Quando ero piccola e uscivo con mia nonna, quella del post qua sotto, magari andavamo a prendere un gelato insieme e per passare il tempo, osservavamo le persone che passavano. Era per lei questo rito, motivo di spietata meraviglia. Nel suo intrinseco giusnaturalismo infatti, la natura avrebbe voluto che la divisione tra persone brutte e persone belle fosse rigidamente rispettata, e i brutti dovevano andare tra di loro e i belli tra di loro. A questo si aggiungeva una venatura velatamente misandrica, secondo cui una donna non può essere mai brutta specie al giorno d’oggi, mentre per l’uomo acclaratamente questa ipotesi poteva darsi con una certa frequenza e dunque, mia nonna non mancava di comunicarmi il suo materno scandalo anche se ammischiato con una confortevole accondiscendenza. Ma guarda quello la così brutto con quella bella ragazza. O come mai!
Si trattava per lei di un fenomeno ogni volta bizzarro. Capiva – a mio giudizio saggiamente – che la questione dei soldi era quasi sempre irrilevante. Questa cosa per cui le donne si prendano gli uomini solo per soldi e gli uomini le donne solo per sesso, era diremmo oggi, una logica discorsiva, che lei non aveva mai preso sul serio – individuando autentiche alchimie seduttive nelle coppiette che prendevano il gelato con noi. D’altra parte ripeteva con sempre lo stesso umorismo perfido, non è bello ciò che bello ma è bello ciò che piace, aggiungendo un certo però senza scampo, a totale disconferma di questa retorica buonista.
A dire il vero, ogni volta che ella mi indicava un brutto, esso mi pareva davvero oggettivamente brutto, uno di bruttezza metastorica. Qualcuno a cui la natura aveva ficcato addosso irregolarità difficili da gestire: dentature tutte stortignaccole, menti inesistenti, agglomerati di occhi e di bocche stretti attorno al naso e persi in faccioni grandi . Occhi a palla accompagnati da nasi uncinati, che ella chiamava con premoderna franchezza pisciambocca.
Quel suo interrogativo – come mai? – non smette ancora di affascinarmi perché a ritmo regolare mi sembra che strida con certi accorati messaggi dell’industria culturale per cui la facilità nelle relazioni arriva solo quando si obbedisce a un canone estetico, ragion per cui è bene industriarsi per esservi adeguati, oppure – che è il sottotesto della retorica pappone versus mignotta – quando si ha una disponibilità di risorse secondarie – molti soldi molta passera, usarle per compensare la disgrazia di un nasone a patata. Ma naturalmente queste cose son tranelli – dimostrati non solo dal successo di certi oggettivi bruttoni – gente in contromano in qualsiasi epoca storica – ma anche quando si pensa al destino complicato di certi belloni e bellone di ordinanza, bronzi di riace a piede libero, veneri di milo a spasso che però cari miei, non vedono mai la luce, oppure molto più raramente di quel che si pensa.
Il fatto è io credo, che in ballo c’è innanzitutto il proprio percepirsi in diritto di essere titolari di relazione, e in secondo luogo i in dovere nei confronti del proprio piacere. La felicità è infatti una chimera – ma il dirselo troppo spesso è senza dubbio uno dei peggiori tranelli della nevrosi, una castrazione bella e buona per la quale non c’è retorica collettiva che tenga. Una volta riconosciuti questi diritti e doveri del soggetto, il diritto di essere con e il dovere di provare piacere – il diritto trombo! – tutto il resto è una passeggiata e si tratta solo di capire quale sentiero psichico percorrere quale incastro relazionale è più efficace. Sono cose che la psiche fa spesso e volentieri senza passar necessariamente per la coscienza specie quando questi diritti e doveri sacri sono stati garantiti nella giusta misura durante l’infanzia, dalla famosa madre sufficientemente buona – che ha messo a disposizione un giusto spazio emotivo per le cose e ha anche regalato la materialità dell’efficacia nei gesti del proprio figlio. Per potersi godere la possibilità di spassarsela nel sesso e nell’amore, non bisogna infatti avere sufficientemente saldi i meccanismi dell’affetto e della relazione, ma anche quelli che hanno a che fare con l’esplorazione, con la curiosità con la possibilità di allontanarsi da un centro per avvicinarsi a un altro.
Allora, ci sono quelli per a cui la natura ha dato un corpo per cui essi aderiscono agli stilemi estetici di un certo momento storico per cui, quello è il loro primo trampolino di lancio nel proporsi agli altri, anzi, si industriano pure e per certi versi giustamente a confezionare un prodotto di se che ancor meglio incarni l’allure di maschio alfa ad altra trombabilità: guardami! So alto, so secco, so moro, so bello, ci ho le spalle (un po’) ci ho i bicipiti (un po’) ci ho l’occhiali (cari) e anche l’ariata dell’omo che sa il fatto suo tipo fa li quatrini. So baldanzoso, so umoristico (un po’) so’ intelligente per via de quaa cosa dei quatrini.
Ma ci sono anche quelli, quelli che invece studiava mia nonna senza trovarci il bandolo della matassa, che una volta che hanno riconosciuto diritto alla relazione, dovere del piacere, e potere dell’esplorazione, coi loro nasoni grossi o zampette corte, con il loro corredo biologico che non combacia con la retorica estetica di un certo momento storico, si avvantaggiano – assecondando certi loro altri talenti e praticando con successo certi loro itinerari relazionali confacenti al loro carattere.
Per fare un primo esempio. Mi si narrò di un ometto del tipo timido piccolo e tondo, che aveva molte amiche donne e che si lamentava del fatto che a queste donne lui facesse tenerezza. Lo vedevano come un caro orsacchiotto ecco, e non lo consideravano un oggetto desiderabile. Poi però aveva scoperto che questa roba della tenerezza poteva essere il suo cavallo di battaglia e se ne era impossessato in maniera seduttiva. Lo si poteva incontrare con delle magnifiche stangone, oppure sentirlo dire agli amici, questa volta con sorprendente quanto mandrillo entusiasmo: io alle donne faccio tenerezza!
Un secondo esempio che mi è molto caro, per questioni facilmente intuibili per chi mi conosce, è quello del nonno di Amos Oz. Amos Oz in un romanzo racconta che suo nonno era un seduttore incredibile, anche in età avanzata. Non tanto perché fosse bello o elegante. Ma perché lui intervistava le donne, le faceva parlare, voleva sapere cose del loro pensiero e della loro vita, le faceva sentire brillanti e importantissime ne era veramente interessato. Non a tutte le donne piace questa cosa, ma a moltissime si, e può essere la chiave di volta di molti insospettabili successi.
Questi due esempi non sono granché diversi da quelli classici e quasi abusati, quanto altrettanto veritieri degli uomini brutti che seducono in quanto capaci di un carisma intellettuale, oppure in quanto capaci di grande potere nel lavoro e nelle relazioni. Segretamente la sostanza è sempre quella triade dovere/diritto/potere a essere al centro della capacità di seduzione, poi le modalità vanno a seconda dell’organizzazione di personalità. Ma ci sono anche i casi di persone di successo che non riescono a usare l’afrodisiaco del loro successo, o che lo fanno blandamente, nonostante la posizione privilegiata – e che forse conta anche su composizioni caratteriali più frequentemente palesi nelle psicologie di genere e più incoraggiate socialmente, anche se i tempi stanno cambiando. Il potere è l’afrodisiaco maschile cinematograficamente eccellente, per un femminile che sembra essere molto erotizzato dall’alchimia dell’ammirazione.
Naturalmente a queste alchimie si associano anche quelle dell’ossessione, dell’ansia, e di quelle forme di continua successione di brevi relazioni che socialmente possono anche essere premiate – ah il maschio alfa che inzuppa il biscotto in diverse colazioni quanto è fico! – quando invece denotano una forma di malessere non riconosciuta come tale esattamente come per le donne, a proposito delle quali invece si parla tanto più volentieri di nevrosi e patologia quando hanno la medesima ossessione. In ogni caso quello che mi interessava contestare è lo stereotipo del successo solo per chi ama diciamo vantare il potere nella relazione, quando hanno successo anche quadri caratteriali che erotizzano saggiamente la cessione del potere.
(E niente è venerdì – divertitevi!)