borghesia 2.0

Episodio uno: qualche giorno fa L’Isis ha fatto circolare l’ultimo dei suoi video più impressionanti, in cui un pilota giordano era arso vivo. E’ l’ultima produzione cinematograficamente macabra di quelli di IS. Prima di questo video sono circolati quelli delle donne uccise a sassate per adulterio, dei prigionieri sgozzati, degli omosessuali lanciati dall’ultimo piano di un palazzo, e altri ancora altrettanto orripilanti. La rete, come emotivamente prevedibile – ha risuonato, si è scossa e indignata in buona fede: su tutti i social network le immagini sono riverberate seguite da commenti e riflessioni molto preoccupate e arrabbiate.

Episodio due: qualche giorno fa ero in rete e discutevo di vaccini: molte persone ad oggi stanno mettendo in discussione l’opportunità di vaccinare i propri bambini e io, con un certo scoramento, discutevo con alcune di queste persone. Erano interlocutori laureati, con un modo di disquisire sintatticamente e logicamente strutturato, che avevano accesso a una larga fetta di informazioni – superiori a quelle che avevano i nostri genitori quando siamo nati noi – ma che mi sembravano dimostrare l’assenza di alcune difese importanti diciamo per non uscir di metafora – mancavano delle difese immunitarie del soggetto politico e del cittadino medio. Difese che abbiamo fino ad ora applicato in maniera talmente automatica, da renderle oggi difficili da individuare.

Il punto di convergenza di questi due episodi e degli argomenti di cui sono al centro, è la cittadinanza due punto zero, ossia quella fascia della popolazione mediamente istruita e non angariata dal digital divide che accomuna geografie e storie diverse. Questa popolazione nuova, mi si dispiega come una sorta di nuova borghesia, che a prescindere da delle condizioni economiche di partenza che possono anche essere svantaggiose o al contrario molto avvantaggiate, ha una buona istruzione, ha curiosità intellettuali e fascinazioni politiche, e dispone grazie all’effetto di un’istruzione di buon livello di un arsenale di medio raggio di strumenti per affrontare la realtà e forse, sempre in virtù di quella qualità della scuola pubblica che oggi si vuole prendere allegramente a sprangate, rivela una relativa compattezza ideologica, su ciò che è bene fare e ciò che non è bene fare.

Ma la caratteristica che ancora più contraddistingue questa nuova cittadinanza è l’uso della comunicazione tramite social, perché l’ingresso dei blog prima, di Facebook e Twitter dopo nella quotidianità della comunicazione ha trasformato i figli dei cittadini semplici di un tempo, in cittadini di diverso tipo. Perché succede questo: chiudono i quotidiani, reggono le versioni on line, scende il prestigio del giornalismo titolato, che si ritrova ad essere diffuso in rete sugli stessi media che usano i singoli cittadini per le loro comunicazioni, mentre questi ultimi abbandonano le conversazioni verbali con cui esprimevano i loro pareri e scrivono quello che pensano. Alla fine succede qualcosa che smette di essere un effetto ottico: i giornalisti esperti di questo o quell’argomento hanno un prestigio o una credibilità di poco superiori ai cittadini che esprimono pareri molto circostanziati e che magari a causa della loro estroversione e competenza relazionale hanno tanti contatti capaci di mettere in evidenza sui social network le loro posizioni.
La rete è democratica, la rete annulla le distanze! L’esperto di mediooriente ha tanti like quanto il ciccio formaggio, e il ciccio formaggio a sua volta – assume una rilevanza inedita rispetto a suo padre.
La questione ha implicazioni anche politiche: il tal parlamentare che magari è marginale rispetto al dibattito pubblico potrebbe avere in rete minore risonanza, per la sua magari non spiccata capacità a dominare il mezzo di quanta ne abbia invece il cittadino ics il quale, passando la giornata su internet dalla mattina alla sera è capace di diventare un opinion leader.
Questa cosa ha delle conseguenze importanti sullo statuto delle opinioni di questa cittadinanza, perché queste nuove opinioni sono infatti come dire, di grandezza fisica diversa. Non hanno la volubilità e la fatuità della parola detta, che oggi c’è e domani non si sa. Non sono pulviscolari come quelle di un elettorato anonimo la cui identità si indovinava incrociando dati percentuali e variabili sociologiche – quelli che votavano dc, quelli di sinistra quelli che. Sono opinioni grandi come messaggi scritti, piccoli mondi che diventano costellazioni di consenso, nebulose di like che rimandano la risonanza, diventano un oggetto culturale la cui manipolazione comincia a far gola e le cui reazioni diventano il termometro di un mondo di appartenenza.
Di questa cosa, si accorgono quelli di Is. Sognano di attaccare l’occidente, sognano di sconvolgerlo, e vogliono sentirsi potenti nel terrore che procurano, il loro gesto omicida conquista una postmoderna rigenerazione mediatica, la loro legittimazione arriva dal nostro scandalo. Sia detto a mo’ di inciso, nostro non tanto come occidentali, ma nostro come altri rispetto a loro, un’alterità che ci accomuna a molto mondo islamico, che oggi deve essere ancora più terrorizzato da quella minaccia, che ha visto ben più morti, e che però ha raggiunto un uso della rete non dissimile dal nostro.
La nuova borghesia globale 2.0.

L’accorciarsi delle distanze in termini di prestigio tra divulgazione di personale qualificato o rilevante per, e cittadinanza comune che esprime un’opinione – provoca però nuovi effetti anche in termini di qualità delle informazioni assorbite, e a cui si decide di accordare credibilità. Le vecchie e antidemocratiche gerarchie dell’informazione si configuravano per la loro diversa accessibilità come oggetti ultimi e come fonti citate, e la loro diversa possibilità di acquisizione: il giornale buono lo dovevi pagare, il libro ben fatto anche, posto che avevi i soldi per pagarlo lo dovevi capire, e non sempre potevi farlo nella tua lingua madre e senza altri strumenti suupportivi: c’erano meno mezzi di divulgazione e la decodifica di una nozione complessa aveva bisogno di enciclopedie, e dizionari e manuali di consultazione. La cultura era classista ma in una misura, non totale ma relativa anche più onesta.
Ora c’è la rete. L’informazione dell’alto approda insieme a quella del basso, delle volte ampiamente rimaneggiata, ossia decodificata per l’utenza, delle volte ampiamente travisata, molto spesso affiancata da baggianate di diametro inusitato, ma le decodifiche di affidabilità sono perdute, e tutta una serie di agghiaccianti e pericolose bufale si fa largo presso la nuova borghesia 2.0 che non sa più trovare strumenti per valutare ciò che la rete importa come veridico, sfruttando processi che anno anche a che fare con la psicologia cognitiva. E dunque, animalisti che credono che Spielberg abbia fatto guori un triceratopo, antivaccinisti che seguono con lo stesso gradiente di affidabilità il medico disconosciuto dalla comunità scientifica che parla di vaccini e autismo e il medico riconosciuto dalla comunità scientifica che nega la relazione. L’elemento determinante è la cornice della rete che fa da qualifica per se, oppure da squalifica altrettanto irrazionale – donde i complottismi di vario ordine e grado. Non ci credere, non è mai così.

La democrazia della rete ci piace tanto, l’annullamento delle differenze ci fa sentire più forti, più importanti. E infatti che bello! Su Facebook facciamo amicizia con scrittori famosi e personaggi televisivi che ci dicono cosa mangiano a pranzo e qualche volta diciamo qualcosa di davvero brillante e siamo veramente fichi! Che grazioso vantaggio narcisistico, quest’ascesa sociale in poltrona.
Ma intanto – nel mondo reale non cambia niente: politicamente rimaniamo complementi oggetti senza scavalcare alcunché per essere soggetti. I diritti vengono sempre più erosi, le condizioni economiche rimangono identiche e in ambito internazionale o meno – il nostro opinionismo altro non è che un oggetto usato a fini manipolatori – una cartina tornasole sulle cui reazioni basare le scelte future (per il momento in quale modo particolarmente glamour ammazzare il prossimo bambino – domani, chi sa). Allo stesso tempo diventiamo preda del truffatore e del ciarlatano abituati come siamo a considerare ciò che viene dalla rete ipso facto credibile solo per il fatto che viene dalla rete, e ci intortiamo in campagne di opinione che procurano il nostro danno certo – come la faccenda dei vaccini. La quale delegittima un sapere ufficiale proponendone la sostituzione con un altro che diventi altrettanto ufficiale senza avere le credenziali del precedente.
Forse occorre fare qualcosa.

Madri, padri, figli, periferie dell’etica e gerarchia del potere.

Volevo scrivere alcune righe sulla dolorosa vicenda di Napoli – dove un adolescente è stato violentemente seviziato da tre ragazzi, ha rischiato la vita per questo, e ora è ancora in ospedale anche se sembra stia reagendo bene. Gli facciamo i nostri più sinceri auguri, e speriamo che la famiglia si renda conto che oltre all’affetto e alla vicinanza, questo ragazzo avrà sicuramente bisogno di un percorso che lo aiuti a sistemare la sua vita, e a rimetterla su dei binari percorribili. Già lo stare al mondo con l’obesità stigmatizzata rende l’adolescenza difficile, ma che dopo lo stigma arrivi la garanzia dello sguardo dovuta allo statuto di vittima, è un pensiero che mi suscita ancora più angoscia. Spero che questa famiglia, si renda conto che l’affetto può tanto, ma che l’affetto da solo non basta. Questo ragazzo, che sta dimostrando prontezza e forza d’animo, avrà bisogno di scoprirsi altri pregi, che temo in questo momento gli siano tutti poco visibili e di fare una piccola rivoluzione che dall’umiliazione porti lontano. Un grandissimo in bocca al lupo per lui.

Un grandissimo in bocca al lupo, forse ancora più grande – bisognerebbe recapitarlo anche ai ragazzi che l’hanno seviziato, che mi sembrano in tutto e per tutto intessuti della genuina definizione della perversione – la quale entra in scena quando l’imperativo kantiano dell’etica laica viene tradito: usa l’uomo sempre come fine e mai come mezzo. Quando l’altro viene usato come cosa, come tramite come oggetto, per un altro fine tutto personale e tutto patologico, siamo nel regno della perversione. E qui la perversione abita diversi livelli – è perversione di soggetti, perversione di gruppo, perversione di contesto sociale. Il vantaggio della vittima, è in questo senso il vantaggio della sofferenza, della posizione scomoda della debolezza, quando si sta da quelle parti si ha una fortissima spinta a cambiare. Invece questi ragazzi di ventiquattro anni, che si sono seduti sull’appiccicosa poltrona della cattiveria, della cattiveria che sbava ma trascina il popolo, che solo il cortocircuito col tradimento del corpo ha posto davanti all’enpasse (ossia: se il ragazzino non si metteva a vomitare l’ira di Dio, non ci sarebbe mai stato un casus, e manco una domanda sociale) non so se troveranno una motivazione al cambiamento. Non confido nel carcere, non confido nella famiglia. Mi sembrano psicologicamente malati, e non so se usciranno dalla melma.

Mi ha colpito – come sempre mi colpisce la reazione della madre dell’unico ragazzo fermato. Mi ha ricordato quella volta in cui, parlando con una conoscente di uno stupro di branco avvenuto nel paese dove lei abitava, ha detto: beh la ragazzina se l’è cercata – la ragazzina di quell’episodio aveva undici anni la stuprarono in nove. Mi ha colpito perché vedendo la madre difendere il figlio – non ho visto i cenni di un attrito, di una polpetta avvelenata da ingoiare, per cui si inventa tutta una serie di attenuanti a cercare di occultare la svista morale, l’errore: cose come, lo hanno trascinato, 24 anni e giovane, oppure le varie attenuanti che si chiamano in causa quando un figlio fa qualcosa che non va – il periodo difficile, il lavoro che non va bene, l’amore o chi sa cos’altro. O il comprensibilissimo – non può essere stato lui, mio figlio è un ragazzo tanto ammodo. Questo ordine di reazioni, testimoniano la contraddizione lancinante tra un ordine morale condiviso, e l’amore per ciò di più caro, la convinzione che l’amore era anche passare questo ordine morale, e il doloroso sospetto che quel passaggio non ci sia stato, e tuo figlio non sai chi è e tu genitore ti chiedi che genitore sei stato. Un attrito che è molto doloroso, e da cui è umano scappare, specie in quei momenti in cui l’opinione pubblica attacca i parenti dei colpevoli cercando nella riprovazione verso di loro, la prova di una propria verginità. Sei una merda vero madre di cattivo? Io no, guarda il mio ragazzo proprio un gioiellino.

Capitano spesso però circostanze in cui le reazioni collettive non dovrebbero essere così tranquillizzanti per noi, perché l’abuso incriminato – questi che sodomizzano un adolescente, quelli che picchiano un disabile, gli altri che stuprano una ragazzina – è semplicemente la conseguenza concreta di una scala di valori condivisa, di una serie di graduatorie assegnate, e di azioni prescritte, che non riguarda esclusivamente il comodo concetto del mondo dei giovani, ma riguarda interi spicchi di collettività lasciati alla deriva, dei figli che abusano un altro figlio o un’altra figlia, spesso e volentieri agiscono il mondo dei padri, che nei commenti si fa evidente. Quando l’abuso sessuale è verso una donna – lo schema è più riconoscibile, perché più frequentemente decodificato anche dal femminismo e dal giornalismo: i genitori degli stupratori, dicono che la ragazza se l’è cercata, che è normale che un ragazzo provocato sessualmente abbia di queste reazioni. E si tocca con mano l’idea di un femminile percepito come inferiore, come destinato o a non esprimersi o a subire, perché era bella perché aveva voglia di fare sesso con uno e l’ha fatto capire, ma in quanto femmina non può sparigliare le gerarchie, e quindi come il gruppo la caccia nell’infamia della sua inferiorità tramite lo stupro i familiari ne codificheranno culturalmente il comportamento erigendolo a norma sociale: quella la era una poco di buono.

Qui il meccanismo è lo stesso, per quanto una coltre di borghesia impedisca di vedere come stanno completamente le cose. Il sesso c’è sempre, e a dirla tutta, non posso fare a meno di vedere nella sodomizzazione di un poveraccio l’agito di un’omosessualità altrove trattata come insulto. Il rito ricorda certe inquietanti vicende di guerra – per esempio in Vietnam dove la sodomizzazione era il gesto con cui si sperava di imprimere il marchio della superiorità dell’uno rispetto a un altro. Roba di sesso, di maschi, di parti di se scisse, di riti collettivi. Ma c’è anche, in comune con lo stupro, la reazione codificata di fronte all’anarchico potere del soggetto eccentrico- il quesito che impone la debolezza conclamata la quale è sempre e comunque in questi contesti culturali patogeni, banco di prova del potere nascente, dei piccoli maschi alfa della microcriminalità. Il ragazzino obeso, il disabile, la ragazzetta di undici anni. E’ un gioco ha detto la madre, questo mi ha colpito, non è violenza è un gioco! E io credo che il suo problema di madre, nei toni, nelle espressioni – che potete vedere in questo video – erano altri. Ossia nella scoperta che la cultura borghese a cui non smette di voler giustamente appartenere – dice di essere in attrito con il mondo in cui finora è convissuta. E’ violenza dice l’opinionismo benpensante – no, ti sbagli io conosco i tuoi valori sono anche i miei! La violenza è brutta, questo è un gioco!. Ma dire che è un gioco, vuol dire dichiarare con tanta involontaria semplicità che questi appunto sono i giochini di quel contesto li, e che non si è in grado di riconoscere la violenza, perché quando di mezzo c’è la ludica conferma di una gerarchia, la violenza è il ludico passaggio necessario. Il disabile va marginalizzato, l’obeso va picchiato e la ragazzina stia a casa fare la serva.

Tutto questo non deve essere consolatorio, come è consolatoria di solito la diagnosi psichiatrica che si esprime senza rinforzo sociale. Se esistono mondi culturali diversi, in cui uno dei due sa cosa è male e l’altro non lo sa, vuol dire che il mondo che lo sapeva  a quell’altro non l’ha spiegato.
Quindi in finale, neanche lui ha le idee tanto chiare.