Per Babbo Natale

Mi impressiona sempre, con l’aumento della fama e del carisma del sapere psicologico, con tutto quello che ora si sa e che si può sapere, ma anche con quello che può far arrivare a intuire l’osservazione attenta, la pervicacia con cui ancora oggi dicevo, intorno a Natale arrivino persone che si sentono in dovere di spiegare ai bambini che Babbo Natale non esiste, secondo cui c’è un età in cui questa convinzione va solennemente smantellata, oppure secondo cui bisogna fare in modo che proprio non sia mai condivisa. Non credo che poi siano moltissimi questi nemici di Babbo Natale, ma credo che mi capiti frequentemente di intercettarli, perché questo desiderio, togliere Babbo Natale ai bambini, è stata una tipicità di una certa pedagogia del mio mondo culturale e politico. Il mondo di quelli che un tempo si definivano di sinistra, di quelli che a ragione o a torto si definiscono intellettuali, di quelli che sentono una matrice culturale dominante come eccessivamente egemonica, sia che la prendano per il versante cattolico, che per il versante consumistico. Nonostante alcuni punti emotivi e culturali di contatto che ho con queste persone – a cui o voglio bene, o potrei volergliene, o la penso come loro o poco ci manca, io mi sento di dire che questa cosa di ostacolare la favola di Babbo Natale nei bambini è una sciocchezza. E ora proverò a sintetizzare perché in alcuni punti.

  1. I bambini non sono degli adulti piccoli, sono proprio diversi ontologicamente. Funzionano in un altro modo, e il loro passaggio al funzionamento adulto è graduale: in questo passaggio la favola è una zona di prova, anche piuttosto delicata. I bambini infatti, fino a una certa età non conoscono distinzione tra mondo interno e mondo esterno, ed è per questo che si riescono a fare bene dei test proiettivi fino a una certa età (sette anni mi pare) e sempre meno dopo. Prima di quel passaggio i bambini disegnano la realtà come la percepiscono emotivamente, poi come effettivamente la vedono. Quindi si può immaginare facilmente che fino a una certa età la favola ha una funzione contenitiva del mondo interno e psichico, poi diventerà una vicenda proiettiva per la quale si preferiranno altri linguaggi e altre favole. Quindi dire a un bambino guarda Babbo Natale non esiste, scemo che credi alle favole, può produrre come conseguenze: o che il bambino si deprivi di un oggetto ma lo sostituisca brillantemente con un altro, altrettanto favolistico e irrazionale, non avendo capito bene cosa volesse dire l’adulto con questa cosa, o usi un contenuto razionale e adultomorfo dell’adulto per essere compiacente simultaneamente stravolgendo il senso, appropriandosene, oppure soffra e si dispiaccia per la perdita di un oggetto interno che ha una funzione regolativa, amministrativa di una serie di immagine endopsichiche e simboliche (nel caso di Babbo Natale. le figure maschili, il dono, il desiderio, le aspettative, una visione benigna del superio, la simbolizzazione della fratria)
  2. La dissoluzione della fabula, di Babbo Natale ha credo anche una sorta di valore iniziatico, e secondo me lasciare che avvenga autonomamente è una cosa buona per i bambini, che mettono a punto le loro facoltà intellettuali, usano la propria razionalità e cesellano con la discussione della fabula strumenti di relazione con il reale, che però in questo contesto assumono il compito simbolico di testimoniare l’uscita dall’infanzia. Ascoltare i bambini che parlano tra loro in questa fase è fascinosissimo: ci sono quelli che spiano i genitori quando li interrogano, quelli che recuperano le spoglie di babbo Natale. Io, disponendo di diverse lettere di Babbo Natale e giunta al sospetto della finzione chiesi ai parenti di scrivere PRECIPITEVOLISSIMEVOLMENTE e in seguito a perizia calligrafica capii che era mia nonna. Ricordo distintamente il sapore di conquista, di conferma delle mie capacità, di trionfo che mi diede l’aver scoperto questa cosa. Una cosa che gli psicologi chiamano Self efficacy. Perché togliere pure questo rituale? Se c’è una cosa per cui l’occidente ha un problema con i suoi figli, è l’estinzione dei rituali.
  3. Non è un gran trauma il dover scoprire che Babbo Natale non esiste, di questo ne sono certa, e no non succede niente di brutto, e duraturo. Dare però questa notizia al bambino, prima che ci arrivi da se, è però un gesto che può costellarsi a un atteggiamento emotivo non ottimale per nessuno in famiglia. Vi rieccheggia una sorta di invidia dell’infanzia, un desiderio precoce di inquinamento, escitene dalla bambagia del tuo essere piccolo, diventa subito come me, io non sopporto il tuo stare al mondo le tue difese, il tuo modo di essere sereno. Non sopporto il tuo sorriso e forse neanche la tua differenza, non reggo, emotivamente il fatto di rispettarti. Ora, ci sono certi adulti che ostacolano Babbo Natale in favore di altre favole e narrazioni, magari anche religiose, in tal caso questa cosa davvero non è importante, l’importante in fatti è che ci sia un’area del magico, non è proprio fondamentale che abbia il cappello rosso e la barba bianca. Però se così non fosse, ed è la terra dell’infanzia che deve essere profanata, il genitore in quel modo sta facendo qualcosa di ingiusto anche al bambino che è stato, fossanche congratulandosi con la sua eventualmente mortifera saggezza precoce.   In quel caso gli aggrediti dunque sono due: il bambino fuori e il bambino dentro.
  4. Non si deve comunque avere troppa paura, vale per Babbo Natale, per le Barbie le Winx come per Sfera Ebbasta, dei riti culturali condivisi, quando si lavora continuamente sull’originalità della propria etica e della propria matrice familiare. Combattere le formule dominanti levandole dal campo è qualcosa che limita la comunicazione ma anche che toglie alcuni mezzi di definizione di se. I bambini prima e i ragazzi poi prendono gli oggetti che il contesto gli somministra e certamente ne fanno moneta comunicativa con i pari, dalla letterina al desiderio di un disco, ma sarà poi la microfisiologia del quotidiano, nelle cose pratiche, nei gesti, a tutelare la trasmissione di una matrice culturale. E non sarò io a dire le solite cose retoriche dei figli che devono essere liberi dalle credenze dei padri, perché la trasmissione di un codice etico e valoriale è davvero il regalo più grande che si possa fare ai propri figli, ma funziona molto meglio quando si lavora, specie da piccini sulla microfisiologia della relazione, sugli esempi pratici, sullo stile di vita, dando tempo al tempo, e aspettando il tempo giusto per discutere criticamente le cose.

Lascia un commento