare se alla prima critica su quella comunicazione si rinfaccia la legge? Ma correggi la comunicazione prima) ah si la pas non esiste vabbeh io non ne parlo mica, ma però mi serve parlarne, ah tanto gli psicologi confondono le acque sebbene sia del benessere psicologico dei bambini nevvero che si dovrebbe parlare – e per quanto alla fine la questione sia un giochino di potere tra le parti e una patologia del potere quello dovrebbe essere il vertice di osservazione.
Dall’altra anche la stessa proposta di legge rende perplessi perché è ispirata sul principio della sanzione come efficacia detrattiva su un certo comportamento – la minaccia del gabbio! – e pone l’accento sull’idea di un comportamento colpevole contro uno invece non colpevole quando se fossero chiamati in causa le persone competenti le cose sarebbero impostate in ben altro modo. E il sistema familiare ad essere rotto. Posso capire il sanzionare una ex coniuge che non faccia rispettare il ritmo di visite all’ex marito, o l’esercizio della funzione paterna. Ma la sanzione di un’opinione sull’ex marito mi pare una forma di delirio istituzionalizzato oltre che ridicolmente controproducente.
Al di la delle mie perplessità sul testo della legge, non credo che si possa risolvere il problema della comunicazione su questi temi mettendo in mezzo una signorona di successo nello spettacolo che odora di superficialità e privilegio ogni volta che sorride e ciancia di un mondo materiale che non sarà mai costretta a sfiorare, e forse sarebbe un atto di coerenza oltre che la risposta a una necessità tanto sentita, proporre degli strumenti anche giuridici e richiederne di psicologici per aiutare quelle stesse avvocate femministe e periti di parte a discriminare la PAS dai casi di abuso – sia nel caso in cui l’abuso sia violenza subita direttamente dal minore che sia invece violenza assistita sulla madre. Per quanto alla Bongiorno l’intervento degli psicologi appaia come confusivo, forse non se ne può prescindere tanto, considerando il fatto che in questo genere di processi la testimonianza del minore è dirimente. Non solo come diretto interessato nei casi di affido ma anche come teste per appurare l’eventuale violenza sulla madre la quale come si diceva spesso è screditata invocando la pas. Va ricordato infatti che spesso quando gli uomini compiono violenza si mettono nelle circostanze opportune a che la vittima abbia come unica testimonianza proprio i figli, e attuano processi intimidatori allo scopo di non far produrre alla vittima prove che possano poi essere usate contro di loro. Per esempio prima le accoltellano poi le portano al pronto soccorso e in loro presenza le donne aggredite non parleranno di aggressione ma di incidenti e l’ospedale non potrà scrivere niente di utile in un processo futuro. Allora capire da altri e più adeguati sintomi se un bambino racconta di un abuso per non perdere la vicinanza con la madre, o invece lo fa perché ne ha memoria diventa un compito ineliminabile e una nuova riformulazione della PAS quanto mai auspicabile. Io ho la sensazione che certe sintomatologie molto franche e invalidanti – bambini che hanno appetito disturbato, che non dormono la notte. Oppure che sono precocemente portati a fare giochi in cui al centro c’è la violenza e un contenuto pesantemente sessuale, in maniera reiterata e ossessiva siano più probabilmente vicini all’esperienza di abuso reale che presi da una narrazione dell’abuso. L’abuso rompe, disorganizza crea un disagio esperienziale. Il suo racconto allo scopo di tenere vicino un materno avvertito come importante forse non comporta le grandi fratture psichiche della grave violenza assistita o subita e se ci dovesse essere una sintomatologia comparirebbe più tardi, con connotazioni più sottili. Ma su questo mi piacerebbe che intervenissero colleghi che lavorano con bambini.
Quello che posso dire con certezza è che coerenza vuole che – se ti occupi di violenza domestica il lunedì, non te ne puoi fottere il martedì perché il nuovo argomento ti attizza di più.