Sulla procreazione assistita

Uno dei punti di forza del family day e di tutta la costellazione ideologica che vi ruota intorno, è nell’aver messo sul tavolo le preoccupazioni di molti in merito alla procreazione medicalmente assistita, e le modificazioni possibili delle famiglie che si constatano nella quotidianità. Tutti dicono che alla fine l’importante è l’affetto, l’affiatamento, un’atmosfera serena intorno a dei bambini che arrivano, ma tra quei tutti ci sono molti che vivono delle perplessità segrete, dei dubbi. E fuori da quei tutti ci sono quelli che appunto, a fronte di queste nuove possibilità di cambiamento familiare temono la comparsa di squilibri e malesseri gravi. Si spaventano per queste nuove soluzioni e manifestano in difesa di un passato che, a loro piaccia o meno, non tornerà.
Dicono. Un bambino ha bisogno di un papà e di una mamma!
Ma non vanno molto oltre. Dicono solo questa cosa, un papà e una mamma, un maschio e una femmina, i due generi che facciano il figlio nella solita maniera senza tante complicazioni.
Ma cosa sono queste complicazioni?
Esistono? Come si configurano?

Leggevo in questi giorni l’intervento a un convegno su questi temi di una mia cara amica e collega, Pietrina Guglietti, e che tentava un primo abbozzo – delle problematiche specifiche che può incontrare la procreazione medicalmente assistita – ed erano tutte preoccupazioni solo parzialmente collegate alla composizione di genere della famiglia. Alcuni punti nevralgici riguardavano infatti la dilatazione e la meccanizzazione del tempo procreativo, la sua artificializzazione, che crea nei potenziale genitori una sorta di sfasamento rispetto alla realtà. Altre riguardavano il potenziamento di certe dinamiche psichiche patogene dovuto allo stato delle cose sotto un profilo giuridico in Italia, per cui da una parte c’è una norma che ostacola, da un’altra ci sono delle sentenze che modificano la norma, il tutto calato in un contesto internazionale per cui molte operazioni in questo ambito sono fattibili  all’estero –  e questo si può tradurre psichicamente in una curioso potenzialmento di istanze narcisistiche di vocazione all’onnipotenza, scarsamente contenute da uno Stato che non è capace di essere né di sostegno né di argine, ma solo un oggetto esterno e quindi interno che procura ostacoli che la tenacia può far scavalcare: sarebbe molto più sensata invece una legge che accettasse la fecondazione assistita ma ne irreggimentasse l’itinerario, al posto della bucherellata legge 40 che viene sempre più aggirata.

Ma il grosso delle preoccupazioni che riguardavano la fecondazione assistita erano simili a quelle che spesso riguardano l’adozione ma che in questo contesto assumono contorni più definiti e importanti. La fecondazione avviene quando il corpo dei partner non ha la possibilità biologica di portare avanti una genitorialità naturale, che è lo stesso lutto diciamo che incontrano le coppie adottive il cui itinerario così travagliato relativamente spesso permette di elaborare, compreso il ruolo implicato in questa elaborazione dell’arrivo di un bimbo che non di rado ha già una piccola storia sua personale. Ma di fatto questo lutto c’è, riguarda l’immagine del proprio corpo, la propria identità di genere, le identificazioni con le proprie figure genitoriali, e se tutte queste questioni che hanno un sapore un po’ amaro non trovano spazio, può succedere che il genitore che porta avanti la fecondazione cerchi di espungere dalla narrazione che si fa della gestazione (e che poi darà al piccolo) gli aspetti collegati alla procreazione assistita – l’eventuale uso del seme di un donatore, per esempio, o il passaggio del materiale genetico di un’altra donna fino ai casi di maternità surrogata. In questo modo tenterebbe di raccontare a se stesso e all’erede, una storia che risponde a un desiderio di se più che a una realtà, e che proprio per questo farebbe diventare la procreazione assistita una sorta di oggetto interno pericoloso, una struttura inconscia capace di far danno dalle retrovie fuori della coscienza, che deformerà in maniera non immediatamente riconoscibile le relazioni il modo di abitare la genitorialità e di essere figli dei bambini e che porterà a sentimenti spiacevoli che magari non sembreranno immediatamente riconducibili ad essa. Nelle coppie eterosessuali poi, si può agitare il fantasma simbolico di un’asimmetria delle possibilità – pensando a un partner che porta un problema che l’altro partner non porta, un partner vissuto come sano e uno come biologicamente compromesso, con pensieri di invidia o di colpa che potranno sembrare razionalmente ingiustificati, ma che si possono agitare all’interno della coppia.

Ci sono moltissime implicazioni e anche molto complesse, e altre cose che qui per brevità non possiamo citare, ma dicevamo con la mia collega parlando del suo intervento, che per certi versi la fecondazione assistita nelle coppie omosessuali incontra meno aspetti problematici che per quella eterosessuale – dal momento che la mancata possibilità biologica di generare è un dato assodato, che non lede la percezione della propria identità, che non crea complicate asimmetrie nella coppia, che spesso non dipende dal corpo ma dall’orientamento sessuale dei due potenziali genitori, e che ha quindi la possibilità di essere vissuta con più tranquillità e riproposta ai bambini con più fluidità quando sarà il momento di far sapere le loro storie e da dove vengono, l’origine della loro identità. I rischi che diventi un oggetto fantasmatico persecutorio che agisce al di fuori dell’inconscio in maniera subdola sono più bassi. E se i due partner omosessuali mantengono quella complementareità di assetti psichici di cui per esempio parla Antonino Ferro quando riflette sulla buona riuscita di una vita di coppia tra compagni dello stesso sesso, che più che altro devono incarnare uno un maschile interno e uno un femminile interno uno la propositività l’altro l’accoglienza, uno il paterno e l’altro il materno – questo anche in una composizione omosessuale della coppia, si può sperare in una genitorialità sufficientemente funzionale.

Un’osservazione conclusiva.
Gli psicologi fanno il loro mestiere, e parte del loro mestiere è fornire con uno sguardo partecipato che può risultare antipaticamente sanzionatorio quanto esageratamente preoccupato, prospettive in cui risultino evidenti gli aspetti problematici di una certa scelta materiale di vita. Vedere gli aspetti problematici le implicazioni psichiche non immediatamente individuabili aiuta gli addetti ai lavori a prepararsi quando se ne richieda l’intervento, e le persone a intuire quando potrebbero avere bisogno di loro. Il loro parere è dunque importante e in casi come queste sarebbe ancora più importante la loro presenza e disponibilità nei complicati processi che le coppie attraversano quando vanno incontro alla procreazione medicalmente assistita, perché possano aiutare a dipanare i grovigli psichici prima che diventino matasse ingestibili. Questo però non vuol dire che si possano usare le loro perplessità che sono inerenti al loro campo di applicazione e di intervento – che è aiutare l’altro nella vita che si è scelto – per condurre battaglie politiche allo scopo di sanzionare comportamenti e questioni varie, nel caso specifico con la strumentalizzazione ricattatoria che si fa dell’infanzia a venire. In questo io mantengo una posizione piuttosto rigida e probabilmente autonoma rispetto a una percentuale consistente di colleghi, ma personalmente trovo improprio un uso politico delle perplessità che clinicamente si possono avere, e contesto i colleghi che lo fanno. Questo prima di tutto per una questione diciamo squisitamente bioetica, o se vogliamo deontologica – per cui io trovo una priorità quasi metafisica dell’esistente a decidere per se stesso, per il suo diritto a procreare e a farsi una famiglia che desidera, e per essere crudi e provocatori e antipatici ma chiari – in linea anche estrema e fuori da questi temi, io credo che il male abbia il diritto di riprodursi in un certo senso, quindi figuriamoci se mi metto a strumentalizzare le mie posizioni professionali per sanzionare scelte che non sono malefiche ma solo eventualmente complicate.

In secondo luogo però, coltivo una sorta di disincanto epistemologico correlato al mio sguardo clinico, il quale è utile ed efficace quando si posa sulla vita di chiunque, e so per certo che sulle scelte di chiunque è capace di trovare vicende intrapsichiche che non si sono completamente risolte, oggetti inconsci che mantengono una connotazione persecutoria e quant’altro. Indubbiamente esistono dei gradi diversi ed esiste una soglia di larga patologia, ma non esiste una soglia di assenza di problematica totale – né penso che la migliore delle psicoterapie possa aiutare a raggiungere questa soglia. Basta dare un’occhiata alle vicende private della maggior parte degli analisti, me compresa, per rendersi conto del fatto che evidentemente uno o più cicli di ottime terapie non porta a nessuna forma di redenzione. Queste forme di genitorialità invece, come anche la genitorialità adottiva, mettono gli aspiranti genitori in una presunta posizione di peculiarità rispetto agli altri, che rischia di esasperare aspetti nevrotici largamente diffusi e contenibili dando loro un rilievo che non sono sicura sempre abbiano, e non sono sicura non agiscano anche nelle coppie eterosessuali sul cui normale concepimento nessuno mette bocca ma che se venisse guardato con l’impietoso sguardo della clinica rivelerebbe spesso aspetti non tanto consolanti (ma, alla resa dei conti, comunque influenti). Il problema è certo presente per un’infanzia che avendo un esordio particolare implica per la sua crescita un impiego di risorse suppletive – e chi ha esperienza di adozione per esempio sa di cosa sto parlando, tuttavia mi rimane sempre l’idea che quando si esce dai confini della procreazione naturale si metta sul corpo dei genitori non già l’aspettativa di una genitorialità sufficientemente buona, ma di una genitorialità ottima, molto ben equipaggiata, facendo pagare a queste coppie il nostro desiderio sociale normalmente poco saturabile e che di questi tempi si sta facendo parossistico, di controllare la qualità della nostra progenie culturale. Le coppie che fanno l’inseminazione artificiale devono cioè obbedire a degli standard di capacità genitoriale che garantiscano la nascita di cittadini che abbiano tutte le carattestiche che desideriamo per il nostro futuro.
Facciamo i conti dunque anche con questa cosa, e con le domande etiche che impone.

5 pensieri su “Sulla procreazione assistita

  1. Articolo bellissimo. Concordo su tutto. Io però non capisco una cosa : perchè anche il male abbia il diritto di riprodursi. Intendo il malemalissimo. Il malepericoloso. Il maleriproducibile. Solo perchè biologicamente se ne ha il potere lo legittimiamo? o perchè è un diritto inalienabile? ma mettere un figlio al mondo oltre ad un diritto, non è anche un dovere, comunitario-sociale forte? grazie.

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  2. Sono molto d’accordo. Per la verità non pensavo che anche la fecondazione assistita all’interno di una coppia etero fosse così tanto oggetto di sanzione sociale, e lo trovo assurdo (due vogliono fare dei figli, cosa di più accettabile, anche in un’ottica cattolica???). Intuisco anche le perplessità dello psicologo (la prima parte è un po’ difficile e le intuisco e basta) e trovo veramente molto lodevole la posizione di equilibrio che mantieni. Non so se tu abbia mai scritto un post a proposito dei cosiddetti uteri in affitto (espressione orrenda) e mi piacerebbe sapere la tua opinione, perché secondo me si sollevano delle questioni rilevanti specie per quanto riguarda l’esperienza della gravidanza della donna che mette a disposizione il proprio corpo, e con queste questioni arrivano anche le risposte, più o meno liberali, su problema del male, che, come dici tu, forse c’ha pure qualche “diritto”, in un sistema sociale non totalitario….

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  3. Ho la sensazione, molto poco epistemologica ma sempre più intensa, che quello che fa “paura” sia la progenie degenerata che può nascere e quindi inquinare il futuro.
    I genitori sono persone ormai perse, omosessuali irriducibili o quant’altro, persone senza futuro, ma poi arriva la scienza e un futuro glielo concede.
    L’eugenetica e i programmi Aktion T4 non hanno mai spaventato la folla, a patto che attraverso essi si garantisse un futuro omogeneo, senza sorprese.
    come al solito mi pare che Platone avesse già detto molto, anche se non tutto, ovvero che la paura deriva dalla non conoscenza.

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  4. Argomento complesso, affrontato – finalmente – con complessità.
    Evidentemente e fortunatamente c’è ancora qualcuno che non ha pregiudizi nei confronti del ragionamento.
    Una questione molto spinosa poi secondo me e che va ragionata è la gravidanza surrogata, riguardo la quale il mio personale giudizio è nettamente negativo.

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