Un altro congresso sulla famiglia

Il 29 marzo ci sarà a Verona il famigerato convegno internazionale sulla famiglia. Un convegno di più giorni, che raduna diversi leader che dall’estrema destra hanno deciso di occuparsi di famiglia, e lo farà con lo sguardo puntato non tanto sulla ricerca storica, sulla sociologia, sulle necessità dei soggetti come gruppi e come singoli, ma su alcuni punti orientativi ideologici, collocati in un momento storico diverso da quello attuale, ma considerati affidabili e funzionali per fronteggiare la crisi del presente. Ci saranno interventi a favore di leggi contro l’omosessualità, interventi che criminalizzeranno l’aborto, interventi che parleranno dell’infamia del divorzio, che saranno variamente maschilisti con alcune prevedibili cadute misogine – e quindi in realtà nascostamente misandriche. Il convegno è abbastanza agghiacciante, e da destra a sinistra lascia in molti perplessi. Per mero campanilismo politico devo dire, che constatare la presenza di un Salvini, di un Fontana, o dell’altro ministro italiano, è per me motivo di soddisfazione. L’organizzazione è infame e infamante, e io non faccio mistero del mio orientamento elettorale.

Da un altro punto di vista invece mi dispiaccio di osservare come alla fine questa crisi della famiglia, la sua trasformazione e difficoltà attuale, non sia mai presa in carico davvero a sinistra, e non sia oggetto mai di un grosso lavoro interdisciplinare e di un progetto ampiamente politico. Ci vorrebbe eccome un congresso, che parlasse dei problemi veri della famiglia italiana, dei cambiamenti che non riesce ad attraversare del tutto. Perché questi qui, rispondono a modo loro a una serie di emergenze emotive e sociali, rispondono in maniera criminale e aberrante ma lo fanno, mentre noi abbiamo qualche sindaco particolarmente lungimirante, alcuni addetti ai lavori che fanno progetti di nicchia in contesto accademico, magari qualche manipolo di avvocati organizzati che scrive un documento per conto suo… ma a sinistra, un pensiero sulla famiglia, con questo nome qui “famiglia” si fa fatica a fare. E questo, non è solo colpa dei vertici. I vertici sono lo specchio della nostra sociologia, e a noantri parlare di famiglia ci fa paura. Riusciamo a parlare di variabili minoritarie – lottiamo, per me anche giustamente, per la famiglia omogenitoriale, ci facciamo domande sulla liceità di itinerari alternativi – ma decisamente minoritari – di fecondazione assistita, ma alla fine, di questa ancora grandissima quantità di famiglie che ancora costituiscono la maggioranza del tessuto nazionale, e delle difficoltà che attraversano non ci occupiamo. Eppure avremmo parecchio da dire, davvero tantissimo. Perché è vero che la famiglia italiana è in difficoltà: è vero che un paese, che per quanto sia in uno stato di complicata crisi economica e angosciato sguardo sul futuro ha ancora molte risorse, e però ecco, fa davvero pochi, pochissimi figli, troppo pochi. E’ vero che nel fare questi pochi figli le persone vivono grandi problemi. Ed è anche vero che molte di queste difficoltà vengono risolte subappaltandole a terzi, soprattutto a terze – baby sitter e badanti, e questo non farà che far riprodurre il problema a qualcun altro con meno soldi.

Quindi, in primo luogo, secondo me almeno, se dovessimo fare un convegno sulla famiglia oggi, dovremmo prima di tutto dedicare una giornata a capire bene la portata della rivoluzione copernicana degli ultimi due secoli. Il primo grande cambiamento ha infatti portato al passaggio da famiglie grandi in contesto rurale con molti figli molti legami di interdipendenza tra nuclei, con ruoli di coppia molto definiti nelle mansioni e nei comportamenti, ma a loro volta molto interconnessi ai propri pari,  a famiglie nucleari, urbanizzate, piccole e separate l’una dall’altra dove entrambi lavorano e le funzioni emotive di accudimento sono  più sfumate e spesso appaltate a terzi, che vengono però eventualmente retribuiti.   In questa prima giornata si dovrebbe anche parlare del ruolo della contraccezione, della legge sull’aborto, e della legge sul divorzio, di femminismo ma anche di liberalismo e di capitalismo, in modo da arrivare a fare una fotografia della sociologia contemporanea che porti a vedere come sono le persone vere adesso, e come queste persone vere abbiano difficoltà emotive e materiali che difficilmente potranno essere curate tornando un’organizzazione emotiva e relazionale che non combacia e non si incastra con l’organizzazione della vita quotidiana oggi (Per esempio: chiedere alla madre di oggi, di fare come la madre di ieri senza avere nessuno degli appoggi di rete sociale che aveva la madre di ieri)

Una seconda giornata dovrebbe parlare delle nuove realtà materiali che oggi corrispondono al concetto di soggetto socialmente accettato e di famiglia materialmente esistente. Le coppie omosessuali, le coppie omogenitoriali, le madri sole con prole, e i padri soli con prole, le famiglie che si formano mettendone insieme di separate, ma anche le famiglie che hanno una formula tradizionale ma si compongono di tradizioni culturali diverse, per esempio le famiglie miste. Questo panorama potrebbe essere filosoficamente, storicamente e sociologicamente ricondotto ai cambiamenti nella mentalità che hanno fatto diventare ordinario lo straordinario, includibile l’abbietto, e qualcuno – mi candido – potrebbe fare una bell’excursus di sociologia della psicodiagnostica, notoriamente l’avamposto progressista delle nostre istanze più reazionarie, per spiegare cosa ha voluto dire, quando nel 1984 l’omosessualità è stata tolta dall’elenco delle psicopatologie del dsm. Cosa vuol dire oggi, che ci sono ricerche finanziate dall’università a favore della genitorialità omosessuale, cosa vuol dire se nei manuali di psicologia della famiglia si parla di come affrontare il divorzio trattandolo come una eventualità normale, della vita di una famiglia,  di cosa parla l’idea diversa negli anni in psicologia o in psicoanalisi di una donna sana e in pace con se stessa. E di un uomo sano.  Sono cambiate queste idee? Si. E in che direzione (nella direzione delle identità molteplici)

Una terza giornata dovrebbe parlare di questioni di genere, ruoli di genere, questioni economiche e questioni giuridiche.   Siccome per me la bassissima natalità in Italia è fonte di preoccupazione, e penso che sia una preoccupazione condivisa da molti, chiederei a questo convegno: cosa vuol dire essere padri in un mondo che penalizza la tua carriera se porti il figlio dal pediatra? E come fa una madre a fare tre bambini se avendo la casa di proprietà e il lavoro pagherà il nido 500 euro? Che ricadute ha sulle donne povere che abitano nel nostro paese e versano dei contributi, il dover lavorare per le famiglie italiane rinunciando a seguire le proprie? E cosa ne è dei loro bambini quando sono lasciati nei paesi d’origine?

E forse bisognerebbe parlare anche di alcuni aspetti perversi della sociologia collettiva, aspetti particolarmente cari ai contesti culturali della sinistra italiana, per cui fare i figli, è sacrificio, è brutto, è una disgrazia, è dispendioso, oneroso non è cool. Questo tema mi pare riguardi diversi canali: le insofferenze culturali alla vita dei bambini negli spazi pubblici, il vedere l’idea di occuparsi di altri bisognosi come un lecito motivo di martirio, le questioni sociali ed economiche le ipervalutazioni di certi riti che cortocircuitano con la genitorialità per un verso, ma anche la difficoltà a ragionare in certi contesti pe runa flessibilità di ruolo: una donna intellettuale può essere socialmente intellettuale e madre? Amare i bambini? Un uomo d’affari può essere padre? O il suo essere felice nel fare il padre stride con qualcosa?

Una quarta alla fine e per me pure una quinta dovrebbero parlare delle psicopatologie della famiglia in difficoltà. Dovrebbe parlare di cosa succede alle separazioni giudiziarie ai due partner, cosa succede con le depressioni post partum, cosa vuol dire per la coppia genitoriale già fragile e con delle psicopatologie latenti l’adolescenza dei figli, cosa vuol dire per un bambino avere un padre violento ma anche una madre gravemente depressa e inaccessibile. Per la verità al problema dei malesseri della madre abbandonata e stretta tra richieste sociali, assenza di servizi e bambini bisognosi io dedicherei una serie di interventi, perché noi addetti ai lavori constatiamo quanti gravissime questioni derivino da madri che soffrono e rimangono abbandonate a se stesse. E i loro figli con loro. Rifletterei sulla psicologia della famiglia ma anche sulla psicologia perinatale. Rifletterei quali sono le situazioni di criticità familiare che possono dare luogo più facilmente a psicopatologie franche, importanti e pericolose in età adulta.
Infine chiuderei i lavori con una serie di proposte atte a migliorare la vita di tutte le persone.
Migliorare. Non peggiorare.
Tutte le persone. Non alcune.