la ferita all’ideale dell’Io. Su Parigi.

 

Premessa. Ho cominciato questo post diverse volte. E’ il mio post dopo i fatti di Parigi, la risposta che cercavo di mettermi in chiaro secondo le mie abitudini psicologiche, per cui quando ho da sistemare qualcosa di emotivo la mia via è scriverne qualcosa. Ho tentato diverse analisi: analisi della situazione sociale, persino di quella politica, e più recentemente delle reazioni individuali ai fatti agli attentati. E forse su questo ultimo tema sarei riuscita a non dire delle ovvietà. Tuttavia scrivevo con una distrazione superiore alla mia quota fisiologica e rileggevo provando una sorta di noia e di lontananza. Mi leggevo scrivere cose dette e ridette da altri, o da me in altre circostanze: avevo scritto in effetti, affidandomi a una sorta di copione routinario dell’intellettuale, e alla fine mi ero ritrovata a difendermi dalle mie stesse difese. Come succede quando gli amici che stanno molto male e ci martoriano ci fanno sentire annoiati e ci fanno sbadigliare. Ho cambiato strada

Il fatto è che io mi sento molto legata a Parigi. Soltanto in parte per delle questioni quotidiane come i cari amici che ho dovuto contattare alla tarda sera di venerdì per sapere se stessero bene, o per i cari zii che mi hanno ospitato quando ero ragazzina, oppure per la casa a rue bonaparte dove è cominciata la mia storia professionale e sono entrata nel mondo junghiano. Tutte queste cose mi hanno procurato certamente un terrore primario e un’ansia terribile – com’era già successo con Charlie Hebdo. E purtroppo – specie in conseguenza della decisione dell’attacco aereo di Hollande – una preoccupazione che continua. E non nascondo affatto di avere una paura banale per il mio quotidiano o per le persone che mi sono care.

Ma nel senso di ferita che avanza, ci rimaneva qualcosa di altro. Ed ecco quindi il mio post personale e tutto sommato piuttosto inutile su Parigi. Sulla sua funzione simbolica, nell’immaginario mio prima di tutto, ma a ruota anche se a diverso titolo e grado di un certo mondo, di una certa generazione, ma tutto sommato di questo paese. Forse questo potrebbe contribuire a spiegare il senso di lutto e le reazioni molto forti di molti – qualche volta liquidate con sprezzo.

Quando ero adolescente, ma anche dopo fin tutti i venti e tutto il tempo in cui non ho avuto la percezione di avere un’identità definita, Parigi è stata la quintessenza di un’ideale estetico e politico, perché massificava ciò che da noantri era percepito come controcorrente ed elitario, dava una direzione estetica alle cose, alla quale il mercato e la cultura italiana avrebbero obbedito con molto ritardo e proponeva un’azione politica che ai giovani intorpiditi sembrava una chimera. Noantri ragazzini smaniosi, stretti tra la Scilla dell’America consumista e la Cariddi delle rivoluzioni fallite, agognavamo un modello alternativo quanto inclusivo, che ci facesse sentire attivi, ma ci restituisse anche più belli e attraenti ed efficaci di quanto fossimo nelle camerette divise con i fratelli, a cena di malavoglia con i genitori, negli appartamenti squalliducci addosso all’università e a bere cappuccini in bar spesso e volentieri, piuttosto brutti. Andare a Parigi, farci un Erasmus, un anno di studi per una tesi su uno di quei filosofi che andavano per la maggiore, una vacanza studio ma pure un trimestre a lavare i piatti in una brasserie, voleva dire allora tuffarsi in questa glassa metropolitana, piena di una elegante sciatteria, forte di una orgogliosa storia intellettuale, con certe novità cosmopolite che ci parevano incredibili – uomini che si baciavano con uomini! Neri che sposavano bianche! – e il tutto in mezzo a una gran quantità di cose che si prefiggevano l’intenzione -di essere estetiche e seduttive – la grandheur fin nelle piccole cose – i caffè con i libri, i vestiti belli in bei negozi, le riproduzioni di fotografie. Parigi era il posto dove quello che da noi era Eros Ramazzotti li era Doisneau, e Herb Ritz e di conseguenza poi la maison de la photographie a Saint Poul. Parigi era quella che ci compravi le copie pirata dei concerti di Ella Fitzgerald e Louis Armostrong, in certi posti per gente qualsiasi ai piedi del Beaubourg – non esattamente Nino D’Angelo.
Parigi era anche quella però, che se c’era da scendere in piazza per protestare contro una rivisitazione dei contratti di lavoro che avrebbero gravemente penalizzato i giovani, sarebbe scesa in piazza immensa e totale, non un pomeriggio, non un giorno, ma diversi ininterrottamente uno in fila all’altro, fino a far cambiare la legge.
Me lo ricordo bene. Al tempo lavoravo in un call center.

Parigi ci faceva più belli. Era e forse rimane, il nostro ideale dell’Io. E poi certo si imparano dolorosamente le piaghe discutibili, le ricadute poco dignitose dell’essere baluardi della vecchia Europa, le banlieu i cui volti degli abitanti si scurivano da fermata della metro a fermata della metro, in una marginalizzazione raziale simile all’apartheid, i cascami del vecchio colonialismo che ti scippavano la borsetta con un rancoroso revanchismo di classe, daje torto, i difficili rapporti tra la vecchia comunità ebraica e la moschea di Barbes, e via di seguito. Ma queste cose non bastavano e non ci bastano, a noi di più ad altri di meno, e anzi persino gli orrori di cui porta le vestigia, erano il segno di un saper fare le cose in grande arroganti e premoderni fino in fondo, dominatori sul serio – mica buffoni come noi, con la nostra campagna d’Africa, che cosa risibile. E se non altro il problema della cattiva eredità dava ai fratelli d’oltralpe l’urgenza di un rimedio etico che noi annusavamo ma non agguantavamo neanche con il pensiero. A Parigi ho conosciuto assistenti sociali di colore lavorare per l’integrazione nel tessuto urbano degli immigrati di seconda generazione. Ho visto locali dati in gestione dal comune che rispettassero tradizioni locali extraeuropee. Noi alle volte, manco gli assistenti sociali paghiamo, manco quelli ariani.

E se a noi piaceva, o a tratti disturbava la quintessenza di questo prendersi sul serio estetico e politico tutto francese   ad altri questa miscela fascinosa arrivava comunque, e l’alta moda francese è la più alta delle alte mode, e il week end romantico a Parigi è incomparabilmente più romantico di qello in qualsiasi altra parte del mondo. Parigi è il posto vicino dove andare in vacanza e sentirsi molto più qualcosa, senza andare lontano. Parigi come la zia che non si è sposata e fa le cose belle e ti spiega la vita, e provi i suoi vestiti, e ti bei dei suoi racconti quando la vedi per le feste comandate, la zia figa un po’ stronza, ma adorata. E se le fanno male non puoi che arrabbiarti e dispiacerti.

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ma lo sapete che c’è?
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8 pensieri su “la ferita all’ideale dell’Io. Su Parigi.

  1. “[…] e anzi persino gli orrori di cui porta le vestigia, erano il segno di un saper fare le cose in grande arroganti e premoderni fino in fondo, dominatori sul serio – mica buffoni come noi, con la nostra campagna d’Africa, che cosa risibile.”

    Che poi, a pensarci bene, non siamo stati secondi a nessuno in tema di orrori con la nostra campagna d’Africa: campi di concentramento con deportazioni di massa, bombardamenti con i gas, grandi massacri (es. Debra Libanòs), applicazione di leggi-apartheid (prove tecniche sugli africani come anticipazioni delle leggi antisemite del ’38).
    Ecco, un po’ di tutto questo ci sta tornando indietro…

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  2. Non so se sono della tua generazione, e per me Parigi è simbolo di qualcosa di leggermenete diverso, ma ho provato sentimenti analoghi.
    Quando mi sono trasferita in Francia – sei anni fa, a Parigi per la precisione – per me la Francia era simbolo di un occidente europeo, non profondamente americanizzato; identificavo la Francia con l’illuminismo, la République. la Commune, la rivoluzione, Simone de Beauvoir, la laicità, l’integrazione. Dopo due anni mi sono trasferita nel sud della Francia, c’è stata la Manif’pour tous, il Fronte Nazionale che incamera sempre più consensi, e la distanza tra la Francia simbolica e la Francia vera è aumentata.

    Ho vissuto questi attacchi come doppi, hanno colpito sia la gente reale che la Francia idealizzata. E siccome la Francia idealizzata fa parte del nucleo dei miei valori, indirettamente sento questi atti come un attacco ai miei valori.

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