Una terapia per il nuovo anno

Usciremo da un inverno non abbastanza freddo per costruire le poesie, dove i camini hanno fiammeggiato con fatica, saremo intrise di passioni accomodanti, e d’altro canto neanche un sole cocente per essere nude, avremo giacche e cappelli per l’abitudine al rigore dei padri, e penseremo che si tratta di una farsa. Ci sentiremo fragili, demotivate, a tratti inutili, andremo a farci visitare.

Gli psichiatri ci prescriveranno delle lettere d’amore. Una per mese.

Amore mio bellissimo, scriveremo allora a gennaio, hai mandato la domanda per quel concorso? Hai deciso se vuoi davvero sposarmi? Questo perché gennaio è il momento dei buoni propositi, delle vite nuove che cominciano col calendario.
Amore mio diremo, ti prometto che cambierò, diventerò paziente e gentile, diventerò una persona anche ordinata e precisa, e se vorrai sposarmi, non ti farò pagare le multe, non ci saranno more, non ci saranno mutande in giro per casa, accetterò persino quella bizzarria della lavagna sul frigorifero – perché spererei di essere felice.

A febbraio informeremo un flirt d’annata che per la verità si trattava di una truffa. 
Ci consulteremo con il dottore, e chiederemo, signor dottore, ma come lettera d’amore vale la precisazione che di amore non si trattava? Certo! ci dirà il dottore – Certo che si, essendo che le lettere d’amore sono un campo semantico, diciamo una classe farmacologica, dentro alla quale stanno diversi principi attivi, anche il principio di verità sta nelle lettere d’amore, e quindi ci spiegherà, Febbraio è anche il mese adatto, il mese delle maschere, e dei doppioni, il mese delle Personae, junghianamente parlando, e dei falsi se, winnicottianamente parlando, e quindi se scrivete il disvelamento, sempre di amore si parlerà.
Allora scriveremo spietatamente con il cuore in mano, le due cose possono andare d’accordo, non era amore, amore mio, era piumaggio, era lotta di classe, era rivalità con quella stronza della Monica, quella del primo banco. 

A marzo sapremo di dover scrivere la lettera di marzo, avremo il petto gonfio, ma ci nasconderemo sotto al piumone, il cuore buttato vicino al comodino, il cellulare pure, non vedo non sento non parlo non scrivo non esco di qui, poi mi becco tutta quella primavera in anticipo sto fottuta, tutto quell’erotismo mi ritrovo a trombare i platani,  ci faremo portare dei pacchi di patate fritte, delle noccioline. Ma che diamine! dirà il dottore medico psichiatra, mai che questi ti avvertano, un pensiero un sms un wotsappo, dico fammela una telefonata! Invece niente! Quando torno gliene dico quattro, gliene dico.  Ah ma io, eh, io. Dirà lo psichiatra che dovrebbe scriverle anche lui le lettere d’amore e tergiversa.

Ad Aprile l’improcrastinabile entrerà dalla finestra, la luce abbagliante del presente, che per altro di suo è già convinto di essere giugno, per questo stravolgimento climatico, già era crudele aprile, ora virerà al sadismo puro e semplice. Usciremo di casa circospette, con gli occhiali scuri, pallide di tutte quelle serrande abbassate, di tutti quei tè caldi e altre insalubri usanze, e dopo la prima mattinata – bar – posta – libreria ci avremo in canna una quindicina di lettere d’amore spudorate, e come gatte miagoleremo odi struggenti per quel distinto signore anche se non molto alto, di cui però immagineremo che compenserà con una certa perizia nelle prestazioni,  scriveremo appassionate missive sulla sua bella voce che ci ha intrattenuto al telefono su argomenti eleganti, riflettendo su quella cosa di Aristotele, la potenza e l’atto ma anche su quelle cose di Marcuse, l’eros e la civiltà – viva l’eros abbasso la civiltà! – scriveremo. A ruota, ne mediteremo un’altra invece su un signore molto alto e magro, in giacca e cravatta bontà sua, che avremo voglia di scalare come fosse una montagna, diremo in questa lettera d’amore lei è bellissimo caro signore, vorrei scoprire meglio la sua personalità, cioè mi scusi, sa quella cosa della parte per il tutto.
Il dottore medico psichiatra, si incazzerà come una mina: osi di più con il signore con la giacca! Dirà burbanzoso e autorevole, già di suo contrariato per i motivi a noi noti.

A maggio allora, faremo i compiti, e proporremo su un cartoncino bianco panna, con una penna stilografica nera una lettera proprio come la vorrebbe il nostro psichiatra: che inizia con:
 a. intestazione
Mio amato. Aka Mio principe oppure Mio Signore degli anelli. Oppure mio signore delle scarpe.
b. dichiarazione d’amore
Ti penso moltissimo proprio in continuazione, esageratamente, ti penso come un ciclostile – se mi capisci cosa intendo. 
c. proposta elegante
Ci vediamo in quel posticino domenica dove ci sono i glicini, le azalee le panchine, le signore coll’ombrellino, le fanciulle in fiore?
(Giustamente, il destinatario si dichiarerà in Guatemala, purtroppo tiene un impegno da quelle parti)

A giugno scriveremo a quello più amato di sempre, e con il quale sapremo di aver fatto il maggior numero di cazzate, perdonami, ti ho amato, lo so che non ti sei accorto, lo so che non sembrava tanto, perdonami perdonami. Questa missiva di giugno sarà terribile, e telefoneremo allo psichiatra, devo proprio? Chiederemo. Certo ci dirà quello cattivo come sono solo gli psichiatri e i dentisti, deve assolutamente, lo sa benissimo che non si può variare la posologia in modo arbitrario, e se ora deve scrivere queste cose, le scriva! Chiuderemo la telefonata, riguarderemo i nostri errori con questo amatissimo, cercheremo pure un gatto a nove code, per fustigarci di questi peccati della nevrosi, e torneremo alla nostra lettera, perdonami se sono stata pazza e masochista anche, volevo dirti che quei pasticcini che mi avevi portato al tramonto erano davvero buonissimi, che quell’uomo con cui sono andata a letto l’avevo scioccamente sopravvalutato, ci dovevo andare con te a letto, cazzo meglio dei pasticcini persino, che già quelli li avrei mangiati all’infinito, tutte le sere a mangiare pasticcini con te, sarei stata.  Spero che vorrai accogliere questo mio pentimento tardivo.

(Lo psichiatra a quel punto riceverà un’altra telefonata. Io a quella l’ammazzo, gli dirà un signore- estenuato).

A luglio farà un caldo incredibile, gireremo coperte di stracci bianchi, come madame egiziane, chiedendoci come minchia fanno quelle poverette, sempre co sto callo, gireremo con carretti di gazzosa, chiedendoci se al Cairo pure loro girano coi carretti di gazzosa, coi gelati, saremo molto molto provate dalla lettera di giugno, e a luglio per compensazione, scriveremo qualcosa di semplice, a un fidanzato istituzionale, che ci ha lasciato per terra, morte stecchite, ma per fortuna vogliamo scrivergli oggi, a luglio, meno male m’hai lasciata! che ci avevamo in comune? Niente mannaggia alla diocesi! Mi sparavo sti pomeriggi infiniti a sentire il calcio di serie a, ti amavo! Certo che ti amavo che se no due coglioni così appiccicati alla radiolina, non si spiegano eh, e tu mi amavi? Per niente! Mi amavi come si ama un canotto in mezzo al mare, come si amano le coperte di inverno, alla prima zinnuta irriflessa che passava ti venivano i dubbi. Meno male che mi hai lasciato, ex amore mio, m’hai liberato dalla malia della monotonia, non ci avevamo un amore ci avevamo un ergastolo. Sei felice? Lo spero tantissimo. 
Lo psichiatra ci dirà che scrivere ad amori che ci hanno lasciato per terra, amico, hai fatto bene, rinforza il narcisismo, il carattere, ci si sente proprio come regine del castello, e infatti sarà proprio così
.

Ad Agosto, siccome a febbraio per via della lettera di gennaio, ci saremo sposate, andremo al mare con nostro marito, e non terremo tanta voglia di obbedire allo psichiatra, come si fa come non si fa, mi metto a scrivere sotto l’ombrellone? Mi metto a scrivere al bagno la mattina? E a chi scrivo? Bisognerà rimpiattarsi al bar dello stabilimento e scrivere a quello li con cui si aveva flirtato per un po’, di dieci anni più giovane, fisico prestante, carattere zelante, un giovanotto pieno di pregi, ma cazzarola pieno di energie voleva fare sempre tuttcose, tuttcose, tuttcose, e i concertini, e le balerucce, e i viaggetti e gli amici, ci aveva tantissimi amici, cioè non era la giovinezza anagrafica il problema, ma proprio quella esistenziale, amore mio so’ na vecchia, sono forastica, non poteva durare tra noi, con tutti quegli esseri umani tra le palle porta pazienza, con tutto quell’attivismo sportivo. La canoa! Non c’è amore per me, dove sta una canoa. Vado sulla sdraietta con questo marito che ci ho mo’ che è un misantropo d’elezione, come si avvicina uno all’ombrellone, lo fulmina e se non desiste, gliele da di santa ragione. 
Lo psichiatra, che ha studiato sul divano, si troverà particolarmente d’accordo. Vah vedi come funziona bene questa terapia!

A settembre, che è un altro mese di quelli decisivi, di quelli cruenti, per via dei buoni propositi, dei conti da fare, per quanto avremo la tentazione di riscrivere a quello di giugno, o di rinforzare le premesse di gennaio, la legge morale etc. etc, ci imporrà di scrivere a quello la con cui s’era andate a letto un paio di volte, per dirgli con tutta franchezza, sei una merda. Sei un pallone gonfiato, non era vero che eri triste, tutte balle, non era vero che eri complicato tutte balle! Eri proprio strnz. Mmmrdddddd. Ma iooooo! Iooooo Erooooo innamorataaaa di un altro pappappappero pappappero tiè tiè sucaaa capito? EEEEh. EEEH. sucaaa
Poi lo racconteremo allo psichiatra, quello ci sorriderà comprensivo. 
L’ha spedita?
GNORSI’
Dovrò fare qualcosa per la mia reputazione. Bofonchierà preoccupato.
 

A ottobre in specie per quelle di noi romane che hanno possibilità di andare sul lungotevere intorno alle sette, il che equivale né più né meno a un ciclo di mazzate, ci verrà dal nulla una lettera d’amore serissima, perché a quell’ora in quel mese tutto è azzurro ocra e mattone,  che è la combinazione sentimentale per eccellenza, tutto è tramonto elegante, tutto alle nostre spalle apparirà bellissimo ed ineccepibile (tutto tutto no, si escludono quelli della lettera di settembre e di febbraio) saremo aggredite da una invasione di memorie romantiche, proveremo grande tenerezza per quella ragazza che siamo state, in una certa foto che conserviamo, e per il ragazzo che la guarda e le sorride, e scriveremo a questo che ora è padre di una valanga di marmocchi:  il nostro è stato un amore bello e gentile, un amore di vetro soffiato, ogni tanto ci torno col pensiero e gli faccio una carezza, lo pulisco anche un pochino, e lo custudisco con devozione. Sei felice? Scriveremo fustigate dai raggi del tramonto romano. Perché io sono felice se sei felice.
Lo psichiatra ci dirà: ammazza signò non stava mai ferma! E noi ci diremo, ma guardi è uno dei mesi precedenti, si tratta di coprire il calendario. MA QUALE NON LO DICIAMO CHE STI SOLDI DOTTO’ SE LI DEVE GUADAGNARE.

A novembre, guarderemo dal salotto il marito litigare al telefono con qualcuno, sapremo che dirà TI AVEVO DETTO CHE NON DOVEVO RISPONDERE AL TELEFONO, un moto di affetto ci attraverserà per tanta forastica perseveranza, andremo al bar di sotto, compreremo due baci perugina, glieli metteremo sotto il naso mentre ancora sta sodomizzando un povero cristiano di un qualche call center, lui farà un sorriso, burbero sbrigativo, di uomo che trova queste miserie umane quisquilie, i cioccolatini e che saranno mai, falso come Giuda, la moglie glieli deve nascondere di solito, non può entrare un dolce manco a casa dei vicini, manco dai dirimpettai che suo marito lo aspira con la forza di un tornado, con la potenza di un mago, non c’è nascondiglio per qualsiasi cioccolatino confetto, barretta kinder, e ora fa quello che solo lotta al telefono e ascesi, capito come, ma finiscila, diremo lasciando la stanza.
Lo psichiatra dirà che come lettera d’amore  – vale
.

A dicembre, educatamente, ma anche perché l’anno è stato emotivamente impegnativo, però è vero ora ci sentiremo delle donne nuove, tutte quelle lettere ci avranno cambiate, come se sapessimo solo ora di che colore abbiamo i capelli le mani e gli occhi, a dicembre per una volta, forse l’ultima nevicherà, e un po’ per gratitudine, un po’ per sapida vendetta, scriveremo al nostro psichiatra.
Amore mio caro e dolcissimo che ti prendi cura di me. 
Come stai messo a controtransfert?

Buon anno cari e care

(qu)

Crescere allegri figli unici

  1. Premessa

In questo momento storico in Italia si parla molto di crescita a zero, di pochi figli pro capite. Da un certo punto di vista questo fatto è concepibile come un meccanismo omeostatico del nostro macrosistema: ad altre latitudini i figli sono davvero troppi, la terra sta scoppiando, le risorse sono sempre più risicate. Se da una parte del mondo si fanno meno figli, l’umanità ha solo da guadagnarci. Per conto mio, sarebbe auspicabile che per le sorti del nostro sistema economico, lavorativo e contributivo, questa bassa natalità fosse compensata da una migrazione controllata, persino da un incoraggiamento all’immigrazione. Ci si chiede chi la pagherà la pensione ai nostri figli, quando tutti questi vecchi lavoratori moriranno, e chi continuerà a svolgere alcune mansioni che in tanti si rifiutano di svolgere oggi, per dei salari così bassi che non sono utili a nessuno, ma anche per delle condizioni di vita che rendono certe scelte sempre più impraticabili.
Ma la lungimiranza degli ultimi governi – non è il tema di questo post. 

Il tema di questo post è che si fanno pochi figli, ed essere bravi genitori di pochi figli, di figli unici, o di figli molto distanziati l’uno dall’altro, è molto più difficile che essere genitori di più figli come tre, o quattro. In particolare nel nostro paese, dal momento che l’occupazione femminile è tra le più basse in Europa, ci ritroviamo con delle nuove mamme che: non lavorano, ma fanno un figlio solo, a volte due. Questa situazione rende il compito della madre, e della coppia genitoriale più difficile. I genitori, anche i più bravi e benintenzionati, si possono trovare con più facilità a mettere in campo, senza volerlo, comportamenti che possono esitare in situazioni psicologicamente problematiche per i bambini e i futuri adulti. In questo post cercherò di mettere insieme i momenti di vulnerabilità che caratterizzano le famiglie con un solo figlio, e magari delle indicazioni per contrastare precocemente l’emergere di questioni complicate. Non è che fare un figlio unico contento sia impossibile, è che le difficoltà in campo sono un po’ di più.

  • Prime considerazioni

Andiamo con ordine e valutiamo alcune questioni.
1.Un bambino piccolo ci sollecita emotivamente sempre in modo molto intenso.  Ossia quando vediamo un bambino piccino essere triste, siamo mobilitati a consolarlo- è facile che ci faccia sentire in dovere di occuparci di lui per farlo smettere di essere triste. Se invece un bimbetto è allegro e spensierato, dover interrompere quella spensieratezza per richiamarlo a un dovere è una cosa che può metterci molto a disagio. Questa cosa è stata studiata dagli etologi e dagli esperti di psicologia evolutiva: il bisogno di noi grandi di rendere i piccini sereni è una strategia evoluzionistica che permette a una specie la cui prole è particolarmente lenta a crescere e particolarmente priva di strumenti difensivi, di sopravvivere: i nostri cuccioli non hanno pelliccia, non hanno artigli, non hanno denti aguzzi, non hanno zampe possenti, non diventano grandi in un anno. Sono tremendamente dipendenti da noi grandi.  Siamo programmati per farli star bene.

2.Parallelamente però notiamo che le nostre reazioni emotive cambiano con il numero di bambini che abbiamo davanti. Un bambino solo ci suscita struggimento se piange. 4Quattro bambini invece, ci sollecitano l’emergere di un bisogno di assetto e di responsabilità da parte nostra: dobbiamo fare qualcosa di efficace, non dobbiamo essere solo sentimentali. Quattro bambini che allegrissimi fanno un gran baccano, parallelamente ci faranno sentire molto meno in colpa se chiediamo loro imperiosamente di fare silenzio, o se ricordiamo loro che è arrivata l’ora dei compiti.  Plurale e singolare mettono cioè in campo stati emotivi differenti nella gestione della relazione e degli affetti. 
Questa cosa è molto forte nella differenza tra accudire un solo figlio e accudirne diversi. Un solo figlio è il sovrano di una famiglia, il reuccio incontrastato – due o tre figli per non dire quattro, portano il genitore a una ottimizzazione intelligente delle risorse emotive, dividendo le attenzioni, e contando sul calore che i figli ottengono anche dalla relazione coi fratelli. 

Quando dall’uno, si passa al plurale, succedono diverse cose.
In primo luogo, l’urgenza di non trascurare il figlio più grande che rischia di diventare troppo geloso, aiuta i genitori a non prolungare eccessivamente le diverse tappe dell’accudimento, per cui i fratelli diventano alleati delle fasi di autonomizzazione dai genitori. Genitori con più figli fanno meno fatica a svezzare la prole, a togliere il pannolino, e sono un po’ più allergici alle lunghe e pericolose permanenze nel lettone, giacchè il lettone deve essere un luogo di transito per tutti. 
In secondo luogo, il passaggio dall’uno ai molti è alleato della tutela dell’erotismo della coppia.  Sulle prime due bimbi possono distrarre la coppia dal preservarsi, ma sulla lunga durata i sistemi generazionali si compattano, si creano delle microculture: il fronte dei figli e quello dei genitori. Anche perché  – specie se non sono troppo distanziati l’uno dall’altro – i figli piccoli possono giocare insieme, mentre un figlio unico, si ritrova a doversi intrattenere spesso da solo, e questo sollecita emotivamente il genitore a stare con lui, a intrattenerlo.
In terzo luogo, il passaggio a più figli aiuta sia l’esercizio dell’autorità, come corollario dei punti precedenti, e simultaneamente un dosaggio più controllato dell’investimento narcisistico. Non facciamo i figli, naturalmente o meno, per altruismo: li facciamo per egoismo, e se non li facciamo per egoismo, comunque diventano inesorabilmente ricettacolo di nostri per quanto involontari bisogni egoistici: sono il dna che ci deve sopravvivere. Sono noi dopo di noi. Quindi quello che succede è che: meno se ne fanno più roba addosso tendono a catalizzare, meno se ne fanno più si fanno portatori di un’eredità narcisistica. 


La situazione diventa ancora più sfidante se la mamma del figlio unico, non lavora. A quel punto il figlio unico diventa il baluardo della sua identità di madre, la sua infanzia, il suo essere piccolo una fonte di piacere primaria, che ha troppi pochi concorrenti, per cui a questo figlio piccolo si chiederà di crescere più lentamente. E in effetti questo ritardo nell’autonomizzazione della prole lo vediamo sempre di più. I bambini sono nei passeggini ancora a quattro anni, alla scuola materna arrivano che non sono ancora privi di pannolino e qualche volta non ancora in grado di mangiare cibi solidi. Inoltre, fermandosi al primo figlio si dilata l’esperienza emotiva dell’accudimento sentendoci tirati verso amplificazioni che i genitori di più bambini provano molto di meno.
Per fare un esempio, ricordo come un faro nella nebbia un giorno di sciopero annunciato. Io all’epoca avevo un solo figlietto al primo anno della materna e per me non portarlo a scuola era un problema. La mamma di quattro figli mi disse ridendo: li prendo li mollo li lascio se mi chiamano sul telefonino comincio a urlare: non c’è campo non c’è campo! Eeeeh mi spiace, disse ridendo. Aveva una disinvoltura che a me all’epoca primipara tardiva mancava completamente, ero li che mi torcevo le mani. Ma sentii che in quella leggerezza c’era una forte competenza genitoriale. E in effetti a oggi questi quattro figli sono tutti belli grandi e forti. Questo problema si riverbera su tante questioni inerenti la puericultura. Il genitore di pochi figli o di figlio unico tenderà a occuparsi ossessivamente di tutti i suoi compiti, dei suoi giochi con i pari, tenderà a essere cioè parte di attività che sono invece l’area sperimentale del processo di emancipazione. Con più figli questo è un po’ più difficile. Si fa più se è strettamente necessario.

  • Questioni secondarie

Ci sono poi delle insidie che sono sostenute da alcune questioni secondarie, che sono magari correlate alla storia emotiva che sta dietro la scelta di avere un solo figlio. Alcuni figli unici sono tali, perché come spesso succede, i genitori sono figli unici a loro volta, e quindi ripropongono lo schema familiare da cui provengono (Questa è una cosa che si nota moderatamente spesso: i fratelli maggiori si sposano con fratelli maggiori, i minori coi minori, quelli con due fratelli con quelli con due fratelli, etc. Non è una regola rigida, ma una tendenza, di cui si farebbe bene a ricordarsi constatando il calo delle nascite) . Altri invece per questioni di salute. Paradossalmente i figli unici che sono tali per problematiche inerenti la sterilità per esempio o difficoltà di concepimento possono essere investiti da una sacrale aura di salvezza, sono i preziosi frutti che hanno permesso a una madre di essere tale, il che è un po’ problematico, ma almeno non sono l’esito di gravi ambivalenze sulla maternità, che possano essere nascoste sotto il tappeto della responsabilità: dietro a “mi voglio occupare per bene di lui” ci possono stare delle proiezioni forti, dei ricordi sgradevoli riguardo la cura genitoriale, che possono ingrandire le percezioni emotive dei ruoli di cura, ma anche portare a sottovalutare il bisogno di socialità e di emancipazione dai genitori che un figlio comunque incarna. 
Una seconda area problematica viene dai rischi di triangolazione, e dalla saturazione inappropriata della domanda edipica. Molta psicoanalisi ha insistito sul ruolo paterno nel dovere intrudere nell’anello simbiotico che la mamma crea con il suo piccolo, quando lo allatta o quando comincia a crescere. Ma cosa succede se c’è una situazione non rosea nella coppia genitoriale? Che succede se la mamma e il papà non vanno d’accordo, o c’è un motivo di distanziamento? Spessissimo, il piccolo viene messo al posto del compagno, gli viene chiesto di fare da superalleato contro il padre, che viene espulso e reso satellite rispetto all’organizzazione familiare. Diventa una persona lontana, o in alternativa un altro figlio.  Molti padri  purtroppo si accomodano in questo ruolo incoraggiati dalla cultura corrente che tende sempre a svalutare la loro funzione nella crescita dei figli e a ipervalutare la loro funzione pubblica e professionale, altri invece nel tentativo di andare controcorrente si ritrovano ingabbiati in una situazione di doppio legame: quando non partecipavano alla cura della prole erano categorizzati come partner inadeguati, ora che ci provano sbagliano comunque perché non sono valutati come sufficientemente capaci. Dovendo scegliere tra: essere sanzionati perché non si fa niente, ed essere sanzionati perché ci si sbatte, ma male – molti padri preferiscono non far niente. Con più bambini questa cosa ha un altro freno un altro argine. Non vuol dire che non succeda ugualmente, ma le carte in tavola sono di più, i piani generazionali comunque più distinti, i figli fanno una squadra a se, che agisce come sistema gravitazionale concorrenziale alla forza del materno. I fratelli sono una sponda.

  • E quindi?

Dunque, quando si cresce un solo figlio, e per motivi di vario ordine e grado non se ne vogliono fare altri, o non si fa a tempo a farli perché ci si è decisi tardi, si devono considerare delle questioni nei diversi momenti della crescita.  
In primo luogo, bisogna trovare una soluzione al fatto di sentirsi in colpa ogni volta si è autorevoli, e contrastare il timore di essere autorevoli, ricordandosi che l’eventuale dispiacere del piccolo è una cosa a suo vantaggio, e che parte dei compiti ingrati della genitorialità è fornire l’esperienza di un dispiacere percorribile, e non come a volte mi pare di capire si ritenga, eludere qualsiasi forma di dispiacere. Correlata a questa cosa serve una sorveglianza sui processi di autonomizzazione che ai figli unici di questo momento storico (mi sa però non solo ai figli unici) sono molto dilatati. Non posticipare il momento dello svezzamento, non posticipare il momento della liberazione dal pannolino, togliere entro i tre anni il passeggino, e dosare con sorveglianza il tempo nel lettone.  In secondo luogo, questi bimbi hanno bisogno di un mondo di pari, di altri bimbi, devono imparare a condividere, devono imparare a rinunciare, quindi una buona cosa da fare in assenza di fratelli, è imbarcarsi a casa quanti più marmocchi possibili, anche per provare l’ebrezza di che vuol dire urlare SMETTETE DI FARE CASINO senza sentirsi una merda, e anche per aiutarli servendosi di amichetti a imparare a gestirsi le loro cose in autonomia, come per esempio i compiti scolastici

In terzo luogo, mi pare che il problema di questi nuovi figlietti unici, sia il combinato disposto di autonomizzazione emotiva poca, investimento narcisistico enorme. Quindi: sono li che diventano miss spiaggia, gino campione, qualche secchione ci scappa, ma la gestione dell’autonomia, dell’assunzione di responsabilità verso se stessi e il prossimo, lo sgancio dai genitori, è ostacolato, e rischiano di rimanere per quanto soggetti brillanti in un’area di invischiamento permanente. Qui entra in scena una serie di dinamiche che riguardano la tarda adolescenza del figlio unico, e la sua prima età adulta. E’ un figlio abituato a stare con i grandi, quindi spesso educato, sa parlare, è responsabile, piacevole, simultaneamente però è l’unico figlio e ha un ruolo identirario forte nella famiglia per i genitori, per cui c’è il rischio che la sua autonomia di adulto sia sacrificata con modalità di controllo, che sono difficili da stanare perché passano da confronti che sono autenticamente affettuosi: con i figli unici è un pochino più difficile percepire il confine. Quindi sorvegliare stati di controllo protratto su figli unici maggiorenni :  quindi controllare le situazioni concrete. Materialmente significa che, per fare qualche esempio:  non bisogna dare troppi consigli su cose di lavoro, non essere i primi referenti, non utilizzare le chiavi eventuali delle loro case, se non per emergenze di gravità assoluta, non avere conti correnti condivisi, non entrare in rapporti di lavoro, non fare ossessivamente riferimento a loro per risolvere le proprie necessità, stare molto accorti su cosa si prova e su cosa si dice quando si percepisce che il figlio vuole fare qualcosa nella sua vita su cui non siamo d’accordo.

Queste sono cose che mi vengono in mente. Naturalmente questo non vuol dire, che quando si fanno più figli non si rischino casini! I casini diciamo si fanno comunque – poi ognuno fa come può per ridurre il danno. D’altra parte si possono crescere benissimo dei figli unici realizzati e contenti – è solo un po’ più complicato.